Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, si è dovuta già mettere alla scrivania per studiare una soluzione sulle pensioni. Il problema è noto: da gennaio 2023 resta in vigore solo la legge Fornero. In assenza di rinnovo, scomparirebbero tre forme di flessibilità ad oggi garantite dal legislatore, vale a dire Opzione Donna, Ape Social e Quota 102. Proprio quest’ultima, anziché scomparire, stando alle ipotesi che circolano tra la stampa italiana vedrebbe una conferma nella cosiddetta forma di Quota 102 flessibile.

L’ipotesi per aggirare la legge Fornero

Facciamo un passo indietro.

Nel 2019 c’era al governo la Lega con il Movimento 5 Stelle. Matteo Salvini premette per ottenere Quota 100. Per tre anni, i lavoratori ebbero la possibilità di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi. La somma tra i due requisiti minimi dava proprio 100, da cui il nome.

La misura non fu rinnovata l’anno scorso dal governo Draghi, in quanto troppo costosa. Sempre su pressione della Lega, si optò per Quota 102. Per tutto il 2022 serviranno 64 anni di età e 38 anni di contributi per andare in pensione prima dell’età ufficiale dei 67 anni. Questa misura non sta avendo successo, anche perché nei fatti vi possono accedere solo i lavoratori che già possedevano i requisiti con Quota 100.

Allo studio di Calderone vi sarebbe la possibilità di introdurre Quota 102 flessibile, una soluzione prospettata dal neo-ministro da presidente dell’Associazione Nazionale dei Consulenti del Lavoro. In cosa consisterebbe? Il lavoratore andrebbe in pensione con almeno 61-62 anni di età, ma i due requisiti (anagrafico e contributivo) non sarebbero rigidi come con l’attuale Quota 102. In altre parole, il lavoratore dovrebbe arrivare a 102 sommando la sua età tra 61-62 fino a 66 anni e i suoi contributi da 35-36 fino a 41 anni.

Esempi con Quota 102 flessibile

Facciamo un esempio. Se un lavoratore ha 62 anni, per andare in pensione con Quota 102 flessibile avrebbe bisogno di almeno 40 anni di contributi (62+40=102).

Se ha 64 anni, di contributi gliene basterebbero 38 anni (64+38=102). Infine, se ha 66 anni, anche con 36 anni potrà andare in pensione (66+36=102). Dunque, scatterebbe una certa flessibilità grazie alla quale già dai 61-62 anni si potrebbe lasciare il lavoro, se in possesso di contributi sufficienti.

Stando agli studi della stessa Calderone, la platea dei beneficiari sarebbe composta da quasi mezzo milione di lavoratori, ovvero 470.000 persone. Sui costi non ci sono ancora numeri, ma si sa che risulterebbero inferiori all’altra ipotesi in campo di Quota 41. Naturalmente, la soluzione dovrà essere compatibile con i conti pubblici. E i margini appaiono molto ristretti, anche perché la Ragioneria dello Stato terrà conto solo della platea massima teorica dei beneficiari, sebbene la storia di questi anni ci dimostri che ad usufruire delle forme di flessibilità vigenti è solo una percentuale dei lavoratori.

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