Il presidente francese Emmanuel Macron ha deciso di accogliere clamorosamente la richiesta di estradizione dell’Italia circa a 10 tra ex brigatisti rossi e altri terroristi. E’ la fine della “dottrina Mitterand” o forse la sua più genuina attuazione dopo quattro decenni, ma anche una pagina di storia per archiviare una volta per tutte gli Anni di Piombo. Così è stato ribattezzato il periodo che va dalla fine degli anni Sessanta agli inizi degli anni Ottanta.

L’eredità di quel periodo buio per l’Italia resta viva, per quanto continuiamo ad ignorarla.

Non parliamo solamente delle centinaia di morti e del clima di violenza che si visse specialmente negli anni Settanta. Gli Anni di Piombo hanno rappresentato l’inizio della fine della Prima Repubblica e, soprattutto, del declino dell’economia italiana.

Non si può capire cosa sia accaduto all’Italia negli ultimi 40 anni senza conoscere la triste storia degli Anni di Piombo. Verso la fine degli anni Sessanta, la nostra economia mostrava già i primi segni di rallentamento dopo due decenni abbondanti di boom post-bellico. I cambiamenti sociali che tale “miracolo” aveva portato, sfociavano in rivendicazioni di piazza a favore di maggiori diritti per i lavoratori e le famiglie meno abbienti. In questo clima, viene varato lo Statuto dei Lavoratori nel 1970. Ma non basta. Complice la crisi petrolifera del 1973, al rallentamento della crescita si coniuga l’inflazione a due cifre. Il malessere sociale dilaga, la violenza politica pure.

Gli effetti degli Anni di Piombo

Sono gli Anni di Piombo, con attacchi a persone e sedi istituzionali specie nelle grandi città del centro e del nord. Il sistema politico e imprenditoriale cerca di reagire. Nel 1975, l’allora presidente di Confindustria, Gianni Agnelli, sigla con i sindacati un accordo per introdurre la “scala mobile”. E’ un meccanismo di indicizzazione dei salari all’inflazione tramite i cosiddetti punti di contingenza.

In teoria, avrebbe dovuto salvaguardare il potere di acquisto dei lavoratori e allentare la tensione nelle fabbriche. Finì per amplificare l’inflazione e per appiattire i salari. Infatti, s’innescò una spirale inflazione-rivalutazione salariale-inflazione. E poiché i salari più alti erano adeguati in misura minore all’inflazione, negli anni le distanze tra fasce di lavoratori si ridusse drasticamente, alimentando frustrazione e scarso incentivo al lavoro, alla produttività e allo studio.

Gli Anni di Piombo raggiunsero il culmine nel drammatico 1978, quando le Brigate Rosse sequestrano e uccisero circa un mese e mezzo più tardi il segretario della Democrazia Cristiana e più volte premier e ministro, Aldo Moro. L’Italia sprofondava nella paura e nella paralisi politico-istituzionale. Col senno di poi, i brigatisti ottennero un indubbio successo nel picconare le istituzioni, anche se i frutti arrivarono solamente circa un quindicennio più tardi.

Già negli anni Settanta, per venire incontro alle molteplici richieste dal basso, i governi avevano allentato la politica fiscale. I deficit iniziavano a lievitare, ma è con l’arrivo degli anni Ottanta che la situazione sfugge definitivamente di mano. Dopo un lungo decennio di tensioni, crisi e violenze, l’Italia si mette alle spalle gli Anni di Piombo e sembra rifiorire già nello spirito. La politica inizia a svecchiarsi. Alla guida del governo arriva il primo premier non democristiano dal Secondo Dopoguerra con il repubblicano Giovanni Spadolini e poco dopo il socialista Bettino Craxi. Quest’ultimo fu a capo di un governo retto dal “pentapartito” (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli) tra il 1983 e il 1987, l’esperienza più lunga dopo quella di Alcide De Gasperi.

Il canto del cigno dell’Italia

L’Italia torna a crescere, arriva a diventare la quarta potenza industriale del pianeta e la crisi sembra solo un brutto ricordo lontano. Ma sono le voragini nei conti pubblici a finanziare il nuovo boom.

Nessun governo se la sentiva di mitigarne la portata, consapevole solo l’uso smodato della leva fiscale aveva reso possibile il raggiungimento della pace sociale. La tassazione cresce anch’essa, ma non allo stesso ritmo della spesa. E così, se a inizio anni Settanta il rapporto debito/PIL era ancora del 40%, 20 anni più tardi risulta triplicato sopra il 120%.

Gli Anni di Piombo ci consegnano due eredità malsane: la gestione dissennata dei conti pubblici per accontentare le richieste anche contrapposte delle varie categorie sociali; la perdita di credibilità delle istituzioni, testimoniata dall’esplosione dei tassi d’interesse, a sua volta conseguenza dell’incapacità (mancata volontà) dei governi di combattere tempestivamente ed efficacemente l’alta inflazione. Quest’ultima iniziò il suo declino solo dopo il Decreto di San Valentino del 1984, con cui il governo Craxi eliminava la scala mobile. Un referendum popolare nella primavera del 1985 confermò a sorpresa tale indicazione.

In definitiva, gli Anni di Piombo fiaccarono la politica, rendendola debole. E una politica debole è storicamente propensa al deficit spending e a tollerare alti tassi d’inflazione. Chiaramente, l’esito di questo disastro economico si ebbe a inizio anni Novanta, quando la necessità di avviare un percorso di risanamento dei conti pubblici fece ripiombare la classe politica nell’estrema impopolarità, stavolta acuita dalle indagini del pool di Mani Pulite sulla corruzione diffusa e risaputa. Il resto è quasi cronaca: ingresso nell’euro a tappe forzate, spegnimento della crescita, rapporto debito/PIL nuovamente in fuga dopo la crisi del 2008-’09, tramonto anche della classe politica sorta dalle ceneri della Prima Repubblica e perdita di centralità dell’Italia negli assetti geopolitici ed economici internazionali.

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