L’attentato di Berlino, Germania, che ha provocato ieri sera 12 morti e decine di feriti, ha contribuito a deprimere le quotazioni del cambio euro-dollaro, che oggi stanno testando i valori più bassi dal 2002, al momento attestandosi a 1,038. Il raggiungimento della parità, sostengono alcuni analisti, potrebbe essere solo questione di tempo, considerando che dagli USA continuano ad arrivare dati macroeconomici sostanzialmente positivi e di sostegno al prosieguo della stretta monetaria intrapresa già da un anno dalla Federal Reserve, pur a passo molto lento.

Eppure, anche dall’Eurozona esistono vari segnali di tenuta dei ritmi di crescita, nonostante le aspettative pessimistiche dei mesi scorsi, tra Brexit e varie tensioni geo-politiche nell’area. Oggi, ad esempio, l’Ufficio Federale di Statistica della Germania ha pubblicato i dati sui prezzi alla produzione nel mese di novembre, che per la prima volta da quasi tre anni e mezzo sono tornati a salire su base annua, seppur appena dello 0,1%.

Inflazione in ripresa è segnale “bullish” per cambio euro-dollaro

Dall’estate del 2013, le variazioni tendenziali dei prezzi alla produzione per le imprese tedesche erano state sempre negative, segno del clima deflattivo nella principale economia dell’Eurozona. Ancora nell’aprile scorso, complice il crollo nei mesi precedenti delle quotazioni del petrolio, segnavano un calo di oltre il 3%, toccando il punto più basso.

Stupisce la rapida ripresa degli ultimi mesi, se si pensa che a settembre registravano ancora un arretramento dell’1,5%. Berlino prevede un’inflazione in accelerazione all’1,5% per l’anno prossimo dal +0,4% di quest’anno. Nell’area, la crescita dei prezzi dovrebbe passare dal +0,2% al +1,3%.

 

 

 

 

Quantitative easing, niente più stimoli?

Cosa c’entrano i prezzi alla produzione tedeschi con il cambio euro-dollaro? I primi dovrebbero anticipare la tendenza dell’inflazione al consumo nella prima economia dell’unione monetaria, per cui stiamo avendo conferma che i venti di deflazione sarebbero alle nostre spalle e che i prezzi dovrebbero accelerare la ripresa nei prossimi mesi.

Se così è, il “quantitative easing” della BCE non avrebbe più ragione di essere potenziato e, pertanto, di ulteriori stimoli monetari Mario Draghi non ne varerebbe più.

Il QE è stato prorogato fino a tutto il 2017, anno in cui la Fed tornerà ad alzare i tassi di 100 punti base, stando alle attese. Il clima resta sostanzialmente “bearish” per il cambio euro-dollaro, ma forse un po’ meno di quanto credano quanti pronosticano un raggiungimento della parità.