Con la vendita delle azioni Mediobanca da parte di Fininvest sono accadute due cose: la partecipazione di Leonardo Del Vecchio è salita al 15,4% e Mediolanum è uscita dal patto di consultazione. Questo aggrega adesso un capitale pari al 10,6% del totale. E si scommette che la banca di Ennio Doris venda a sua volta e sempre a Del Vecchio. Un riassetto che avrebbe come finalità ultima le azioni Generali.

Il Leone di Trieste è partecipato, nonché controllato, da Mediobanca al 12,93%. Tra i suoi azionisti troviamo sempre Del Vecchio con il 4,82%, così come il Gruppo Caltagirone con il 5,63% e il Gruppo Benetton con il 3,97%.

Questi stessi nomi li troviamo in qualità di azionisti di Mediobanca, ma Caltagirone è presente con solamente l’1% e i Benetton con il 2,1%. La BCE ha autorizzato Del Vecchio a salire fino al 20% dell’istituto. Sembra una questione di tempo prima che si porti a tale soglia-limite.

Ma il consiglio di amministrazione di Mediobanca, guidato da Alberto Nagel, è “blindato” almeno fino al 2023. E, soprattutto, espugnarlo risulta molto difficile. Lo statuto prevede che le liste vengano presentate ogni tre anni dallo stesso board dopo una pre-selezione affidata al presidente con l’ausilio di un consulente esterno. Di fatto, un cda che nomina sé stesso. Ciò è motivo di insoddisfazione tra i soci, che hanno il solo potere di approvare o respingere le nomine. Questo modello rischia di essere esportato a Trieste. A quel punto, anche la gestione di Philippe Donnet sarebbe al riparo da qualsiasi controllo pregnante da parte dell’azionariato.

Azioni Generali nel mirino di Del Vecchio

Ma viene difficile pensare che Del Vecchio detenga ad oggi il 15,4% di Mediobanca e il 4,82% delle azioni Generali per limitarsi ad applaudire i manager al comando. In effetti, la salita nel capitale di Piazzetta Cuccia sarebbe propedeutica a una presa del controllo prima della banca stessa e successivamente del colosso assicurativo.

Se è vero quanto sopra detto a proposito dei meccanismi elettorali, resta indubbio che un socio che da solo detiene più capitale di un intero patto di consultazione una certa influenza la debba avere.

Oltretutto, sommando le quote del patron di Luxottica con quelle di Caltagirone e Benetton, si arriva anche al 14,4% delle azioni Generali. E anche in questo caso, la quota dell’attuale primo azionista – Mediobanca – sarebbe nettamente superata. Qui, per il rinnovo del cda si dovrebbe attendere fino alla fine del prossimo anno. Ma se Del Vecchio fosse interessato solo alla compagnia, non si limiterebbe forse a rastrellare azioni in essa, anziché salire nel capitale della sua controllante? Ni. L’1% di azioni Generali vale attualmente in borsa sopra i 270 milioni di euro, mentre l’1% di Mediobanca si acquista per 85 milioni.

Dunque, risulta oltre tre volte meno costoso puntare sulla controllante e puntellarne l’investimento con un presidio contenuto nella controllata, in attesa di un accordo con possibili altri soci italiani. Resta oscura, invece, la strategia che Del Vecchio perseguirebbe nel caso in cui riuscisse a impossessarsi del salotto buono della finanza tricolore. Solo quest’anno, il dividendo che la compagnia staccherà agli azionisti ammonta a 2,3 miliardi, pari all’8,3% dell’attuale capitalizzazione a Piazza Affari. Nei cinque anni in cui il francese è al timone, Generali ha distribuito 5,8 miliardi agli azionisti. Il rendimento sarebbe stato del 56%, a cui si aggiunge un +44% di plusvalenze teoriche. Insomma, se la “guerra” al management deve avere inizio, dovrà avere motivazioni solide per mobilitare le truppe.

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