Un inizio di anno non particolarmente positivo per Bitcoin, che in settimana è arrivato a perdere il 10% rispetto ai livelli di prezzo di fine 2021. La quotazione è scesa fino a 41.000 dollari, ai minimi dal settembre scorso. Tuttavia, siamo abituati alla forte volatilità di questa come di altre “criptovalute”. L’esordio nel 2021 non fu diverso, ma alla fine lo scorso anno ha registrato un rialzo di circa il 60%.

Le cause di questi ultimi forti cali per Bitcoin non sono certe. Non possiamo non notare come la tendenza negativa stia riguardando anche i mercati azionari nelle ultime sedute sulla prospettiva di rialzi dei tassi più veloci del previsto negli USA e, forse, non solo.

L’aumento del costo del denaro tende a ridurre l’appeal degli asset volatili, i quali si alimentano generalmente dell’elevata liquidità presente sui mercati.

Il Kazakistan blocca il “mining” di Bitcoin

Se fosse vero, sarebbe anche la conferma indiretta che Bitcoin sia ormai valutato come un asset d’investimento per fuggire dall’alta inflazione provocata dall’estremo accomodamento monetario delle principali banche centrali. Ma in questi giorni sta accadendo qualcosa di più drammatico. Il Kazakistan è travolto dalle proteste dei manifestanti contro il caro benzina, le quali nei giorni si sono trasformate in una sorta di sfogo più complessivo contro il governo di Almaty. Decine i morti, tra i militari compresi, e migliaia gli arrestati.

Il Kazakistan non è un teatro come un altro per Bitcoin. Lo scorso anno, quando la Cina ha messo al bando le crypto, vuoi per vicinanza geografica e vuoi anche per la sua abbondante offerta energetica, il paese dell’Asia Centrale è diventato un hub per il “mining”. Qui, si ha circa il 18% della potenza necessaria per effettuare i calcoli con cui Bitcoin, così come il 15% dei “miners” al mondo, secondo mercato dopo gli USA. A seguito degli scontri sanguinari tra manifestanti e forze dell’ordine, il presidente Qasym-Jomart Tokaev ha disposto in settimana l’oscuramento di internet.

A tratti, la connessione è stata ripristinata già da venerdì, ma a singhiozzo.

Di fatto, è venuta immediatamente meno la possibilità di fare “mining” per sbloccare nuovi Bitcoin. Almeno temporaneamente, l’ambiente ringrazia, dato che l’energia prodotta in Kazakistan è generata perlopiù da fonti inquinanti. Del resto, il paese abbonda di petrolio e ne estrae la media di 1,7 milioni di barili al giorno. C’è da dire che gli analisti hanno sempre visto questo paese come una destinazione provvisoria per i “miners”, in attesa forse di trovare una location più sicura nell’emisfero occidentale. Resta il fatto che l’Asia si confermi croce e delizia per il mondo delle crypto.

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