Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni da primo ministro. Oggi, il suo Partito Liberal Democratico fisserà formalmente la data per la scelta del successore. Il Giappone è stato così scaraventato nella più grave crisi politica da decenni. I conservatori al governo avevano perso la maggioranza nella Camera bassa alle elezioni anticipate nell’ottobre scorso e a luglio avevano perso anche il Senato. Solo grazie alla frammentazione delle opposizione i conservatori potranno continuare a governare.
Finita l’illusione del debito senza effetti collaterali
La crisi politica in Giappone è, anzitutto, una crisi fiscale. Il Sol Levante era stato indicato per anni nell’Occidente come un esempio da seguire per la gestione di un altissimo debito pubblico senza il bisogno di fare austerità fiscale. Questa illusione si sta sgretolando con il ritorno dell’inflazione.
La banca centrale tiene ancora i tassi allo 0,50%, mentre i prezzi al consumo a luglio risultavano cresciuti del 3,1% su base annua. Ma i rendimenti sono esplosi, specie sul tratto lungo della curva, meno presidiato dall’istituto.
Boom dei rendimenti nipponici
Il bond a 30 anni offre il record del 3,27%, esattamente l’1% in più rispetto ai minimi toccati nell’aprile scorso. Il decennale rende più dell’1,55% dallo 0,60% di fine 2023. Anche se la curva è tenuta sotto controllo fino alle scadenze medio-lunghe, il governatore Kazuo Ueda trova sempre più difficile barcamenarsi tra stabilità del cambio, dei prezzi al consumo e dei rendimenti. Tenere compressi questi ultimi spinge i capitali fuori dal Giappone, mettendo in crisi lo yen e importando inflazione.
D’altra parte, consentire ai rendimenti di salire rapidamente può provocare una crisi fiscale. Il Giappone ha un debito sopra il 250% del Pil e un deficit primario atteso allo 0,5% per quest’anno.
E ciò, malgrado gli interessi tenuti ancora ai minimi termini. Il guaio è che le altre banche centrali non stanno continuando a tagliare i tassi come si pensava. E questo risalta i tassi troppo bassi a Tokyo, dove aumenta la pressione per alzarli. Un adeguamento veloce, però, farebbe esplodere la spesa per interessi e schianterebbe l’economia.
Crisi in Giappone impatta sull’Occidente
La crisi del Giappone non sta rimanendo confinata al Sol Levante. Il boom dei rendimenti nipponici impatta sui mercati sovrani occidentali. Il rimpatrio dei capitali da parte dei fondi fa venire meno la domanda dei nostri bond a lungo termine. La conseguenza è l’esplosione dei rendimenti anche in Europa e Nord America. Il Bund a 30 anni viaggia a circa il 3,30% contro il 2,65% di fine 2024. Persino la Germania paga il prezzo del repricing dall’altra parte del pianeta. Pensate a cosa stia accadendo in economie come Francia e Regno Unito, dove le condizioni fiscali sono da tempo deteriorate.
Guarda caso, oggi a Parigi ci sarà quasi certamente la caduta del governo Bayrou, il quarto in circa un anno e mezzo. E a Londra c’è appena stato un rimpasto per fronteggiare la grave crisi di popolarità del premier Keir Starmer.
Questi è a sua volta alle prese con il balzo dei rendimenti sovrani, segno di sfiducia dei mercati verso la sua politica fiscale. Neppure gli Stati Uniti stanno restando immuni, con il Treasury a 30 anni esploso fino al 5% la settimana scorsa. Dal Giappone soffiano venti di crisi sempre più globali tra le liberaldemocrazie e che stanno travolgendo istituzioni che si pensava fossero inattaccabili.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

