Il colosso statale del petrolio saudita Aramco starebbe studiando una seconda IPO per la vendita di un altro pacchetto di azioni in borsa. La notizia è nell’aria da giorni e ieri è stata rilanciata da Bloomberg. La compagnia è numero due al mondo per capitalizzazione, seconda alla sola Apple. Ai valori di mercato di ieri di 32,40 rial (8,64 dollari), vale circa 2.090 miliardi di dollari. Il suo sbarco in borsa avvenne nel dicembre del 2019 dopo anni di attesa. Era la primavera del 2016 quando il principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS) svelò la sua “Vision 2030”.

Si trattava di un insieme di riforme con l’obiettivo di sganciare l’Arabia Saudita dalla dipendenza del petrolio entro la fine di questo decennio.

Privatizzazione parte di Vision 2030

Tra le numerose misure previste vi era anche la privatizzazione, pur parziale, della compagnia petrolifera. Tre anni e mezzo fa, il regno decise di passare ai fatti con la vendita di azioni Aramco per una quota dell’1,7%. Incassò 29,4 miliardi di dollari, valorizzando così la società oltre 1.700 miliardi. Promise agli azionisti la distribuzione di 18,75 miliardi di utili per ogni trimestre, pari a 75 miliardi all’anno. A partire dall’ultimo trimestre dello scorso anno, tale dividendo è stato aumentato a 19,5 miliardi per trimestre.

Nei giorni scorsi, presentando i conti relativi al primo trimestre di quest’anno sempre Aramco allettava il mercato con un nuovo annuncio: i dividendi saranno agganciati al flusso di cassa per il 50-70%. Questa decisione era stata colta come un altro tentativo di Riad di attirare capitali, in vista della sua seconda IPO. Ad oggi, lo stato saudita detiene il 98,3% del capitale. Lo scorso anno, l’8% di questo è stato trasferito in capo al fondo sovrano Public Investment Fund (PIF). Sempre nel 2022, grazie al boom delle quotazioni petrolifere, Aramco maturò un profitto di 161,1 miliardi di dollari. Nei primi tre mesi del 2023, invece, l’utile netto è sceso a 31,9 miliardi, -19,2% su base annua.

In effetti, nel periodo aveva venduto in media il greggio a 81 dollari contro i 97,7 dollari dello stesso trimestre del 2022. Da leader de facto dell’OPEC, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, i sauditi hanno annunciato in aprile il taglio dell’offerta di greggio da parte dell’intero cartello per 1 milione di barili al giorno a partire da maggio. Una decisione frutto del tentativo di rinvigorire le quotazioni internazionali. Dopo una breve fiammata, invece, queste sono ripiegate sotto i 75 dollari.

Incassi IPO per diversificare economia saudita

Se lo stato decidesse di vendere anche solo un altro 1% delle azioni Aramco, incasserebbe ai valori di borsa attuali circa 20 miliardi. Denaro che il regno con ogni probabilità investirebbe per accelerare il processo di diversificazione della sua economia. Pur in calo, l’incidenza delle estrazioni di idrocarburi su PIL e gettito fiscale resta preponderante. D’altra parte, proprio per ridurre la dipendenza dal settore minerario la legislazione sta favorendo da anni la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Questa risulterebbe più che triplicata nei cinque anni al 2022, raggiungendo il 37%.

Tra i progetti peculiari per modernizzare il paese ve n’è uno a dir poco avveniristico. Si tratta di costruire una mega-città lineare a nord del Mar Rosso, in pieno deserto e al confine con Egitto e Giordania. La nuova realtà avrebbe trasporti pubblici alimentati esclusivamente ad energia solare e accoglierebbe gli investimenti domestici e stranieri con una legislazione di favore, che tra l’altro esenterebbe i residenti dall’osservanza delle leggi islamiche. Insomma, un paradiso finanziario futuristico saudita che si chiamerà Neom. Costo stimato: 500 miliardi di dollari.

Azioni Aramco, nuova IPO attirerà capitali occidentali?

Resta da vedere quale sarebbe in Occidente la reazione degli investitori alla vendita del nuovo pacchetto di azioni Aramco. A differenza dell’IPO nel 2019, le relazioni tra Riad e Washington si sono ridotte ai minimi termini.

Sul piano geopolitico i sauditi si sono avvicinati molto a cinesi e russi e segnalano apertamente di guardare più all’Asia che non ad Europa e Nord America. Uno dei fattori che starebbero pesando sul riposizionamento risiederebbe nella convinzione che per il petrolio non ci sarà un grande futuro in Occidente, a causa della transizione energetica ambita dai governi e dei bassi tassi di crescita economica. Viceversa, economie come Cina e India continuano a crescere a ritmi incalzanti e sono sempre più affamate di energia.

La transizione energetica rappresenta la principale minaccia per le azioni Aramco. Chissà se il regno non stia immaginando una seconda vendita al mercato per cercare di battere il ferro finché è caldo. Nessuno immagina che il mondo sia privo di estrazioni petrolifere da qui a pochi anni. Tuttavia, più aumenta la generazione di energia da fonti rinnovabili e minore la domanda di idrocarburi, con contraccolpi alle quotazioni e ai profitti delle società estrattive. Vedremo, infine, se sarà venduta parte della quota in capo allo stato o al fondo sovrano. Anche questo aspetto ci direbbe qualcosa circa l’utilizzo del denaro incassato.

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