Ogni anno a Davos, località della Svizzera, si riunisce il gotha dell’economia e della politica mondiale. E’ il famoso World Economic Forum, per i detrattori il consesso per eccellenza dell’élite globalista. Molto più prosaicamente, un’occasione per scambiarsi pareri circa il presente e il futuro dell’economia mondiale tra addetti alla finanza e capi di stato e di governo. Quest’anno, il clima nel paese alpino è stato mesto. Avrebbe dovuto essere il vertice della riscossa dopo un biennio segnato dalla pandemia, mentre le previsioni di tutti sono state più negative dei mesi precedenti, per non dire cupe in molti casi.

Tra gli intervenuti c’è stato George Soros, il finanziere di quasi 92 anni di origini ungheresi, che molti in Italia non possono che associare alla speculazione contro la lira nel 1992.

Il pessimismo di Soros

Soros è il teorico della “open society”, della società aperta con forti inclinazioni liberal-progressiste. La scorsa settimana, si è mostrato alquanto pessimista e indispettito con il presidente Xi Jinping, il quale a suo dire rischia di colpire l’intera economia mondiale con la sua politica di Covid zero. Egli rimarca il timore che ciò possa acuire le interruzioni delle catene di produzione e la già alta inflazione, finendo con il provocare una “depressione mondiale”.

Se trovate questa sua espressione esagerata, dovreste avere ascoltato gli altri interventi a Davos, perché al netto di qualche professione formale di cauto ottimismo per il futuro, tutti sono stati improntati a sottolineare i rischi per l’economia mondiale. Jane Fraser, CEO di Citigroup, ha suonato l’allarme delle “tre erre”: “Russia”, “recession”, “rates”. In italiano: Russia, recessione e tassi. Più di tutti, forse, ha captato il mood negativo al forum. La manager ha spiegato che l’Europa sarebbe più a rischio recessione degli USA, avendo la guerra in casa e patendone di più i rincari delle materie prime.

Timori su crisi alimentare

Dal canto suo, il commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni, si è detto convinto che l’Eurozona schiverà la recessione. Ma il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva, ha esternato tutto il suo scetticismo quando ha notato che la settimana precedente i prezzi del petrolio erano scesi un po’ a seguito dei timori per lo stato dell’economia mondiale, mentre quelli dei generi alimentari sono “andati su, su e su”. L’istituto di Washington paventa una crisi alimentare ai danni di molte economie più povere.

A conferma che sia tutt’altro che una prospettiva eccessiva, la telefonata tra Mario Draghi e Vladimir Putin di giovedì scorso. Il primo ha chiesto un atto concreto di pace al secondo, il quale ha risposto contribuirà ad attenuare il rischio di una crisi alimentare in cambio di un allentamento delle sanzioni contro la Russia e del controllo delle rotte commerciali al largo delle coste ucraine. Non è più un sospetto: Mosca punta a impedire l’export di grano ucraino per fare esplodere i prezzi internazionali e destabilizzare le economie straniere attorno al continente europeo.

Vacilla la globalizzazione

Dicevamo, Davos è stata in questi anni la sede del pensiero globalista. Per questo fa ancora più impressione notare il clima quasi di rassegnazione dinnanzi agli eventi. La sensazione che traspare dagli interventi di quest’anno è che, in una certa misura, la globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta sia morta. Pandemia prima e guerra oggi hanno creato le condizioni perfette per tornare a segmentare i mercati sulla base di logiche geopolitiche più che nazionali. Non è un caso che Soros si sia scagliato contro la Cina, perché i suoi nuovi lockdown anti-Covid rischiano più di qualsiasi altra cosa di fare saltare le relazioni commerciali tra Asia e Occidente in maniera irreparabile.

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