Il cambio euro-dollaro è salito a un massimo di 1,1545 stamattina, il livello più alto dall’ottobre del 2018. Se andiamo a vedere il grafico, notiamo come la fuga della moneta unica contro il biglietto verde sia iniziata alla metà del maggio scorso, quando il cross si attestava a 1,08. E proprio in quei giorni, la cancelliera Angela Merkel e il presidente Emmanuel Macron trattavano sulla reazione comune alla crisi economica nell’Eurozona provocata dalla pandemia, arrivando a un’intesa annunciata in data 24 maggio.

Da allora, l’ottimismo sui mercati per una soluzione comunitaria si è fatto sempre più nitido, malgrado le tensioni tra i governi del Vecchio Continente, dipanatesi solamente nella nottata di ieri, quando i 27 capi di stato e di governo UE sono arrivati a un accordo.

Il varo del Recovery Fund ha messo le ali all’euro con l’avvicinarsi dell’appuntamento clou dei giorni scorsi a Bruxelles. Il fondo mette a disposizione dei 27 stati comunitari 750 miliardi di euro, di cui 390 in forma di sovvenzioni, cioè aiuti a fondo perduto. Queste risorse permetteranno agli stati più in crisi come l’Italia di reagire senza gravare ulteriormente sul già elevatissimo debito pubblico. A Roma spetteranno fino a 81 miliardi di sovvenzioni e 127 miliardi di prestiti.

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Euro ancora più forte?

L’aspetto più importante di questo accordo, però, non risiede nell’entità delle risorse, in sé non eclatante, anche perché le erogazioni verranno spalmate in tre anni, tra il 2021 e il 2023. Tuttavia, questa prima forma di mutualizzazione dei debiti riduce il rischio sovrano nel Sud Europa, dove i livelli di indebitamento sono più alti e i tassi di crescita storicamente più bassi. Grazie a queste misure shock, gli investitori hanno mutato atteggiamento verso l’euro, che sulla base dei fondamentali dovrebbe effettivamente essere ben più forte di quanto non lo sia da tempo.

La prima economia dell’Eurozona è la Germania, “porto sicuro” per eccellenza, riparo dalle tensioni nelle fasi avverse, insieme a Olanda, Austria e Finlandia, tanto per citarne di altri. Ma ad oggi è capitato che nel pieno delle turbolenze, gli afflussi dei capitali nell’area non siano stati affatto netti, semplicemente fuggendo dal sud al nord e aggravando la percezione del rischio per economie come l’Italia, finendo per far restare gli investitori del resto del mondo alla finestra. Con l’accordo di ieri, qualcosa potrebbe essere cambiato proprio nella percezione degli investitori. Se il sud venisse considerato al riparo, l’euro inizierebbe a comportarsi finalmente come un “safe asset”, al pari di dollaro, yen e franco svizzero.

Chiaramente, troppo presto per trarre simili conclusioni. Fatto sta che il cambio euro-dollaro si è definitivamente allontanato dai minimi di marzo, anche perché il superamento della fase sanitaria emergenziale fa sperare in una ripresa quanto prima del pil nell’unione monetaria, per quanto il ritorno ai livelli pre-crisi non sia atteso fino a buona parte del 2022. Determinante si rivelerà il miglioramento della congiuntura internazionale, dato che l’economia dell’Eurozona è trainata dalle esportazioni. I dati macro americani lasciano ben sperare in tal senso, sebbene i numeri ancora elevatissimi dei contagi frenino l’entusiasmo e, in un certo senso, tengano forte il dollaro e i Treasuries per la loro qualità di “safe assets”. Per questo, da qui ai prossimi mesi non dovremmo assistere a robusti ulteriori apprezzamenti del cambio euro-dollaro.

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