Sono bastati pochi minuti per salvare Banca Carige. Tanto è durato il Consiglio dei ministri di ieri sera, con il quale il governo Conte ha messo a disposizione dell’istituto ligure la garanzia per le sue future emissioni e per eventuali linee di credito ricevute dalla Banca d’Italia, nonché una ricapitalizzazione precauzionale nel caso servisse. Di fatto, parliamo dell’ottavo salvataggio pubblico in poco più di 3 anni e segue quelli di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti del novembre 2015 e di Popolare di Vicenza, Veneto Banca e MPS nel corso del 2016-’17.

Sulle responsabilità di questa crisi abbiamo discusso in un altro articolo, ma qui vogliamo rilevare come nemmeno un governo “sovranista”, nato sull’onda anche dell’indignazione popolare per la cattiva gestione delle precedenti crisi bancarie da parte degli esecutivi del PD, abbia potuto sottrarsi alla logica del bail-out, quella che credevamo ingenuamente di esserci messi alle spalle dal 2016, anno in cui entrava in vigore la disciplina sui salvataggi a carico dei privati, nota come “bail-in” e che recepiva la direttiva comunitaria del 2013, in sigla Brrd.

Banca Carige, salvataggio pubblico di una banca distrutta dalla Vigilanza BCE 

Perché una banca va salvata sempre e comunque dal rischio fallimento? Sarebbe infinita la lista di economisti e politici che ci additerebbe il caso Lehman Brothers per farci rendere conto di quali sarebbero altrimenti i pericoli di un mancato salvataggio pubblico. In sintesi, la banca è un’azienda particolare, perché vende un bene in sé unico, ossia il denaro. E lo fa, prendendolo a prestito da altri, non producendolo autonomamente, per cui se chiudesse gli sportelli, si avrebbero due conseguenze estreme: l’economia soffrirebbe per il venir meno del denaro “venduto” dietro interesse sul mercato a imprese e famiglie; i titolari di quel denaro (correntisti, obbligazionisti e altri investitori) non lo riceverebbero più indietro, se non parzialmente.

Ciò scatenerebbe un run bancario, la classica corsa agli sportelli, da parte dei risparmiatori di altre banche sui timori di un contagio. E questo, perché le banche si prestano soldi anche tra loro e persino per poche ore, per cui se una banca fallisse, le altre potrebbero anche solo temporaneamente patire una crisi di liquidità, ma che per il panico dei clienti si trasformerebbe in una ben più grave crisi di insolvenza in poco tempo.

Banche cruciali per il debito pubblico

Un sistema economico senza banche crollerebbe. Nessuno riceverebbe prestiti, la liquidità si ridurrebbe al lumicino e ve ne sarebbe pochissima anche per fare acquisti ordinari, provocando depressione e deflazione. Vero, nel tempo nascerebbero nuove banche o quelle esistenti colmerebbero il vuoto lasciato dal “credit crunch”, ma intanto l’economia sarebbe morta e, comunque, andando in malora i bilanci di famiglie e imprese, difficile che qualcuno presti loro denaro, anche disponendolo in abbondanza, temendo di non vederselo più restituito.

In soldoni, queste le ragioni del salvataggio pubblico di una banca. Tuttavia, il “bail-in”, pur con le tante imperfezioni con cui fu varato, si poneva l’obiettivo di evitare che questa necessità da tutti riconosciuta di evitare il fallimento di un istituto di credito ricadesse sui contribuenti e incentivasse anche per il futuro comportamenti di azzardo morale dei banchieri. Passano gli anni, cambiano i governi, ma la musica che si suona è sempre la stessa. Le banche sono banche e nessuno osa mettere in discussione che sia giusto salvarle, quali che siano state le cause della crisi.

Non ci sono solo le ragioni sopra citate a giustificare tanto pronto intervento dei governi di turno. A novembre, le banche italiane detenevano nei loro bilanci 388,3 miliardi di euro di titoli di stato nazionali, ossia BTp e BoT, il livello massimo dal maggio del 2017.

Se lo spread con i Bund non è schizzato a livelli da allarme rosso è stato in buona parte proprio per il soccorso delle banche tricolori. In pratica, il sistema funziona così: lo stato aiuta le banche nel caso di loro crisi e le banche aiutano lo stato acquistando volumi enormi di bond. Che male c’è? Nessuno, se non fosse che questo patto non scritto sta precipitando l’economia italiana nella stagnazione perenne. Le banche che investono in BTp sottraggono denaro da prestare all’economia privata e lo stato che spende per salvare le banche drena risorse ai contribuenti, i quali dovranno accollarsi gli oneri derivanti dall’impiego a debito dei capitali iniettati.

Banche italiane colpite dalla crisi dei BTp

Il circolo vizioso che affossa l’Italia

Qualcuno eccepirà che il risultato netto finale di questo gioco sarebbe positivo, se si considera che gli acquisti dei BTp da parte delle banche abbassano i rendimenti sovrani, ossia il costo di rifinanziamento del debito a carico dei contribuenti. E’ una mezza verità. Questa follia di mani che si stringono per aiutarsi a vicenda andrebbe spezzata con la fine dell’aumento dello stock di debito, ossia smettendola di fare deficit, il quale è ampiamente dimostrato proprio dall’esempio italiano che non serva un fico secco alla crescita, specie se la qualità della spesa è notoriamente scadente, finendo per ingrossare gli apparati burocratici già ipertrofici e l’assistenza spesso fine a sé stessa. Lo stato italiano ha bisogno continuo delle banche perché si indebita senza limiti e le banche italiane hanno bisogno dello stato perché subiscono perdite dai crediti deteriorati, frutto di un’economia domestica malata. Anziché pensare solo all’ultimo stadio della crisi, bisognerebbe risalirvi a monte e scopriremmo che famiglie e imprese non riescono a ottemperare ai loro obblighi con le banche per mancanza di lavoro e redditi insufficienti le prime e bassi ricavi e produzione carente le seconde.

Le une e le altre soffrono per un’economia stagnante e i cui livelli di ricchezza restano inferiori a quelli dell’ormai lontano 2007.

Perché? Perché lo stato tassa e spende, soffocando di imposte e contributi chi lavora e produce. L’unica realtà a restare sempre con la pancia piena è la burocrazia, inutile e perlopiù persino dannosa, i cui uffici sono affollati dai dottori azzeccagarbugli di manzoniana memoria. E, dunque, siamo finiti in un “loop”. La spesa pubblica non smette di crescere e ciò costringe lo stato a indebitarsi da un lato e a tenere alte le tasse dall’altro, provocando quelle cause che mettono a rischio proprio il credito bancario, il quale dovrà essere garantito con salvataggi e coperture dei governi, mentre le banche per dare una mano allo stato spandi e spendi riducono il credito all’economia produttiva, aggravando i propri stessi problemi e finendo per essere risucchiate dal tormentone dello spread. Usciremo mai da questa follia?

Le banche italiane ci salveranno dallo spread

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