I prezzi dei Bitcoin, la moneta digitale più diffusa al mondo, avevano chiuso poco sotto i 1.130 dollari il 4 gennaio scorso, dopo avere segnato un rialzo del 122% nel 2016, salvo ripiegare fino ai 775 dollari di una decina di giorni fa e risalire ai meno di 900 dollari di ieri. Il bilancio è negativo in queste prime settimane dell’anno del 7,5%, dopo la correzione ancora non del tutto conclusasi delle ultime sedute. Le quotazioni avevano certamente corso troppo, ma ad averle fatte schiantare sono stati i moniti della banca centrale cinese (PBoC), che ha avvertito su come la “criptomoneta” non possa considerarsi una valuta a tutti gli effetti e, quindi, non potrà circolare come se lo fosse.

L’istituto ha anche preso di mira gli intensi scambi degli ultimissimi mesi, nel corso dei quali parecchi capitali cinesi sono stati convertiti in Bitcoin, favorendo l’indebolimento dello yuan. (Leggi anche: Bitcoin, prezzi volatili: cosa aspettarci?)

Ma se il sell-off di questi giorni potrebbe avere spento gli entusiasmi tra molti investitori, le previsioni non sembrano affatto negative. Saxo Bank si è spinta a ipotizzare all’inizio del mese, che i prezzi dei Bitcoin potrebbero finanche triplicare sotto l’amministrazione Trump. La ragione? Il nuovo presidente punta a una politica di stimolo della crescita economica americana, che farà salire l’inflazione negli USA e costringerà la Federal Reserve ad alzare i tassi più in fretta. Di conseguenza, il dollaro si rafforzerà e con esso la moneta digitale, dato che gli investitori attivi sui mercati emergenti punteranno sui Bitcoin per trovare un’alternativa alle valute locali.

Il legame tra Bitcon e dollaro

Secondo Saxo Bank, i prezzi dei Bitcoin potrebbero persino toccare quota 2.100 dollari. Non sappiamo quanta credibilità assegnare a tale previsioni; d’altronde, la “criptomoneta” si è mostrata sempre poco prevedibile e fin troppo volatile in certe fasi. Ciò che ci convince dell’analisi è il rapporto tra dollaro e prezzi.

Se guardiamo al grafico delle quotazioni, notiamo che questo particolare asset ha vissuto due fasi di accelerazione esponenziale dei prezzi: nel 2013 e lo scorso anno. Non sono coincidenze. Se nel febbraio di 4 anni fa, un Bitcoin valeva ancora 20-30 dollari, due mesi dopo sfondava già i 140 dollari e nel novembre dello stesso anno toccava il suo massimo storico di 1.200 dollari, non replicato nemmeno nell’ultimo rally di inizio 2017. (Leggi anche: Bitcoin, il 2017 inizia col botto)

 

 

 

 

Bitcoin sale con rischi economici

Che cosa accadeva? Che il mercato si fosse spinto a investire nella moneta digitale sul caso Cipro, ovvero sull’applicazione del primo bail-in europeo, che vide i risparmiatori delle banche dell’isola espropriati di parte dei conti correnti per il fallimento degli istituti. Non essendo più il sistema bancario ritenuto sicuro, quale migliore alternativa di un asset, che garantisce persino l’anonimato del titolare? In più, la Fed segnalò proprio nella primavera di quell’anno l’imminente ritiro graduale degli stimoli monetari, rafforzando da allora il dollaro del 20%.

La crisi bancaria italiana spiegherebbe parte dell’impennata dello scorso anno, ma sono state più che altro le tensioni geo-politiche a determinare la nuova corsa dei Bitcoin, tra Brexit ed elezioni USA. Tuttavia, proprio dalla vittoria di Trump si è arrivati a segnare un +65%, come se per una qualche ragione il mercato stesse correndo a ripararsi contro qualche rischio. Occhio, però, perché lo stesso giorno in cui gli americani sceglievano il loro nuovo presidente, l’India eliminava l’86% del contante in circolazione in appena tre giorni. (Leggi anche: Bitcoin, prezzi verso i 1.000 dollari grazie all’India?)

Possibile nuovo rally

Il rischio percepito potrebbe essere proprio la debolezza delle valute emergenti, per via sia della politica monetaria americana attesa più restrittiva, sia della minaccia del nuovo presidente di imporre dazi specifici contro la Cina.

Lo yuan ha vissuto nel 2016 il suo peggiore anno dal 1994, cedendo il 7%, a causa di ingenti deflussi di capitali, iniziati verso la metà del 2015. Tra dicembre e gennaio, il 98% degli acquisti di Bitcoin sono arrivati proprio dalla Cina, segno che è dallo yuan che gli investitori sarebbero fuggiti.

L’equazione sarebbe dollaro forte, Bitcoin su. Affinché ciò accada, Trump dovrà realizzare le promesse e scaldare l’inflazione con tagli alle tasse e spesa pubblica. Forse avverrà in misura meno vigorosa di quanto stimato, ma dovrebbe accadere. Resta da vedere se ciò non sia stato già scontato dai prezzi della moneta digitale e in quale misura. Ai valori attuali, rispetto alle elezioni registriamo una crescita del 27%. Considerando che dall’1 gennaio all’8 novembre 2016, la crescita era stata del 65%, pare che si sarebbe ancora spazio per un rialzo delle quotazioni. (Leggi anche: Investire in oro o Bitcoin)