Il governo Conte cambia pelle. Il premier resta lo stesso, ma la composizione della maggioranza che lo sostiene ne esce stravolta: fuori la Lega, dentro il Partito Democratico. Per la Commissione europea, che sarà guidata tra poco più di un mese dalla tedesca Ursula von der Leyen, un’ottima e insperata notizia. I rapporti con Roma nei 14 mesi del governo giallo-verde erano stati molto tesi, data la natura euro-scettica sia del Movimento 5 Stelle che della Lega. Adesso, da Bruxelles giungono segnali distensivi sui conti pubblici.

Per il 2020 serviranno oltre 23 miliardi di euro solamente per sventare le clausole di salvaguardia, le quali farebbero scattare maxi-aumenti dell’IVA. Nessuno in Italia e nemmeno nell’Eurozona vorrebbe che i consumi privati fossero colpiti nel nostro Paese, quando già l’economia europea si mostra in affanno e in Germania sarebbe già in recessione.

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Tra le ipotesi di cui si inizia a discutere sul tavolo del neo-ministro dell’Economia, Robert Gualtieri, vi è quella di innalzare il deficit al 3% del pil, la soglia massima di tolleranza per il Patto di stabilità. Improbabile che i commissari ci concederanno tanto, mentre più concreto lo scenario che si accontenteranno di un deficit in area 2%, cioè sostanzialmente stabile rispetto all’anno in corso, così da non costringere il governo “amico” ad adottare misure impopolari.

Cosa cambia con lo spostamento a sinistra del governo Conte

Ciò detto, lo spostamento dell’asse di governo a sinistra non sarebbe così neutrale come tendiamo a credere. Il PD si è fatto la fama di tutore dell’ordine fiscale, ma non certo con tagli alla spesa pubblica, quanto puntando alla massimizzazione delle entrate. Se la Lega puntava, almeno sul piano della propaganda, alla “flat tax”, il taglio delle tasse non rientra nei piani del Nazareno, sebbene si parli in questi giorni di possibile abbattimento del cuneo fiscale, in modo da sostenere le retribuzioni dei lavoratori e i consumi delle famiglie.

Tuttavia, mai come questa sarebbe una potenziale occasione d’oro per introdurre una imposta patrimoniale. I grillini delle origini e la sinistra sono favorevoli a una tassazione della ricchezza delle famiglie, in quanto perseguirebbe finalità di equità sociale e garantirebbe allo stato maggiori entrate, senza per questo colpire le fasce di reddito più basse. Stangare i “grossi” patrimoni è da decenni il sogno impronunciabile del centro-sinistra, ma mai realizzato per la veemente opposizione delle forze politiche di centro-destra. Stavolta, con i grillini alleati sarebbe teoricamente meno complicato varare simili misure, perché si giocherebbe allo scaricabarile quando vi sarebbe di rendere conto agli italiani.

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Come sarebbe la patrimoniale di PD e 5 Stelle

La patrimoniale a cui Gualtieri metterebbe mano e che sarebbe benedetta dai mercati finanziari avrebbe le sembianze, con ogni probabilità, di un’aliquota applicata sul complesso dei beni immobili, mobili e finanziari delle famiglie, magari come in Francia dopo avere esentato i patrimoni medio-bassi con l’introduzione di una franchigia (fino a 500.000 euro?). Tecnicamente, tale ipotesi comporterebbe svariati e grossi problemi, come nel caso di investimenti in assets fisici o anche finanziari non facilmente liquidabili. Come farebbero le famiglie a sostenere l’onere fiscale in questi casi?

Gli stessi risparmi in banca verrebbero intaccati. A tale proposito, sappiamo che oltre 1.700 miliardi di euro risultano depositati da famiglie e imprese in forma di conti e investiti in minima parte in obbligazioni e pronti contro termine. La ricchezza complessiva privata in Italia si aggira intorno ai 10.000 miliardi di euro. Un’aliquota dello 0,1% garantirebbe gettito per 10 miliardi, sempre che fosse applicata in misura lineare e senza franchigie. L’alta concentrazione renderebbe la stangata più accettabile sul piano politico, se è vero che Banca d’Italia stima che il 5% delle famiglie italiane deterrebbe il 40% dei patrimoni totali.

In pratica, meno di 1 milione di nuclei familiari disporrebbe di 4.000 miliardi tassabili. Il governo giallo-rosso prenderebbe due piccioni con una fava: farebbe cassa e si alienerebbe le simpatie di una minoranza della popolazione.

Un provvedimento di questo genere piacerebbe così tanto ai commissari europei, che essi dimostrerebbero la loro gratitudine con la concessione di dosi di flessibilità fiscale per un periodo di anni congruo. In fondo, l’extra-gettito per il nostro Tesoro, sommato al crollo della spesa per interessi sul debito per via del clima più disteso tra le due parti, garantirebbero conti risanati. Per contro, le conseguenze di una patrimoniale sulla crescita dell’economia, gli investimenti e i processi di accumulazione del risparmio sarebbero così nefasti, che alla lunga lo stato perderebbe ciò che avrebbe prima preso. Ma questo poco importa ai miopi funzionari di Bruxelles e ai ragionieri di Via XX Settembre.

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