Quando pensiamo all’Olanda, le prime immagini che ci vengono in mente sono le mucche sui verdi prati, i mulini a vento e i più giovani forse anche ai coffee shop e al quartiere a luci rosse di Amsterdam. Sappiate che uno di questi cliché presto potrebbe essere spazzato via per legge. Non stiamo parlando né dei coffe shop, né delle donne in vetrina al quartiere De Wallen. Una proposta di legge del governo Rutte punta a ridurre di un terzo i capi di bestiame nel paese entro il 2030.

A rischio vi sarebbero oltre 30 milioni tra maiali, mucche e galline. Ce ne sarebbero troppi in circolazione. L’Olanda guida la classifica europea della maggiore concentrazione di allevamenti pro-capite. Secondo gli studi governativi, essi sarebbero la causa degli alti livelli di inquinamento.

Governo Rutte contro gli allevamenti

Non è un mistero che il letame prodotto dal bestiame inquini. Insieme all’urina, rilascia azoto e ammoniaca. E così il governo ha deciso che i livelli di inquinamento debbano essere tagliati tra il 12% e il 70%, a seconda delle aree. Le più colpite sono le zone agricole. Per questo ha stanziato 25 miliardi di euro da qui al 2030 per convincere inizialmente con le buone gli agricoltori a cambiare attività. Il piano offrirebbe sostegno anche agli allevamenti trasformati da intensivi a estensivi, cioè con maggiore superficie disponibile per i capi di bestiame.

Gli agricoltori olandesi protestano da diversi giorni, perché temono che alla fine saranno costretti a mandare al macello milioni di mucche, maiali e galline o a chiudere del tutto. Questo secondo rischio riguarderebbe 11.200 delle 17.600 attività oggi presenti nel paese. Chiedono che il programma conservi natura esclusivamente volontaria e più tempo per adeguarsi, confidando anche sulle nuove tecnologie.

Ridurre il numero degli allevamenti in Olanda sembra l’ultima follia di una visione ecologista a Bruxelles senza alcun riguardo per la realtà e per l’opportunità, dato il momento storico.

Se c’è un incubo che sta attanagliando gran parte del pianeta in questa fase è la crisi alimentare. Certo che avanzare un piano per ridurre la produzione di cibo appare frutto di un autolesionismo ideologico. Le esportazioni olandesi ne risentirebbero negativamente e non è detto che il sacrificio compiuto dagli agricoltori avrà un qualche effetto positivo sull’ambiente.

Le ragioni degli agricoltori olandesi

Senza abbassare la domanda globale di cibo, l’unico risultato che l’Olanda otterrebbe abbattendo gli allevamenti sarebbe di aumentare la dipendenza alimentare dall’estero. In altre parole, l’Europa dovrebbe acquistare più carne rossa e bianca dal resto del mondo, dove con ogni probabilità i criteri ambientali sono molto più blandi. Dunque, meno allevamenti intensivi in Europa e più in Cina, India, ecc. E non solo: aumenterebbe il trasporto di tali macellazioni, con tutto quanto ne consegue in termini di maggiore inquinamento globale a causa dei più elevati km percorsi. Senza parlare per i rischi alla salute dei consumatori, visto che le importazioni alimentari da fuori Europa ci esporrebbero all’uso di sostanze nocive vietate nell’Unione Europea.

Come sempre più spesso capita in Europa, dalle buone intenzioni scaturiscono legislazioni demenziali e illogiche. Se l’Olanda si limitasse a incentivare gli allevamenti meno intensivi, i risultati potrebbero anche essere positivi. Se si spingesse fino a perseguire una drastica riduzione dei capi di bestiame, la sua economia pagherebbe subito le conseguenze, la condizione alimentare dell’intero continente peggiorerebbe e il sacrificio non sarebbe servito proprio a nulla.

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