In ripiegamento il cambio euro-dollaro oggi sotto 1,24, dopo avere ampiamente sfondato la soglia di 1,25 giovedì scorso, nel corso della conferenza stampa post-board della BCE, tenuta dal governatore Mario Draghi. Al momento, si attesta a 1,23823, in calo dello 0,27%. In realtà, non è l’euro a indebolirsi, bensì il dollaro a rafforzarsi. Il biglietto verde guadagna oggi mediamente lo 0,34% contro le altre divise, risalendo dai minimi degli ultimi 38 mesi. E un paio di segnali ci inducono a ritenere che, seppur non è detto vi sia e né sarebbe previsto un rally, qualche spazio di crescita per la divisa americana esisterebbe.

Anzitutto, lo farebbe credere un fattore tecnico, ovvero la risalita dei rendimenti dei Treasuries. I decennali sono al 2,72%, in rialzo mensile di ben 32 punti base, ai massimi da 4 anni. Proprio il netto rialzo dei rendimenti americani offre sostegno al dollaro, attirando capitali negli USA dal resto del mondo. Lo confermerebbe anche il contestuale aumento dei rendimenti tedeschi, con i Bund decennali saliti allo 0,69%, segnando +26 bp in appena un mese e praticamente quasi quadruplicati in 10 mesi. I titoli a 5 anni rendono oggi positivamente per la prima volta da quasi 39 mesi. Agli inizi di dicembre, stavano ancora al -0,36%. (Leggi anche: Cambio euro-dollaro oltre 1,25, ma moneta unica non forte con tutte le divise)

Il boom dei rendimenti tedeschi nelle ultime sedute a sua volta segnala il deflusso dei capitali dalla Germania, attirati adesso proprio dagli USA, dove i bond iniziano a offrire rendimenti appetibili. A tale proposito, lo spread Treasury-Bund a 10 anni si attesta oggi a 203 bp; stava a 197 un mese fa. Non si hanno grossi movimenti su questo piano e nel complesso assistiamo a una lieve divaricazione tra i rendimenti dei due bond, in favore degli americani, cosa che deporrebbe per un apprezzamento del dollaro, ovvero per una discesa del cambio euro-dollaro.

L’addio della Yellen alla Fed

Domani, poi, inizia il primo board dell’anno della Federal Reserve, l’ultimo dell’era Yellen.

Il governatore uscente lascerà il posto tra pochi giorni a Jerome Powell, già membro del FOMC, il braccio di politica monetaria dell’istituto. L’uomo dovrebbe proseguire il percorso di stretta lenta tracciato sin qui. Nonostante ciò, non si escludono sorprese e già domani, in verità, con un’inflazione negli USA ormai risalita al target del 2% e con un dollaro ad avere perso il 14% dall’apice toccato agli inizi del 2017, la Fed potrebbe segnalare un percorso più veloce per i futuri rialzi dei tassi, un fatto che verrebbe accolto dal mercato con un ritorno alla crescita del dollaro e dei rendimenti sovrani.

Un probabile catalizzatore, in un senso o nell’altro, per il cambio euro-dollaro nei prossimi giorni sarà il dato sull’inflazione nell’Eurozona a gennaio. Scesa all’1,4% a dicembre, se dovesse disattendere le stime al ribasso, deprimerebbe la moneta unica sull’attesa per un’uscita più graduale della BCE dalla sua politica monetaria ultra-espansiva. Viceversa, l’euro si rafforzerebbe contro le altre divise, compreso il dollaro, sostenendo il cambio in prossimità di 1,25. In sostanza, un nuovo equilibrio sarebbe possibile con rendimenti di Treasuries e Bund più alti e un cambio euro-dollaro tra 1,20 e 1,25. (Leggi anche: Cambio euro-dollaro sopra 1,20, BCE corre ai ripari)

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