Il BTp a 30 anni viene percepito spesso come un investimento tranquillo, ma oggi il contesto è radicalmente cambiato rispetto a qualche anno fa. I risparmiatori hanno a lungo creduto nel mito del rifugio offerto dalle scadenze sovrane più longeve. Queste offrivano e offrono ancora cedole relativamente elevate e il rischio di credito è per sua natura percepito molto basso. Cosa non meno interessante, nel caso di discesa dei rendimenti di mercato i prezzi salgono velocemente e garantiscono guadagni in conto capitale a chi rivende.
BTp a 30 anni redditizio, ma serve cautela
Queste erano le condizioni in cui i BTp a 30 anni, ma anche su altre scadenze a lungo termine, si sono mossi per decenni fino alla pandemia.
Per fare un esempio, chi acquistò un trentennale a fine 2005, ha incassato in questi 20 anni un rendimento complessivo di oltre l’80% lordo, a fronte di un’inflazione italiana all’incirca della metà. E se confrontiamo anche oggi il rendimento a 30 anni al 4,40% con l’inflazione di novembre all’1,10%, quasi ci viene naturale immaginare che l’investimento resti fortemente consigliato.
Il problema è, come sempre, capire come si muoveranno il mercato e l’economia nel medio-lungo termine. I dati macro attuali potrebbero non c’entrare nulla con quelli futuri. Ricordate la pandemia e il ritorno dell’inflazione? Abbiamo assistito a numeri a cui non eravamo abituati da 40 anni. Uno choc per coloro che avevano scommesso su tassi e inflazione bassi. E il BTp a 30 anni ha il pregio/difetto di possedere una “duration” altissima. Ciò implica variazioni di prezzo forti al minimo mutamento del rendimento.
Bene quando quest’ultimo scende, male quando scende. I prezzi si muovono, infatti, in direzione opposta.
Rischi debito e inflazione
Il rischio nel prossimo futuro è che i tassi tornino a salire per contrastare un’inflazione “sticky” (“appiccicosa”), che non ne vuole sentire di portarsi stabilmente attorno al target del 2%. Combinando questa previsione con la tendenza all’aumento dei debiti per finanziare spese come il riarmo, l’intera curva delle scadenze diverrebbe più redditizia. Ergo, i prezzi scenderebbero. Lo scenario possibile è l’opposto, ovvero che le banche centrali restino accomodanti per consentire ai governi di indebitarsi senza sostenere eccessivi costi di emissione. In questo caso, i rendimenti a breve resterebbero bassi e quelli a lungo termine lieviterebbero per le aspettative d’inflazione e il rischio sovrano percepito in crescita.
Questo non significa che il BTp a 30 anni non possa essere una buona soluzione d’investimento per le famiglie. Lo sarebbe in un portafoglio diversificato e tenendo a bada la “duration” complessiva. Ma serve anche essere pazienti. Se si compra con la speranza di rivendere quanto prima e intascare un facile guadagno in conto capitale, meglio lasciar perdere. Se si ritiene di potere attendere, magari non proprio la scadenza, ma perlomeno un periodo di anni non breve, allora si può ragionare.
Contesto in evoluzione
In definitiva, il BTp a 30 anni comporta uno sforzo mentale superiore al passato.
Non deve essere considerato un investimento dormiente, capace di generare reddito con certezza e all’occasione pronto per essere rivenduto senza perdite o persino con qualche guadagno. Va inquadrato all’interno di un contesto macro e geopolitico in evoluzione e che non ammette ragionamenti semplicistici come nel passato decennio, quando l’era dei tassi a zero o negativi sembrava essere destinata a durare in eterno.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
