Quando bisogna verificare lo stato di salute di un’economia, sono cinque i dati macro a cui si guarda essenzialmente: tasso di crescita del PIL, tasso di disoccupazione, tasso d’inflazione, bilancia commerciale e debito pubblico. Non c’è dubbio che l’Area Euro sia da qualche tempo in grosso affanno: cresce poco da oltre un decennio a questa parte, ha un debito pubblico crescente in rapporto al PIL e adesso registra un tasso d’inflazione a doppia cifra. Quest’ultimo dato capta la vera crisi dell’Europa, che rischia di rivelarsi più pesante e duratura di quanto immaginiamo.

La stabilità dei prezzi è giustamente considerata un obiettivo di politica monetaria praticamente ovunque. Ma sono in poche le economie che nel mondo riescono a centrarla in modo duraturo. Molte altre hanno istituzioni troppo deboli per potere tenere l’inflazione sotto controllo. Il compito richiede, infatti, la capacità della banca centrale di rendersi autonoma dalle decisioni dei governi. Questi vorrebbero spendere al di sopra delle loro possibilità e farsi finanziare i deficit fiscali attraverso stamperie di moneta.

Non a caso, alti deficit convivono quasi sempre con alti livelli d’inflazione. Nell’Area Euro, negli anni precedenti alla pandemia la BCE sembrò avere trovato il Sacro Graal: fiumi di liquidità per consentire a governi e aziende di tirare avanti malgrado i debiti, senza che ciò facesse salire l’inflazione. L’esperimento monetario s’infrangeva con la pandemia. Tra chiusure delle attività e interruzione delle catene di produzione, l’offerta di beni e servizi crollava mentre i governi varavano potenti stimoli fiscali in deficit per aiutare famiglie e imprese.

Cause dell’alta inflazione

L’enorme quantità di moneta iniettata sul mercato faceva esplodere l’inflazione a partire dalla fine del 2021. La BCE con diversi mesi di ritardo inizia a reagire dalla scorsa estate alzando i tassi d’interesse.

Poco prima aveva cessato gli acquisti dei bond. Si dirà che gran parte dell’inflazione al 10% sia dovuta ai postumi della pandemia, per cui BCE e governi hanno scarse responsabilità in merito. Nulla di più sbagliato. Senza gli esperimenti dei tassi negativi, la liquidità in circolazione sarebbe stata molto inferiore e i prezzi non sarebbero potuti crescere granché.

E c’è di peggio. Le strozzature dell’offerta dei mesi passati e ancora parzialmente esistenti hanno sì a che fare con la pandemia, ma sono il sintomo di una crisi dell’Europa strutturale. Tra alta tassazione, regolamentazione asfissiante e pregiudizi ideologici, molte produzioni sono state delocalizzate in economie del pianeta più congeniali. Nel Vecchio Continente i governi, spesso mossi da interessi lobbistici, pretendono che chi produce non inquini e paghi tasse esorbitanti per mantenere un sistema assistenziale sempre più dai connotati parassitari.

Crisi Europa strutturale

Dentro il dato dell’alta inflazione c’è tutto questo e anche di più. C’è l’incapacità dell’Europa di rendersi autonomia sul piano energetico. C’è la crescente incapacità dei governi di dire “no” quando serve. La spesa pubblica dilaga, le entrate non tengono il passo e l’unica valvola di sfogo trovata per rimediare alla crisi fiscale è il lassismo monetario.

Nella piccola Svizzera, dove le follie ecologiste, assistenziali e delle stamperie monetarie non hanno attecchito, guarda caso l’inflazione resta contenuta al 3%. La lotta all’inflazione di questi mesi si rende necessaria anche per mascherare la crisi dell’Europa. Più la crescita dei prezzi resterà alta a lungo, maggiore sarà la consapevolezza nell’opinione pubblica che le istituzioni comunitarie e nazionali siano disfunzionali. E ad oggi l’euro si regge sull’assunto che senza staremmo tutti peggio.

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