Se persino il governatore della Banca Centrale Europea (BCE) riconosce che il problema esiste, è così. Intervistata dal TG1, Christine Lagarde ha spiegato che l’unico modo che abbiamo per sconfiggere l’inflazione è alzare i tassi d’interesse. E ha aggiunto, però, che se ciò accade, allora anche i risparmi dei cittadini devono essere remunerati di più. Una strigliata neppure tanto celata alle banche, che continuano a fare orecchie da mercante. L’ultimo rapporto dell’Associazione bancaria italiana parla di un tasso medio dello 0,64% sui conti deposito dei clienti ad aprile.

Peccato che ad inizio maggio la BCE abbia alzato i tassi d’interesse al 3,75% e che le stesse banche facciano pagare in media un nuovo mutuo sopra il 4%.

Banche italiane tirchie? Non avete visto quelle americane. Negli Stati Uniti esistono 17.100 miliardi di dollari di risparmi in banca, remunerati al tasso d’interesse medio dello 0,4%. I clienti ottengono su base annua qualcosa come appena 67 miliardi. Chissà che non stia smuovendo le acque l’offerta di Apple. Sì, avete capito benissimo, quella che vende i carissimi iPhone. Ad aprile, ha lanciato un conto deposito del 4,15% per i titolari di Apple Card. Il servizio è sostenuto da Goldman Sachs, una delle principali banche d’affari al mondo. Nei primi quattro giorni, Cupertino ha attirato depositi per 990 milioni di dollari.

Repressione finanziaria prosegue a danno dei risparmiatori

Come mai le banche sono solerti nel trasferire il rialzo dei tassi quando devono prestare denaro e, invece, dormono quando si tratta di offrire ai clienti tassi più alti sui risparmi? Il punto è che continuano a traboccare di liquidità, che è stata loro offerta negli anni a palate dalle banche centrali e a costi ridicoli, persino sottozero. C’è anche una ragione ancora meno positiva: la liquidità dei clienti serve per essere prestata a famiglie e imprese che ne abbiano bisogno.

Ma la stretta monetaria punta proprio a ridurre l’erogazione del credito, così che la minore domanda di moneta comprima i prezzi al consumo.

In effetti, l’economia sta ristagnando in Europa, non ancora negli Stati Uniti. Non c’è tutto questo bisogno di liquidità da parte delle banche. Fin qui, siamo alle basi del funzionamento di un’economia. Ma sotto sotto c’è di più, molto di più. Le banche sono assistite ormai con la ventilazione polmonare da quindici anni a questa parte, da quando Lehman Brothers andò a gambe per aria. Le banche centrali si sono inventate nel frattempo di tutto per rianimarle e impedire che qualcosa di simile possa ripetersi. Grosso modo ci sono riuscite, pur al prezzo di una repressione finanziaria senza precedenti. I risparmi sono stati azzannati e i debiti nei fatti sono stati tagliati.

Con l’aumento dei tassi d’interesse, ufficialmente questa politica monetaria non convenzionale è finita. Il costo del denaro lievita, i prestiti all’economia rincarano e gli asset finanziari si deprezzano. Ecco, quest’ultima conseguenza ha provocato una nuova crisi bancaria negli States. Le banche si ritrovano con decine di miliardi di dollari di perdite virtuali, che diventano reali quando rivendono sul mercato bond e persino azioni ai minori prezzi di questa fase. L’ultima cosa che servirebbe alle banche è che iniziassero a salire anche i tassi sui risparmi dei clienti. Se accadesse, svanirebbe l’effetto positivo che la stretta sta avendo sui loro bilanci. Riescono a prestare denaro a tassi più alti, ma remunerando la raccolta quasi come uno o due anni fa.

Risparmi a tasso zero, banche e governi d’accordo

In realtà, conviene anche ai governi che i tassi sui risparmi bancari restino a zero. Questi costituiscono l’unica alternativa concreta ai titoli di stato a breve termine. Le famiglie che vogliono investire in modo sicuro e per un periodo non eccessivo, hanno dinnanzi a loro due possibilità: portare/lasciare i soldi in banca o acquistare bond sovrani come BoT, T-bill, ecc.

Se i conti deposito diventassero molto più remunerativi, offrendo ad esempio la media del 3-4% per vincoli di 12-18 mesi, chi presterebbe soldi agli stati? Ricordatevi che nell’Unione Europea i risparmi sono garantiti fino a 100.000 euro, negli Stati Uniti fino a 250.000 dollari. Questo lascerebbe i governi privi di domanda per i loro titoli, specie sul tratto medio-breve della curva. Sarebbero costretti ad offrire rendimenti ancora più alti e ciò innescherebbe verosimilmente una crisi fiscale.

Ecco arrivati al “pactum sceleris” tra governi e banche. L’aumento dei tassi deve riguardare solo una parte del mercato, cioè la domanda di liquidità (prestiti). L’offerta (risparmi) deve restare a bocca asciutta. In questo modo, l’inflazione può rientrare lo stesso senza intaccare più di tanto i bilanci bancari e statali. Di fatto, sono quasi sempre le grandi banche ad offrire tassi miserrimi, mentre le piccole azzardano qualcosa di più, vuoi per il bisogno di liquidità, vuoi anche perché rientrano un po’ meno in questo schema di accordo tacito tra le parti. In cambio del loro “aiuto”, che si ha anche in forma di prosecuzione negli acquisti dei bond, gli istituti di credito potranno continuare a confidare del sostegno dei governi all’occorrenza. Credit Suisse vi dice nulla?

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