I sondaggi darebbero Fratelli d’Italia in testa tra tutti i partiti con oltre il 20% dei consensi. Il 2021 è stato ad oggi un anno straordinariamente positivo per Giorgia Meloni, le cui credenziali di accesso per Palazzo Chigi si sono obiettivamente rafforzate in vista delle prossime elezioni politiche. Vale la pena, quindi, analizzare la proposta sul reddito di cittadinanza arrivata da destra. Se Matteo Salvini e Matteo Renzi si sono schierati apertamente per l’abrogazione del sussidio – l’ex premier sta raccogliendo le firme per indire un referendum al riguardo – la posizione dell’unica leader donna nel panorama politico nazionale è leggermente differente.

Reddito di cittadinanza rimpiazzato da un nuovo sussidio

Meloni è sempre stata contraria al reddito di cittadinanza, considerandolo un disincentivo al lavoro e un mezzo a disposizione dei furbi. A suo avviso, servono strumenti per creare lavoro. Solo così, spiega nelle sue interviste e in giro per l’Italia, si potrà affrontare seriamente e strutturalmente il tema della povertà tra le famiglie. Per questo, la proposta del suo partito sarebbe la seguente: sostituire il reddito di cittadinanza con un cosiddetto assegno di solidarietà.

Vediamo più nel dettaglio di cosa si tratterebbe. Secondo Fratelli d’Italia, il nuovo sussidio andrebbe a beneficio di famiglie senza reddito, senza risparmi e senza una seconda abitazione. Di base, ammonterebbe a 300 euro e l’importo sarebbe aumentato di 250 euro per ciascun componente familiare a carico. Non sappiamo se, come crediamo, la proposta fissi anche un limite massimo per l’importo complessivo. La vera differenza con il reddito di cittadinanza, però, sarebbe la seguente: il beneficiario s’impegna obbligatoriamente a lavorare alle dipendenze dello stato e/o del comune di residenza per lo svolgimento di alcune mansioni di pubblica utilità.

I pro della proposta sull’assegno di solidarietà della Meloni

Rispetto al reddito di cittadinanza, qui il sussidio sarebbe erogato in stretta connessione con lo svolgimento di un lavoro.

Eviterebbe alla radice che si richieda l’assegno di solidarietà per bivaccare in giro o stare seduti sul divano di casa. Allo stesso tempo, i furbi non avrebbero tendenzialmente modo di spuntarla, dato che non sarebbero in grado di lavorare in nero (perlomeno, a tempo pieno) incassando il sussidio, dovendo prestare servizio per un qualche ente pubblico. Infine, specialmente i sindaci potrebbero ricorrere a una manodopera di riserva e a costi molto bassi (non nulli, come vedremo) per sopperire a sempre più frequenti carenze di personale. Pensate a un parco comunale da pulire.

I contro del nuovo sussidio

Già oggi, a dire il vero, la legge consente ai sindaci di attingere all’elenco dei beneficiari del reddito di cittadinanza per lo svolgimento di lavoretti di pubblica utilità. Ma la norma ha trovato scarsa attuazione, non sempre per colpa delle amministrazioni locali. Il punto è che l’ente deve assumersi i rischi e i costi derivanti da tali prestazioni, tra cui quelli relativi alla sicurezza sul lavoro. E non tutti i beneficiari risultano idonei sul piano psico-fisico. Pensate a un ultra-sessantenne in cattive condizioni di salute, chiamato a rimuovere le erbacce da uno spazio verde.

Secondariamente, l’assegno di solidarietà così concepito non evita del tutto che il sussidio si trasformi in uno stile di vita. Sono espedienti già visti con il famosi “lavori socialmente utili”, una sorta di anticamera per assunzioni dal sapore clientelare a tempo indeterminato a distanza di svariati anni. Lavoricchiare per il proprio comune tot ore a settimana non scoraggerà probabilmente il ricorso al sussidio, mentre rischia ugualmente di disincentivare l’occupazione. Infine, gli stessi enti pubblici vedrebbero l’assegno di solidarietà un modo per reperire manodopera a basso costo. Così facendo, eviterebbero di aggiornare la pianta organica con regolari concorsi e finirebbero per peggiorare la qualità dei servizi erogati con l’impiego più discrezionale di risorse umane non qualificate e a tempo parziale.

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