Per quasi 62 anni, il socialismo a Cuba ha significato essenzialmente una cosa per l’intera popolazione: vivere quasi gratis. Non solo sanità e scuola non si pagano, ma ogni mese le famiglie ricevono sussidi in forma di generi alimentari pagati decisamente sottocosto e tali da non incidere sui magri stipendi. Un paniere di 19 beni principali, tra cui riso, uova, caffè e sapone, costava appena 75 centesimi di dollaro fino allo scorso mese di dicembre. Adesso, si acquista per 7 dollari. Sembrano cifre risibili, ma non lo sono per un’economia, in cui nel 2019 lo stipendio medio di un cubano era di 879 pesos, pari a meno di 37 dollari al mese al cambio attuale.

Già, il cambio. Anch’esso è mutato con l’arrivo del 2021. Dal 1994, il CUC si scambiava alla pari con il dollaro e contro 24 CUP, tranne per le aziende statali, per cui valeva il cambio di 1:1. Di fatto, gran parte delle importazioni avveniva a un dollaro contro un peso. Il cambio era tenuto artificiosamente alto e questo ha incentivato i cubani a produrre poco e a comprare un po’ tutto dall’estero (80% del cibo), al contempo distorcendo i prezzi interni e favorendo aziende statali improduttive. Adesso, il CUC non c’è più e un dollaro si scambia contro 24 CUP, di fatto una svalutazione di circa il 96%.

Per affrontare i contraccolpi di questa riforma monetaria, stipendi pubblici, pensioni e sussidi sono stati quintuplicati, ma i prezzi stanno esplodendo in misura maggiore. Ad esempio, il riso costerebbe oggi 28 volte in più rispetto a neppure una ventina di giorni fa. L’intento del regime comunista è di favorire la crescita della produttività, della produzione interna, ridurre la dipendenza dalle importazioni, eliminare le distorsioni nella formazione dei prezzi e indurre un maggior numero di cubani a cercarsi un lavoro.

A Cuba circolano solo i pesos emessi da Ernesto “Che” Guevara, ma è iniziata la maxi-svalutazione

Lavoro nel futuro dei giovani cubani

Sinora, essendo la vita semi-gratuita, molti giovani un lavoro neppure lo hanno cercato e sono numerose le scene di chi trascorre la giornata a bighellonare per strada, giocando e parlando con gli amici tutto il tempo.

Infatti, su una popolazione attiva di 7 milioni di persone, tra inattivi e disoccupati si arriva alla bellezza di 2,7 milioni, quasi il 40%. Questo dato è il risultato anche della bassa produttività dell’economia isolana, incapace di creare posti di lavoro a sufficienza. Il settore privato nell’ultimo decennio ne ha messi su 600 mila, ma ancora questi restano una minoranza. E’ lo stato il principale datore di lavoro di Cuba, con i suoi salari da fame. Se il governo liberalizzasse definitivamente le piccole e medie imprese, almeno 100 mila nuovi posti di lavoro all’anno verrebbero creati, stando all’economista Pedro Monreal.

Il taglio dei sussidi renderà ancora più cara la vita dei cubani, molti dei quali saranno costretti a lavorare dopo decenni di cultura socialista, secondo la quale tutti avevano diritto a tutto senza pagare. Un modello insostenibile, anche se il presidente Miguel Diaz-Canel assicura che “nessuno verrà lasciato indietro”. Peraltro, queste riforme pro-mercato sono arrivate nel momento peggiore, con un PIL collassato dell’11% nel 2020 a causa della pandemia, l’amministrazione Trump che ha di recente esacerbato le sanzioni contro l’isola e il settore privato a intravedere una lunga crisi per via della scarsa mobilità internazionale che ne sta deprimendo il turismo, fonte principale di guadagno e di ingresso di valuta estera nell’isola. Il socialismo cubano non è finito (ancora), ma sta già assumendo caratteristiche meno assistenziali di quelle che hanno carezzato la popolazione negli ultimi 60 anni.

La riforma monetaria disorienta le famiglie: file ai bancomat e prezzi schizzati

[email protected]