Per trovare un dollaro così forte contro le altre principali valute mondiali bisogna risalire alla fine di luglio. Dai minimi recentemente toccati il 16 settembre scorso, il biglietto verde segna un rialzo medio del 3%. Movimenti in decisa controtendenza rispetto alle scommesse ribassiste del mercato, con numerosi investitori costretti a chiudere le posizioni “short” per limitare le perdite. E tutto questo sta avvenendo, forse non a caso, mentre il presidente americano Donald Trump si prende la scena sul palcoscenico mondiale. L’accordo di pace “imposto” a Israele e Hamas può rivelarsi un grosso successo per la sua amministrazione.
Economia USA resiliente ai dazi
Contro l’euro il dollaro a settembre si avviava verso un cambio di 1,20. In questo momento, si attesta a meno di 1,16. Sono diverse le ragioni alla base del recupero. Anzitutto, dobbiamo precisare che dai massimi di gennaio la divisa americana perde ancora il 9,5%. Nei primi mesi dell’anno scommettere contro di essa è stato il tormentone sui mercati.
Il “Liberation Day” del 2 aprile scorso, con l’aumento generalizzato dei dazi sulle importazioni dal resto del mondo, aveva fatto scattare l’allarme per l’economia americana. Erano attese alta inflazione e recessione, contestualmente al netto rialzo dei rendimenti americani.
Ad oggi, l’inflazione è sotto il 3% e il Pil USA è tornato a crescere vigorosamente dopo la contrazione nel secondo trimestre. E la Federal Reserve è sì tornata a tagliare i tassi di interesse a settembre, ma si tiene le mani libere sulle prossime mosse. Il recupero del dollaro ha molto a che fare con i problemi degli altri. Francia, Regno Unito e Giappone sono alle prese con grossi problemi di conti pubblici e una crisi politica. Anche negli Stati Uniti le preoccupazioni sono forti sulla situazione fiscale. E da giorni lo “shutdown“ ferma le attività federali con possibili implicazioni negative per l’economia.
Protagonismo di Trump aiuta
Ad ogni modo, la superpotenza riesce ad andare avanti, gli altri si stanno incartando. E il protagonismo internazionale di Trump offre sostegno al dollaro. Il ritorno alla Casa Bianca del tycoon ha fatto temere un isolamento degli Stati Uniti dal contesto internazionale. Finora è accaduto il contrario. L’interventismo in Medio Oriente è stato nitido, anche attraverso raid mirati in Iran. Anche con la Russia di Vladimir Putin ha da un lato avviato il dialogo per cessare l’occupazione in Ucraina, dall’altro minacciato conseguenze severe in caso di mancato accordo.
Queste posizioni implicano che gli Stati Uniti continueranno ad esercitare il loro ruolo per la sicurezza globale. Il dollaro continuerà ad essere la valuta di una potenza con grossa influenza politica. Di alternative non se ne vedono. L’unica è l’oro, che si è impennato fino al 53% quest’anno, segno evidente che alcune banche centrali stiano ammassando lingotti per sganciarsi proprio dal dollaro. Tra queste c’è la Banca Popolare Cinese, che in Asia guida il fronte delle economie che puntano a superare lo status quo.
Dollaro su e rendimenti giù
Un dollaro più forte aiuta i consumatori americani ad attutire il colpo assestato dai dazi.
A Trump piacerebbe un forte deprezzamento del cambio per rilanciare la competitività delle imprese americane. Se avvenisse, però, l’inflazione salirebbe velocemente e distruggerebbe la domanda interna, spingendo la FED ad alzare i tassi. Da notare che il rendimento USA a 10 anni viaggia in area 4,10% da un massimo del 4,80% a gennaio. E il trentennale offre il 4,70% da quasi il 5,10% di maggio. Ulteriori segnali di recupero della fiducia del mercato.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

