Il libro “Poteri forti (o quasi)” è diventato il caso editoriale dell’anno, per non dire degli ultimi anni in Italia. Il suo autore, Ferruccio De Bortoli, non è un personaggio secondario, bensì uno dei più autorevoli e stimati giornalisti del Belpaese, già direttore de Il Corriere della Sera e de Il Sole 24 Ore, tra i pochissimi illustri ad avere apertamente criticato l’ex premier Matteo Renzi, quando questi era all’apice del suo potere e consenso, tacciandolo di essere un “maleducato istituzionale con talento”, salvo qualche giorno fa rettificare, dubitando che egli abbia talento.

Il libro ha aperto un dibattito politico feroce e dalle potenzialità enormi (a rischio c’è la sopravvivenza politica di Renzi), laddove riporta che l’ex ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, avrebbe sollecitato agli inizi del 2015 l’ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, affinché salvasse Banca Etruria.

L’istituto era stato commissariato nel febbraio dell’anno precedente ed era stato fino ad allora amministrato dal padre del ministro, in qualità di vice-presidente, mentre il fratello era a capo del settore rischi credito. Nel novembre di due anni fa, insieme a Banca Marche, Carife e CariChieti, fu sottoposto a salvataggio pubblico, imponendo perdite persino ai suoi obbligazionisti subordinati, scatenando polemiche pubbliche e una crisi in borsa delle banche italiane, che solo negli ultimi mesi sembra essere rientrata dai livelli di allarme, seppure con lo stanziamento di una ventina di miliardi di euro da parte del governo Gentiloni. (Leggi anche: Giglio magico e massoneria, Boschi contro De Bortoli)

Caso Boschi non è giudiziario

La Boschi ha smentito di avere mai chiamato nessuno per salvare Banca Etruria e minaccia querele. Dal canto suo, Ghizzoni non smentisce e né conferma, dicendosi disponibile a parlare solo nelle sedi istituzionali apposite. De Bortoli replica alle minacce di querela con la conferma di quanto scritto nel suo libro, ovvero che la sollecitazione al salvataggio ci sarebbe stata.

Dal governo, però, arriva una precisazione del ministro alle Infrastrutture e Trasporti, Graziano Delrio, che sostiene di essere stato lui ad avere interpellato Piazza Gae Aulenti per studiare un possibile salvataggio, la cui pratica ha sortito un esito negativo per l’opposizione della dirigenza Unicredit.

Il mondo politico si mostra nettamente diviso tra maggioranza e opposizioni, con la prima a fare quadrato intorno alla figura della Boschi, mentre le seconde stanno prendendo la palla al balzo (molto bene Forza Italia) per chiederne le dimissioni e per riportare in auge nel dibattito pubblico la presunta commistione tra governo Renzi e banche. (Leggi anche: Boschi e Banca Etruria: Ghizzoni pronto a parlare, Renzi trema)

Ipocrisia attorno al caso Boschi

Partiamo da un punto fermo: ammesso che la Boschi abbia chiamato direttamente al telefono Ghizzoni per invitarlo a salvare Banca Etruria, non avrebbe commesso alcun reato. Da questo punto di vista, quando il faccendiere Luigi Bisignani definisce “ipocrita” il contenuto del libro di De Bortoli, avrebbe persino ragione. In Italia, la politica è solita interessarsi di affari privati, specie quando questi abbiano una certa rilevanza sul piano macro-economico. Un’ingerenza indebita, per la quale ad essere “punita” dovrebbe essere eventualmente non solo la Boschi, ma centinaia di esponenti di ogni governo e partito politico. In un paese, dove la metà del pil è gestita dallo stato, sarebbe ridicolo pensare che tra pubblico e privato non ci siano ingerenze reciproche.

Possiamo allora derubricare il caso Banca Etruria-Boschi come una tempesta in un bicchier d’acqua? Niente affatto. Il caso è spinoso e grave, ma per ragioni che nulla hanno a che vedere con un filone giudiziario. Stando alle poche informazioni rinvenute grazie al giornalista, infatti, non vi sarebbero profili possibili di reato a carico dell’attuale sottosegretario.

