Investitori stranieri in fuga dai BTp, almeno lo scorso anno? Niente paura, ci pensano le banche italiane a salvare i conti dello stato. Nel febbraio di quest’anno, stando ai dati della Banca d’Italia, nei loro bilanci ne risultavano iscritti per 387,2 miliardi di euro, in aumento dai 382 di gennaio e dai 337 di un anno prima. In poche parole, in un anno gli istituti tricolori hanno acquistato altri 50 miliardi di titoli di stato nazionali, possedendo 277 miliardi di BTp. Il resto sono BoT e CTz.

Facendo due conti, otteniamo che quasi i due terzi delle emissioni di debito pubblico avvenute nell’ultimo anno siano state coperte dai maggiori acquisti proprio delle banche, mentre nella seconda metà del 2018 i capitali stranieri in fuga sarebbero diminuiti di una cinquantina di miliardi. Insomma, una perfetta compensazione che, però, non ha impedito l’esplosione dei rendimenti sovrani e degli spread.

Le banche italiane frenano la corsa dello spread

Questo continua a impensierire il Fondo Monetario Internazionale, che nell’ultimo “World Economic Outlook” pubblicato in questi giorni nota come le eccessive esposizioni delle banche europee ai bond governativi costituisca un rischio per i loro bilanci con il rialzo dei rendimenti. Non è difficile capirlo: quando i prezzi dei bond si abbassano e i rendimenti si alzano, le banche che li posseggono vanno incontro a perdite virtuali, che diventano reali nel caso di cessione anticipata rispetto alla scadenza e a valori inferiori a quelli di carico.

I rischi dal boom dello spread

Con l’impennata dei rendimenti dallo scorso maggio, mese in cui è nata in Parlamento la maggioranza “giallo-verde” che sostiene il governo Conte, le quotazioni dei BTp sono precipitate, recuperando solo parzialmente negli ultimi mesi. Ciò ha colpito proprio il valore degli assets a bilancio delle banche, pari a un decimo del totale. Per capire l’evoluzione, bisogna monitorare il “Rendistato”, il rapporto mensile di Bankitalia sui rendimenti mediamente esitati dai titoli di stato italiani negoziabili sui mercati.

A marzo, sono scesi all’1,88% dal 2,073% di febbraio, ai minimi dal maggio del 2018, rispetto a cui, però, continuano a mostrarsi di circa mezzo punto più alti. Tenuto conto anche dei BoT, ossia i bond con scadenza fino all’anno, si ottiene che mediamente il debito pubblico italiano costerebbe oggi sui mercati l’1,78%, meno della metà del costo sostenuto dallo stato nel 2018. La differenza risiede nel fatto che la spesa per interessi è legata alle emissioni avvenute negli anni passati, cioè a condizioni di mercato spesso molto differenti da quelle odierne.

Banche italiane colpite dalla crisi dei BTp

In altre parole, malgrado la crescita dei rendimenti di questi mesi, il costo del debito tenderà a scendere ulteriormente anche nel prossimo futuro, magari per anni ancora, man mano che le emissioni di nuovi BTp sostituiranno i titoli in scadenza a rendimenti superiori. Tornando alle banche, quest’anno in borsa hanno messo a segno rialzi medi del 16%, ai massimi da sei mesi, ma restando di circa il 27% più basse rispetto a un anno fa. Parte dei recuperi dipende proprio dal calo dei rendimenti dallo scorso ottobre, mese in cui i BTp furono travolti dalle vendite sullo scontro tra Roma e Bruxelles relativamente alla legge di Stabilità per il 2019. Con l’allontanamento della stretta monetaria da parte della BCE, confermato oggi al terzo board dell’anno, il mercato è tornato a comprare bond e il loro conseguente apprezzamento sta premiando le banche italiane, che si ritrovano in possesso di assets dal valore accresciuto.

Quando i capitali stranieri tornerebbero

Al netto delle detenzioni tramite istituzioni finanziarie all’estero da parte dei residenti, i BTp in mano agli investitori stranieri propriamente detti ammonterebbero a soli 465 miliardi, circa il 24% del totale.

E a questa quota andrebbe sottratta anche quella relativa alle detenzioni della BCE tramite i suoi programmi di acquisto, per cui si scenderebbe in area 17%. E solo il 7% è posseduto da investitori fuori dall’Eurozona. Ciò da il senso della scarsa fiducia che i nostri bond riscuotono all’estero. Di buono ci sarebbe che non potremmo che risalire. Se così fosse, le banche avrebbero modo di liberarsi gradualmente dei bond, “scaricandoli” a controparti straniere. Paradossalmente, però, l’allentamento monetario della BCE allontanerebbe questa prospettiva, tenendo l’euro debole. Chi da fuori dall’unione monetaria volesse investire sul nostro mercato a scopo speculativo, infatti, sconta il rischio di cambio, che sarebbe superato solamente da credibili prospettive di rafforzamento a breve dell’euro, scenario verosimile nel caso di rialzo dei tassi da parte di Francoforte e/o di abbassamento di quelli americani.

Prendete i BTp a 10 anni. Rendono oggi grosso modo quanto i T-bills a pochi mesi e a fronte di un rating nettamente più basso. Se un investitore istituzionale americano volesse metterne un po’ nel suo portafoglio per diversificarlo e con l’obiettivo di rivenderli alla prima occasione utile, dovrebbe confidare almeno nell’apprezzamento del cambio euro-dollaro, altrimenti meglio farebbe a comprarsi i titoli del debito USA senza incorrere di fatto in alcun rischio. Questa prospettiva al momento si è fatta più remota con il rinvio dell’avvio della stretta nell’area almeno all’anno prossimo, ragione per cui di flussi di capitali verso l’Italia dovremmo attendercene pochi, tranne da parte degli investitori cassettisti, sempre che eventualmente ritrovino fiducia nel nostro debito sovrano. E con l’economia entrata in recessione per la terza volta in 10 anni, difficile che ciò avvenga. Questo ci spinge a credere che le banche italiane saranno costrette a tenersi i BTp a bilancio ancora a lungo, sebbene nei prossimi mesi, salvo nuove tensioni Roma-Bruxelles, i rendimenti non dovrebbero salire ulteriormente. E ciò tutelerebbe i loro bilanci.

Le banche italiane ci salveranno dallo spread, facendosi un favore

Quando i bond nell’Eurozona torneranno a deprezzarsi, invece, per le banche italiane i guai si faranno ancora più seri, anche se per allora avrebbero modo di scaricarsi gradualmente dei BTp, cedendoli agli stranieri, per quanto sopra detto. Molto, infine, dipenderà dalla percezione che si avrà sull’Italia nel momento in cui la BCE inizierà ad alzare i tassi. Se non dovessero esservi particolari preoccupazioni sulla tenuta dei nostri conti pubblici, considerando che i rendimenti italiani siano già i secondi più alti dell’area dopo la Grecia, il “sell-off” potrebbe inizialmente riguardare perlopiù gli altri bond meno generosi, consentendo ai nostri istituti di minimizzare le perdite nel corso del dimagrimento dei rispettivi portafogli.

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