La Bulgaria risulta essere l’economia più povera dell’Unione Europea, disponendo di un PIL di poco superiore ai 12.000 euro pro-capite. Il paese dell’Europa dell’Est sta cercando di aderire all’euro per liberarsi definitivamente dal sottosviluppo a cui era stato condannato nel Secondo Dopoguerra a causa del comunismo. E se vi dicessimo che Sofia possiede un tesoro che in futuro potrebbe monetizzare, teoricamente lanciando l’economia nazionale? Contrariamente a quanto possiamo pensare, non è El Salvador lo stato sovrano a possedere più Bitcoin nel mondo.

Anzi, con poco più di 2.500 unità acquistate dalla sua banca centrale, ha in mano appena lo 0,013% di tutti i Bitcoin in circolazione. Invece, la Bulgaria sarebbe il più grande possessore della “criptovaluta” più famosa al mondo con 213.000 unità, pari all’1,1% di tutto il mercato globale.

No, la Bulgaria non ha scommesso sui Bitcoin. Non l’ha affiancata al lev come valuta legale. Ha semplicemente sequestrato nel 2017 questa enorme quantità di monete digitali a un gruppo di cybercriminali, composto perlopiù da cittadini bulgari. Questi avrebbero investito i proventi delle attività in cripto sfuggendo al fisco. Il Ministero dell’Interno di Sofia non diede mai informazioni dettagliate sul sequestro, eccependo che vi fossero in corso indagini giudiziarie. Sappiamo che, all’epoca in cui si tenne l’operazione, il maxi-pacchetto valeva sui 500 milioni di dollari. Oggi, il controvalore è salito a oltre 6 miliardi di euro.

Bitcoin tesoro della Bulgaria

Il PIL bulgaro è stato di 84 miliardi di euro nel 2022, mentre il debito pubblico ammontava sui 19 miliardi. In pratica, se la Bulgaria oggi riuscisse a vendere tutti i Bitcoin sequestrati, potrebbe tagliare il suo debito di quasi il 30%. In alternativa, potrebbe investire i proventi in infrastrutture, potenziando la crescita economica nel medio-lungo termine. O potrebbe fare tutt’altro: attendere che le quotazioni crescano ulteriormente per rivendere i Bitcoin a quotazioni molto più alte di quelle odierne.

Dovete solo pensare che alcuni analisti ritengono che nei prossimi anni la criptovaluta arriverebbe a 1 milione di dollari. Più pragmaticamente c’è chi intravede la soglia dei 100.000 dollari e persino da qui a pochi mesi. Immaginiamo per un attimo che queste previsioni ardite si rivelino corrette. La Bulgaria si ritroverebbe in possesso di un tesoro che arriverebbe a valere sui 200 miliardi di euro. Una cifra enorme, specie per un’economia di piccole dimensioni e portata avanti da 7 milioni di anime. Un incasso di quel tipo teoricamente sarebbe in grado di azzerare il già bassissimo debito pubblico e di destinare agli investimenti tutto il resto, cosa che a sua volta attirerebbe investitori dal resto del mondo.

La Bulgaria potrebbe imitare l’esempio della Norvegia, che dalla metà degli anni Novanta investe i proventi del petrolio in asset finanziari e di recente anche in immobili. Ha accumulato tramite il fondo sovrano qualcosa come circa 1.200 miliardi di euro. Il petrolio bulgaro sarebbero i Bitcoin, posseduti per caso. Poca roba al confronto sarebbero le 40,84 tonnellate di oro delle riserve, il cui controvalore attuale ammonta a 2,4 miliardi di euro.

Come monetizzare maxi-ricchezza

Ma passare dalle parole ai fatti è un’altra storia. In primis, non sappiamo se effettivamente lo stato possegga ancora tutti i Bitcoin sequestrati. In assenza di informazioni al riguardo, supponiamo di sì. Le autorità celano al pubblico i codici alfanumerici dei conti sequestrati per sfuggire al monitoraggio mediatico delle transazioni effettuate. C’è il serio dubbio, poi, che non riuscirebbe ad accedere a tali conti, non possedendo le password. Storia comune a molti nerd “smanettoni” della prima ora, che ignari di cosa sarebbe diventato Bitcoin in futuro hanno perso negli anni i codici di accesso. In teoria, molti di loro sarebbero ricchissimi. Nei fatti, sono poveri e pazzi.

C’è un altro problema nel caso in cui la Bulgaria volesse monetizzare la sua fortuna.

Il mercato dei Bitcoin è poco liquido. Bastano poche operazioni di acquisto o vendita e i prezzi esplodono o crollano. Dunque, i cosiddetti “whales” (balene), cioè i grandi possessori, sono costretti a rivendere i portafogli molto gradualmente nel tempo per non distruggere il mercato. In futuro, potrebbe non essere del tutto così. Man mano che i grandi portafogli si assottigliano, l’offerta sarebbe più equamente distribuita e gli scambi aumenterebbero di frequenza nel corso delle singole sedute.

Sofia potrebbe optare per un’ipotesi ulteriore, vale a dire ad usare i Bitcoin in suo possesso per ottenere prestiti a condizioni di favore o potrebbe venderli a banche e istituzioni finanziarie in grosse quantità a sconto sui prezzi di mercato, così da velocizzare la liquidazione del maxi-portafoglio. Sempre, ovviamente, che la finanza tradizionale in futuro si mostri più ricettiva verso il mondo delle cripto. L’anno prossimo scatta il nuovo halving, il dimezzamento dell’offerta di Bitcoin nell’unità di tempo attraverso il “mining”. In genere, i prezzi tendono ad impennarsi in coincidenza con l’evento. Se con saggezza lo stato bulgaro sapesse pazientare, siederebbe realmente su una miniera d’oro in grado di trasformare i connotati della povera economia domestica.

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