“Non disturbare chi fa”. La premier Giorgia Meloni ha dichiarato alla Camera, in occasione della richiesta del voto di fiducia di martedì mattina, che questo sarà “il motto” del suo governo per l’intera legislatura. Anche in campagna elettorale aveva più volte affermato che “lo stato non deve rompere le scatole a chi produce”. E ieri, entrando più nello specifico per fare il punto del suo programma di governo, ha aggiunto diversi aspetti di interesse. Ha prospettato una “pace fiscale” per i contribuenti, un fisco più leggero per le imprese e i lavoratori, anche attraverso l’abbattimento graduale fino a cinque punti del cuneo fiscale, nonché introducendo pian piano il quoziente familiare.

Infine, ha sostenuto la necessità di cambiare i criteri di valutazione dell’Agenzia delle Entrate.

Riforma riscossione, Meloni punta sugli incassi

Quando si parla di fisco, non c’è italiano che non tenda l’orecchio. E in molti si sono chiesti a cosa abbia fatto riferimento Meloni in merito all’Agenzia delle Entrate. Il discorso è semplice, sebbene riguardi un argomento piuttosto tecnico. Ad oggi, i risultati dell’ente (e i relativi premi di produzione concessi ai funzionati) sono commisurati agli importi contestati. Il governo di centro-destra vorrebbe legarli agli importi effettivamente incassati.

Dovete sapere che nel magazzino dell’Agenzia delle Entrate esistono decine di milioni di cartelle esattoriali per un importo complessivo da riscuotere superiore ai 1.000 miliardi di euro. Praticamente, se l’ente fosse in grado di incassare tale cifra, avremmo risolto tutti i nostri problemi di debito pubblico. Ma il fatto è che, realisticamente, appena il 5% è considerato ormai esigibile. La restante somma del 95% farebbe capo a contestazioni nei riguardi di persone fisiche decedute e con eredi assenti o ignoti, imprese fallite, nullatenenti, ecc.

Ora, il punto è che l’Agenzia delle Entrate può anno dopo anno “farsi bella” comunicando di avere scovato tot miliardi di euro di evasione fiscale.

Ma se tali somme non vengono incassate, è come parlare del nulla. Vengono anche meno gli incentivi a portare fino in fondo il proprio operato, dato che i criteri di valutazione sono legati agli importi contestati, indipendentemente che poi siano incassati o meno.

Ricetta Zanetti su Agenzia delle Entrate

Sul tema ha detto la sua un esperto in materia e già vice-ministro dell’Economia, Enrico Zanetti. Intervenendo sui social, ha definito “sacrosanta” la volontà del nuovo governo di procedere a una revisione dei criteri di valutazione. Ma ha anche aggiunto che sarebbe “ormai così da 20 anni”. In altre parole, la riforma del governo Meloni risulterebbe pleonastica. Invece, ha offerto un altro punto di vista per renderla efficace. Come? Attraverso una “discriminazione qualitativa delle attività di controllo”. Zanetti spiega che il problema che oggi affligge l’Agenzia delle Entrate è quella sorta di “uno vale uno” di “cialtronesca memoria grillina”.

In altre parole, l’ex vice-ministro ritiene che i funzionari abbiano tutta la convenienza a concentrarsi sui casi di evasione fiscale più “facili”, come i soggetti apri e chiudi, i finti nullatenenti e le società estero-vestite. Ci sono casi più difficili come la deducibilità fiscale di alcuni costi e gli errori giuridico-formali, su cui l’Agenzia delle Entrate interverrebbe poco. Perché? Proprio perché comportano un maggiore onere lavorativo, a fronte di criteri di valutazione identici per entrambi i casi.

La proposta di Zanetti consiste, quindi, nel prestare formalmente maggiore attenzione agli incassi derivanti dalle attività di lotta all’evasione più difficili. In questo modo, la stessa evasione fiscale sarebbe aggredita con maggiore efficacia. Si passerebbe, spiega, dalla caccia all’evasore totale a quella dell’emerso. E conclude: a sinistra non l’hanno mai voluta applicare, a destra non l’hanno capita. Che sia la volta buona per una seria riforma della riscossione?

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