Nel contesto dei controlli fiscali rivolti ai lavoratori autonomi, continua a rivestire un ruolo centrale l’articolo 32 del D.P.R. 600/1973. Tale norma, da anni pilastro degli strumenti a disposizione dell’amministrazione finanziaria, viene spesso richiamata nei casi in cui l’accertamento Agenzia Entrate si fonda sulle movimentazioni bancarie del contribuente.
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a chiarire come questa disposizione, pur avendo subito alcune limitazioni, resti pienamente operativa per una parte significativa delle operazioni effettuate dai professionisti.
L’intervento arriva con l’ordinanza n. 29739 dell’11 novembre 2025, con cui i giudici della Sezione Tributaria hanno accolto il ricorso presentato dall’amministrazione finanziaria, ribaltando la decisione dei giudici regionali e confermando la legittimità del recupero fiscale basato sui versamenti non giustificati.
Accertamento Agenzia Entrate sul conto corrente: la posizione della CTR
Nel caso esaminato, un lavoratore autonomo era stato sottoposto a verifica sulla base delle risultanze del proprio conto corrente. L’Agenzia delle Entrate aveva ricostruito compensi non dichiarati per oltre 41.000 euro, importo corrispondente ai versamenti effettuati e non spiegati in sede di accertamento. A ciò si aggiungevano più di 21.000 euro riconducibili ai prelievi, anch’essi giudicati anomali.
La Commissione Tributaria Regionale aveva annullato il recupero sostenendo che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014, la presunzione prevista dall’articolo 32 non potesse più essere applicata ai professionisti. Secondo tale impostazione, le movimentazioni bancarie, sia in entrata sia in uscita, non potevano essere considerate automaticamente indici di redditi non dichiarati nel caso di un lavoratore autonomo.
Questa interpretazione, però, non ha convinto la Cassazione. E non è il primo e ne ultimo caso di accertamento basato su movimentazioni bancarie.
La lettura dell’Agenzia delle Entrate
L’amministrazione finanziaria, ricorrente in giudizio, ha sostenuto che il ragionamento della CTR fosse viziato. L’errore principale, secondo gli uffici fiscali, stava nell’aver esteso ai versamenti la limitazione introdotta dalla Consulta. La Corte costituzionale, infatti, aveva escluso la presunzione solo per quanto riguarda i prelievi dei professionisti, non anche per le somme versate sui loro conti.
In altri termini, la Consulta aveva ritenuto non ragionevole presumere che ogni prelievo operato da un lavoratore autonomo corrispondesse automaticamente a compensi in nero, riconoscendo che nella sfera privata possano esservi spese personali non collegate all’attività svolta. Diverso è il discorso per i versamenti: quando il professionista immette denaro sui propri conti, l’ordinamento continua a considerare tali movimenti come possibili componenti di reddito, a meno che il contribuente non dimostri il contrario.
Il chiarimento della Cassazione sull’accertamento Agenzia Entrate c/c
I giudici della Suprema Corte (Cassazione) hanno accolto questa impostazione, precisando ancora una volta il perimetro applicativo dell’articolo 32 in presenza di un accertamento Agenzia Entrate fondato sulle indagini bancarie.
La Corte ha ricordato che, dopo la pronuncia della Corte costituzionale del 2014, la presunzione legale è stata definitivamente rimossa solo per i prelievi dei lavoratori autonomi. Per i versamenti, invece, essa è rimasta pienamente valida.
Ciò significa che, quando un professionista versa denaro su un conto corrente, deve essere in grado di dimostrare in modo chiaro e dettagliato che quelle somme non rappresentano compensi non dichiarati.
La Cassazione ha anche richiamato precedenti conformi, tra cui la sentenza n. 22931 del 26 settembre 2018, affermando che la giurisprudenza si è stabilizzata su questa linea. È stato inoltre evidenziato che la CTR aveva fatto riferimento a un orientamento ormai superato (Cass. 23041/2015), non tenendo conto dell’evoluzione successiva della materia.
Le conseguenze pratiche
La decisione della Cassazione conferma un principio importante: l’accertamento Agenzia Entrate fondato sui versamenti non giustificati rimane pienamente legittimo anche quando riguarda professionisti e lavoratori autonomi. Le operazioni in entrata sui conti, se prive di spiegazioni convincenti e documentate, possono essere considerate redditi occultati.
Per i contribuenti ciò implica che:
- i movimenti bancari devono essere sempre riconducibili a cause identificabili;
- in assenza di una prova analitica, l’Agenzia delle Entrate può presumere che le somme siano collegate all’attività svolta;
- la mancanza di giustificazioni può portare alla ricostruzione di maggiori compensi.
Nel caso esaminato, dunque, la ripresa fiscale relativa ai versamenti è stata ritenuta corretta, mentre quella collegata ai prelievi non ha trovato fondamento, coerentemente con i limiti posti dalla Corte costituzionale.
Riassumendo
- La Cassazione conferma la validità dei controlli fiscali sui versamenti dei professionisti.
- L’articolo 32 resta applicabile ai versamenti, non ai prelievi dei lavoratori autonomi.
- I versamenti non spiegati possono essere considerati compensi non dichiarati.
- La CTR aveva annullato l’accertamento, ma la Cassazione ha ribaltato la decisione.
- Il contribuente deve provare l’estraneità dei versamenti all’attività professionale.
- L’accertamento Agenzia Entrate basato su indagini bancarie rimane pienamente legittimo.