Il rendimento a 30 anni del Giappone è salito fin sopra il 3,20% nelle ultime sedute, toccando i nuovi massimi storici. E parliamo di un Paese in cui i tassi di interesse sono ancora fissati allo 0,50%. Nel frattempo, non passa giorno senza che il presidente americano Donald Trump non pressi il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, sul taglio dei tassi. Peccato che entrambi non abbiano verosimilmente compreso un dato elementare: le grandi banche centrali del pianeta sembrano avere perso il controllo della curva dei rendimenti.
Curva dei rendimenti slegata dai tassi
Da quando la FED un anno fa tagliava i tassi dello 0,50%, il rendimento decennale negli USA è salito dal 3,64% al 4,23% di queste ore.
Il trentennale è passato dal 4,07% al 4,92%. In pratica, il mercato va nella direzione opposta della più grande banca centrale per quanto riguarda il tratto lungo della curva dei rendimenti. Nell’Eurozona non è diverso. Il Bund a 10 anni offre oggi il 2,75%, più del 2,60% di prima che la Banca Centrale Europea (BCE) iniziasse a tagliare i tassi del 2% in un anno.
Il Gilt a 30 anni nel Regno Unito offre il 5,60%, mai così tanto dal 1998. Peccato che lo stia facendo mentre la Banca d’Inghilterra ha abbassato i tassi dell’1,25% in un anno. Cosa sta succedendo per l’esattezza? Le banche centrali stanno scoprendo quello che già sapevano, ma che si erano illuse di poter nascondere a tempo indeterminato al grande pubblico. La curva dei rendimenti dipende solo in parte e per le brevi scadenze dalle politiche monetarie. Se tagli i tassi e famiglie e imprese si aspettano che l’inflazione e i debiti restino alti o continuino a salire, i rendimenti non scendono.
Al contrario, rischiano di accelerare sul timore che le banche centrali non stiano preservando la stabilità dei prezzi.
Grande trauma per governi
Siamo dinnanzi a un grande trauma. Prima del crac di Lehman Brothers del 2008, la FED possedeva titoli di stato USA per meno di 435 miliardi di dollari. Adesso, ne possiede per 3.770 miliardi. Pur avendo mantenuto una percentuale del 5% di T-bills, titoli con scadenze entro i 12 mesi, le scadenze superiori ai 10 anni sono raddoppiate dal 22% al 42%. Significa che il portafoglio obbligazionario della FED si è sbilanciato a favore dei titoli lunghi, cosa che dovrebbe consentire all’istituto di mantenere il controllo della curva dei rendimenti. Invece, sta accadendo l’esatto contrario.
La stessa BCE detiene oggi 1.943,5 miliardi di titoli di stato grazie al Quantitative Easing e altri 1.435 miliardi tramite il PEPP. La durata media dei due portafogli si aggira attorno ai 7 anni. Ciononostante, i rendimenti stanno andando per conto loro rispetto al desiderio malcelato di comprimerli per il tratto lungo della curva, così da favorire il ricorso al debito per il riarmo e gli investimenti pubblici. Il paradosso si spiega con il fatto che i governi hanno dilatato le emissioni a lungo termine, anziché approfittare del temporaneo crollo dei rendimenti per risanare i rispettivi conti pubblici.
Dominanza fiscale causa del repricing
Ora che persino l’austera Germania dichiara di volersi indebitare, il mercato prende nota. Il mal di testa per i banchieri centrali diventa più forte per via dell’inflazione che non scende.
Resta attorno o sopra i target, cosa che non sta consentendo loro di proseguire nella discesa dei tassi. Dunque, i rendimenti a breve hanno smesso di arretrare e quelli a lungo restano alti e in molti casi risalgono. I governi hanno smesso di beneficiare dell’allentamento monetario. La lunga era della dominanza fiscale ha portato inevitabilmente a un deterioramento dei conti pubblici e ad un drastico repricing con la risalita dei tassi. Ora che questi sono scesi, i rendimenti non si stanno adeguando.
La perdita di controllo della curva dei rendimenti è una pessima notizia per tutti. Significa che le banche centrali posseggono armi spuntate. Al verificarsi di una crisi, non sarebbero capaci di reagire come nel 2008. E a tremare più di tutti in questa fase è la Francia. I suoi fondamentali macro si mostrano possibilmente peggiori di quelli dell’Italia nel 2011, l’anno nero dello spread. Ma se allora la BCE fu capace di darci una mano con ingenti acquisti di bond e l’azzeramento dei tassi, adesso queste misure sono impossibili da attuare per via dell’inflazione. La curva dei rendimenti riflette proprio tale consapevolezza. I debiti adesso sono valutati per quello che sono realmente.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
