Mugugni, mal di pancia e stracci che volano dentro Forza Italia per la mancata nomina a ministro di Licia Ronzulli, nuova capogruppo al Senato e vicinissima all’ex premier Silvio Berlusconi. La nascita di un nuovo governo è naturalmente sempre accompagnata dalle polemiche sulle nomine di ministri e sottosegretari. Centinaia i pretendenti, a fronte di poche decine di posizioni disponibili. Ma la vera mappa del potere politico in Italia non sta in questi numeri, bensì in altri di maggiore rilievo. Tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, arrivano a scadenza centinaia di cariche delle partecipate statali da rinnovare.

Parliamo di ENI, ENEL, Leonardo, Poste Italiane, Consip, AMCO e Monte Paschi di Siena solo per limitarci ai nomi salienti.

Le mani sulle partecipate

Di fatto, Giorgia Meloni ha l’opportunità storica per la destra di mettere mano al sistema di relazioni industriali, per moltissimo tempo ormai in mano ai governi di centro-sinistra. Società che incidono per buona parte delle cosiddette “blue chips” quotate a Piazza Affari e, soprattutto, sulla composizione di Confindustria. La sola ipotesi, durante il governo giallo-verde, di far uscire le partecipate statali fece tremare allora il sistema di potere dietro all’associazione degli imprenditori.

Il governo Meloni si trova dinnanzi ad una doppia tentazione: ridefinire i rapporti con il sistema industriale a favore del centro-destra da un lato e mostrarsi in continuità con i governi precedenti sul piano delle nomine. Probabile che alla fine ne scaturirà una soluzione di compromesso: rinnovamento sì, ma senza strappi. La premier non vorrà dare l’immagine di una maggioranza all’assalto dei CDA per “rottamare” i vecchi quadri dirigenti. D’altra parte, sarebbe ingenuo pensare che non ne approfitterà per ribilanciare l’assetto di potere.

Non si tratta ovviamente solo di nominare nelle partecipate uomini e donne vicini ai partiti del centro-destra per esercitare indirettamente potere nel sistema economico.

I dirigenti delle società a partecipazione statale sono gli esecutori delle indicazioni e della visione impartite dall’azionista di riferimento, cioè dal governo. E tra centro-destra e centro-sinistra alcuni indirizzi mutano. Basti pensare a TIM, con il governo Draghi favorevole allo scorporo tra rete e servizio e alla successiva fusione con Open Fiber, mentre Fratelli d’Italia ha presentato il piano Minerva.

Cambi di casacca in vista tra i manager

La quantità delle nomine in gioco per le partecipate, poi, la dice lunga circa l’enorme influenza che ancora oggi lo stato, ergo la politica, esercita sull’economia domestica. E non sempre con risultati positivi, come dimostrano i casi proprio di TIM, ex Alitalia e MPS. Poiché le cariche durano per tre anni, in corso di rinnovo ci saranno le nomine avvenute con il governo giallo-rosso di Movimento 5 Stelle e PD. Per i grillini (contiani), in particolare, sarà una bella botta la perdita dell’ultimo aggancio al sistema di potere lasciato con la fine del secondo governo Conte.

Non è un caso che, nelle ultime settimane, dal mondo industriale siano arrivate parole al miele nei riguardi della neo-premier. Diversi dirigenti in scadenza vorrebbero essere riconfermati, pur essendo (stati) ad oggi riferimento di un mondo politico di colore opposto al blu dei conservatori. Qualcuno sarà accontentato, anche per ragioni di stabilità del sistema. Molti altri dovranno rassegnarsi ad attendere una congiuntura politica loro più favorevole. L’era Meloni debutta proprio con le nomine nelle decine di partecipate statali.

[email protected]