Lo scontro tra le milizie della Settima Brigata e il governo di Tripoli del premier Serraj ha provocato già decine di vittime e adesso la fragile tregua che pure sembrava reggere da oltre un anno è venuta improvvisamente giù. Ad approfittare delle tensioni interne sarà certamente il generale Haftar, oppositore di Serraj e sostenuto da Francia, Egitto e Russia. Il presidente francese Emmanuel Macron aveva annunciato per dicembre elezioni politiche in Libia, inutile dire senza prima avere consultato gli alleati europei, italiani in testa, né l’ONU.

La nuova guerra di Tripoli non sarebbe altro che una “proxy war” tra Parigi e Roma per il dominio sull’area. Non a caso, i commenti del governo italiano ieri sono stati tutti nel senso di rimarcare che dietro agli attacchi sferrati contro Serraj vi sarebbe la mano proprio dei francesi.

Premier Conte in visita da Trump, accordo possibile in Libia su gas e migranti

Cosa vuole di preciso Macron? Estromettere l’Italia dalla gestione della Libia nel dopo-Gheddafi per allungare le mani su petrolio e gas, ma anche far saltare il piano sui migranti, messo a punto dal governo Gentiloni prima e implementato da quello Conte sin da giugno e che prevede una collaborazione tra Roma e Tripoli per ridurre al minimo il numero degli sbarchi sulle nostre coste. Non a caso, nelle ultime ore si parla di 50.000 profughi pronti a partire. Con il caos nello stato nordafricano, la strategia del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, di rispedire i migranti in un porto libico, prima ancora che entrino in acque italiane, non reggerebbe più, non fosse altro perché la Libia adesso non si mostrerebbe più un luogo sicuro e l’Italia sarebbe costretta ad accogliere tutti.

Macron intende destabilizzare l’Italia, perché il governo “populista” di Lega e Movimento 5 Stelle rappresenta il suo nemico politico in Europa.

Egli teme di restare senza alleanze forti per reggere fino alla fine del mandato e ripresentarsi agli elettori francesi con serie probabilità di essere rieletto. I sondaggi ne segnalano l’impopolarità interna e ora che la destra euro-scettica guida Roma e avanza nel resto d’Europa, non si può più escludere che ciò accada anche a Parigi. Da qui, il tentativo palese e maldestro di sfruttare il caso Libia per creare problemi a Salvini e irriderne i piani agli occhi degli italiani, perché se decine di migliaia di clandestini sbarcassero nelle prossime settimane sulle coste siciliane, i suoi oppositori avranno buon gioco a notare che la sua azione si stia rivelando un fallimento. E il PD sta cercando di allearsi proprio con Macron, in vista delle elezioni europee del maggio prossimo.

Crisi benvenuta per BCE e Fed

C’è un risvolto economico, poi, di questa vicenda geopolitica. Le tensioni in Libia turbano il quadro delle condizioni “esterne”, che le grandi banche centrali tengono sempre in considerazione per anticipare ai mercati le loro prossime mosse. La Federal Reserve si trova ad agire in un’economia americana in piena occupazione e con un’inflazione risalita al target del 2%, mentre la BCE ha già annunciato che dall’anno prossimo non acquisterà più bond con il “quantitative easing” e che alzerà i tassi dalla seconda metà del 2019. Ma a Francoforte sanno che se da un lato la politica monetaria attuale appare troppo accomodante, date le condizioni economiche dell’Eurozona, dall’altro non ci si può permettere ancora una stretta per i rischi che essa comporta sulla stabilità dell’Italia e, quindi, per l’euro stesso. La stessa Fed è consapevole che continuare ad alzare i tassi USA rafforza eccessivamente il dollaro e pone a rischio la crescita economica interna.

Sia l’una che l’altra, però, non possono permettersi di indietreggiare rispetto al percorso già acclarato, perché per le banche centrali la credibilità è tutto e quando questa viene meno i mercati voltano le spalle, come dimostrano i casi di Turchia e Argentina nelle ultime settimane.

Il passo indietro resta possibile, ma a patto che a mutare (in peggio) sia il quadro delle condizioni esterne. E la Libia fa parte di questo quadro, insieme all’Iran. Parlandoci con estremo cinismo e mettendo un attimo di lato le argomentazioni attorno alle manovre francesi, alla BCE quanto sta accadendo in queste ore a Tripoli serve per iniziare già dal prossimo board di settembre a mostrarsi più prudente sull’uscita dagli stimoli monetari. Tripoli è a 400 km dall’Italia, ossia alle spalle dell’Europa e i suoi problemi rischiano di destabilizzare anche l’unione monetaria tra caos migranti, petrolio e quant’altro. La stessa America con Donald Trump si è inserita nella crisi del Medio Oriente, avvertendo Iran e Russia di tenersi fuori dalla Siria. Il presidente americano aveva garantito sostegno al premier Giuseppe Conte a fine luglio sulla gestione proprio della Libia.

Cosa vogliamo dirvi con tutto ciò? Non sappiamo se il caos di questi giorni sia dovuto a una qualche mano esterna, mentre sappiamo che eventualmente essa sarebbe francese di certo e avrebbe contraccolpi non solo sulla gestione degli sbarchi, ma anche sulla politica monetaria, nel senso che “costringerà” Mario Draghi a prendersi un po’ di tempo in più prima di azzerare gli acquisti dei bond. Per l’Italia il bilancio appare in chiaroscuro. Abbiamo molto da perdere dall’estromissione della gestione di Tripoli, in termini di rilevanza residuale geopolitica e di petrolio e gas, così come di controllo dei flussi migratori, ma sul lato attivo possibilmente metteremmo una domanda prolungata di BTp da parte della BCE, cosa che allenterebbe la tensione sul nostro debito sovrano e ci consentirebbe di abbassare temporaneamente lo spread. Sempre che effettivamente tutto vada come stiamo immaginando.

Perché l’Italia (per ora) risparmia anche con lo spread in aumento

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