La querela minacciata da questi paradossalmente potrebbe spostare sul piano giudiziario una faccenda che è e forse dovrebbe rimanere politica.

Il pasticcio di Banca Etruria

La Boschi, se avesse sollecitato il salvataggio di Banca Etruria, non si sarebbe macchiata di alcun reato, ma l’azione di presterebbe a più di un sospetto. Come mai un ministro delle Riforme, ovvero titolata ad occuparsi di come rinnovare la Costituzione e quale legge elettorale presentare in Parlamento, si sarebbe occupata una tantum di una banca, di cui due dei dirigenti erano il padre e il fratello? E come mai, dinnanzi ai senatori, quando fu presentata una mozione di sfiducia nei suoi confronti, ha negato di essersi mai interessata al caso?

Se fosse scoperto, magari per effetto di una dichiarazione di Ghizzoni, che la Boschi avrebbe gestito l’affaire Banca Etruria già più di due anni fa, emergerebbero vari profili di responsabilità politica, che pur non implicando forse alcuno strascico giudiziario, getterebbero lunghe ombre sui 32 mesi del governo Renzi, che sulle banche ha pasticciato parecchio, lasciando alcune gravi crisi irrisolte in eredità al successore. (Leggi anche: Crisi banche italiane, voragine prestiti dubbi fino a 120 miliardi)

I dubbi sul possibile operato della Boschi su Banca Etruria

Il caso, infatti, ci offrirebbe un ministro e braccio destro dell’ex premier a interessarsi di una banca “di famiglia”, nel tentativo di scaricarne le perdite su una delle principali banche italiane, nonché unica sistemica nel nostro paese. Secondariamente, sarebbe la conferma che il governo sapesse a inizio 2015 del futuro crac di Etruria, ma che abbia atteso diversi mesi prima di intervenire con un provvedimento concordato tra Tesoro e Bankitalia e a dir poco pasticciato e autolesionista, se si considera che la bassissima valutazione dei due organi dei crediti deteriorati dei quattro istituti fu alla base del crollo dei prezzi sul mercato sia dei titoli che dei bond bancari.

In terza analisi, non può che lasciare sgomenti che il lavoro sottotraccia eventualmente svolto dal ministro Boschi (a che titolo?) non abbia sortito alcun esito positivo, finendo per risolversi in una perdita a carico del solito contribuente, seguita da oneri ben più enormi, legati al crac di MPS e alle due venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca).

(Leggi anche: Banca Etruria, nuovi guai per Renzi e Boschi con l’insolvenza)

Le vere responsabilità politiche sulle banche sono di altri

Attenzione, però, perché se scagliassimo una sola pietra contro la Boschi, dovremmo subito dopo lanciare massi contro il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che pur non avendo parenti in banca, ha pasticciato tantissimo sul tema, convocando in Via XX Settembre a più riprese il gotha finanziario italiano e forzandolo a caricarsi di un salvataggio di sistema improprio, attraverso l’istituzione del fallimentare fondo Altante, servito solo a guadagnare settimane di tempo sprecato, prima che la crisi bancaria italiana degenerasse in maniera virulenta nella seconda metà dello scorso anno.

La Boschi è capro espiatorio di una politica cialtrona, che da anni più che mediare tra interesse privato e pubblico, si carica del primo, scaricandolo sui bilanci statali. E’ stato così per Alitalia, all’epoca dei “capitani coraggiosi” (senonché il coraggio consistette nel fregare i contribuenti alla luce del sole), è stato ancora più lampante con MPS, gestita da una cricca politico-finanziaria senza spessore manageriale, è così per ogni singolo grande capitolo industriale del nostro paese. La politica italiana non rappresenta interessi di singole industrie, ma nel migliore dei casi risulta succube o asservita a quelli di specifiche imprese o manager. Il caso Banca Etruria-Boschi serve solo a generare tanta finta indignazione. (Leggi anche: Ecco i disastri del ministro Padoan)