Dal pittoresco Schloss Elmau immerso nelle alpi bavaresi, gli stati del G7 annunceranno oggi l’embargo anche contro l’oro russo. Nel fine settimana scorso, era stato il presidente americano Joe Biden a dichiararlo come un passo imminente. Con questa misura, l’Occidente punta a colpire la seconda fonte di esportazioni in Russia dopo l’energia. Nel 2020, Mosca vendette nel resto del mondo metallo per 19 miliardi di dollari, di cui per il 90% proprio verso i paesi del G7. E nei giorni scorsi si è aperto un caso in Svizzera, allorquando dai controlli doganali è emerso che nel mese di maggio nel paese alpino siano entrate 3 tonnellate di oro russo per un controvalore di 200 milioni di franchi.

Le autorità elvetiche hanno successivamente spiegato che i lingotti sono arrivati dal Regno Unito.

Il caso dell’oro russo in Svizzera

La Svizzera ha adottato le stesse sanzioni dell’Occidente contro la Russia. Le importazioni di oro russo non sono proibite, ma le esportazioni sì. Poiché il paese è un hub mondiale di oro, di fatto ha vietato la commercializzazione dell’oro di provenienza russa.

Con l’embargo annunciato dal G7, l’Occidente punta a colpire un business fiorente in Russia, paese che estrae ogni anno il 10% dell’oro di tutto il mondo e che incide per il 5% delle esportazioni globali. Non c’è solo questo discorso, però. La Russia negli ultimi anni ha accresciuto notevolmente le sue riserve auree, portandole a oltre 2.300 tonnellate nel primo trimestre di quest’anno. L’oro russo è un asset che sta dando forza alla credibilità del sistema finanziario domestico e che limita l’efficacia delle sanzioni occidentali. Con l’embargo Europa e Nord America vogliono lanciare un messaggio forte a Mosca: non potrete sfuggire in alcun modo alle nostre misure punitive.

L’America teme la dedollarizzazione

E il messaggio sembra rivolto anche a paesi come Cina e India, che in questi mesi stanno intensificando le relazioni commerciali con la Russia.

Per quanto l’embargo riguarderebbe i soli paesi del G7, l’obiettivo del consesso sarebbe di mettere pressione a Pechino, dissuadendola dal legarsi troppo a Mosca. Anche perché la scorsa settimana i paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) si sono riuniti e hanno deciso di portare avanti l’idea di una valuta alternativa al dollaro negli scambi internazionali. Tale valuta sarebbe “commodities-based”, cioè garantita dalle materie prime di cui tali paesi abbondano. E l’oro è una di queste. Sanzionarlo implica ridurne la credibilità come asset a garanzia di una qualsivoglia valuta domestica o internazionale.

Per quanto il progetto non sembri scalfire la rilevanza del dollaro nei commerci e nella finanza globali da qui ai prossimi anni, l’annuncio minaccia l’ordine mondiale sorretto proprio sul biglietto verde. E prima che possa attirare le attenzioni di altri stati o diventare realmente insidioso, gli USA hanno subito voluto mettere le cose in chiaro. L’embargo sull’oro russo serve per ammonire l’Asia, in particolare. Nessuno osi ipotizzare la dedollarizzazione.

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