Non sono lontani i tempi in cui il PD trionfava alle elezioni europee con il 40,8%, ottenendo la più alta percentuale mai riscossa da una formazione politica italiana negli ultimi 60 anni. E che dire di un partito, che pur avendo preso solo un quarto dei consensi nel 2013, era riuscito, complice una legge elettorale demenziale (Porcellum) e scritta da avversari sprovveduti (centro-destra), a conquistare tutte le leve del potere, eleggendosi due presidenti della Repubblica e disegnando a suo uso e consumo tutta la mappa del potere politico-finanziario nazionale? Eppure, di quello che è stato definito il “partito-sistema” a Genova non è rimasto quasi niente sabato scorso, quando si sono celebrati i funerali di parte delle vittime del crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto.

Nulla, a parte il risentimento e l’odio che l’esser stati sistema continua a suscitare in vaste porzioni dell’opinione pubblica.

Revoca concessione autostrade, beffa da contratto-capestro 

Mentre Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono stati accolti da un’ovazione, tutt’altro che scontata, essendo rappresentanti, pur da poco, di quello stesso stato contro cui si scagliano le coscienze in questi giorni, Maurizio Martina e Roberta Pinotti, i due volti del PD presenti alla funzione, vengono presi di mira e fatti bersaglio di fischi e urla di contestazione, come “basta” e “vergogna”. Non è difficile capire perché. Subito dopo la tragedia di Genova, se il governo reagiva con l’annuncio della revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, società controllata dalla famiglia Benetton tramite il fondo Atlantia, il Nazareno si affannava a difendere lo status quo e lamentava il crollo del titolo in borsa, si scagliava contro la demagogia della maggioranza e invitava al rispetto dei contratti.

Il declino del PD

Il partito-sistema che fu è diventato così tanto sistema, che nemmeno dinnanzi al sangue di decine di innocenti riesce più a mostrarsi vicino agli interessi degli italiani, preferendo restare rintanato in quel mondo elitario dell’alta finanza e dell’“ancien régime” istituzionale, che lo rendono ormai il facile bersaglio di una popolazione, la quale di tornare indietro non vuole proprio sentirne parlare, quale che sarà l’esito dell’esperienza penta-leghista al governo.

Così muore la Seconda Repubblica, travolta dai fischi di un’Italia stanca di essere governata da uomini avulsi dal mondo terreno, capaci solo di parlare un linguaggio tecnocratico con cui ostentare la propria distanza dalle masse. A detta di Marcello Veneziani, a Genova è crollato quel patto sociale che legava ancora sottilmente governanti e governati, essendo saltato quel welfare, che garantiva che fluisse verso il basso parte di quella ricchezza generata dall’establishment, pur in conseguenza a volte di ruberie.

Il PD, rileva un altro giornalista come Enrico Mentana, è ormai la Dc nel 1992, oggetto di insulti praticamente trasversali, destinato a un epilogo infelice, in quanto identificato con il sistema inefficiente, opaco e ingiusto contro cui il 4 marzo si è registrata una storica reazione popolare alle urne. In realtà, la marcia verso l’abbattimento della Seconda Repubblica andrebbe fatta risalire al febbraio 2013, quando a vincere le elezioni era stato il Movimento 5 Stelle, pur impossibilitato a governare per l’assenza di una maggioranza parlamentare, la quale andò a beneficio della coalizione di centro-sinistra (PD + Sel). Quello era stato un grande segnale di cambiamento, che il PD non solo non colse, ma al contrario stigmatizzò e al quale reagì occupando tutto ciò che si potesse occupare in termini di poltrone, scatenando sul piano mediatico un’offensiva “anti-populista”, che si è tradotta nella derisione di tutto quanto fosse avvertito come critica al potere.

Lasciando stare il fallimento dei 5 anni di governo dem, preceduti da 18 mesi altrettanto fallimentari dell’esecutivo guidato da Mario Monti, quel che rileva qui è che il PD sia stato in grado di dissipare velocemente anche quell’ultima concessione di credito che gli italiani gli avevano garantito con il voto nel 2014 per il rinnovo dell’Europarlamento.

Il premier rottamatore è divenuto l’emblema di un sistema dominante e arrogante, di uno strapotere senza risultati, di chiacchiere prive di concretezza, di un partito affamato di potere per il potere. Che il Nazareno non abbia più possibilità di riprendersi dal declino lo testimonia la sua reazione persino alla batosta di marzo: insulti e urla contro i vincitori delle elezioni, attacchi sguaiati e assenza di proposte e riproposizione di quanto gli italiani hanno ampiamente bocciato negli ultimi tre anni a ogni apertura dei seggi.

La frittata del PD sull’allarme razzismo contro Salvini, un uovo travolge il Nazareno

La vicinanza al capitalismo parassitario tricolore

La tecnocrazia ha ucciso il PD, la sua collusione con il capitalismo italiano squattrinato e dipendente dalle regalie di stato ha trasformato la sinistra in un pezzo dell’establishment contro cui la popolazione si è definitivamente rivoltata. Il peccato originale di quest’area politica risale all’inizio degli anni Novanta, se non agli anni Ottanta e si chiama Iri. Il suo presidente Romano Prodi iniziò a varare privatizzazioni da un lato più che necessarie, ma le cui modalità furono molto criticabili, tanto che in tanti parlarono sin da subito di “svendite”. Pezzi dell’industria nazionale furono ceduti con modalità opache a capitalisti senza capitali, che finirono per essere piuttosto vicini al blocco politico del PDS-DS-PD. La famiglia Benetton, quasi 20 anni fa, si prendeva in gestione gran parte della rete autostradale, pagandola spiccioli e sottoscrivendo un contratto-capestro (per lo stato), di cui alcuni stralci vergognosi sono stati pubblicati dai giornali solo in questi giorni.

Da lì in poi, sinistra e sistema sono andati a braccetto il declino dell’uno è finito per travolgere l’altra. Se nemmeno dinnanzi al desiderio legittimo di giustizia di decine di milioni di italiani, un partito politico riesce a mettere da parte il modo di ragionare tipico del “dottor azzeccagargugli” e preferisce parlare di oscillazioni in borsa e di clausole contrattuali, significa che ha perso ogni capacità di mediazione tra popolo e istituzioni, che ha esaurito la sua funzione naturale e che si avvia al declino inesorabile, e anche piuttosto velocemente.

Ciò che sorprende è, tuttavia, la mancanza di un istinto di sopravvivenza, che dovrebbe quanto meno spingere parte della sua classe dirigente a riannodare il filo del dialogo con la base.

Invece, il PD odierno sembra molto simile all’aristocrazia francese nel 1789, a poche settimane dalla Presa della Bastiglia, chiusa in sé stessa e sprezzante di tutto quanto vi fosse all’esterno. Del resto, il presidente di questo partito, tale Matteo Orfini, invita i sostenitori a segnalare e denunciare ogni profilo social che metta in cattiva luce il PD con “fake news”. Questo da il senso della fine di un’esperienza umana, ancor prima che politica. I democratici vorrebbero risalire nei consensi denunciando mezza Italia, anziché capire le ragioni per cui molti, tra cui numerosi ex elettori, li insultino con frasi da codice penale. Davvero il 19% ottenuto ancora 5 mesi e mezzo fa sarà presto considerato un miraggio al Nazareno.

Così il PD si suicida per odio cieco verso il “nemico”

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