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Oggi: 05 Dic, 2025

C’era una volta il lusso, rimasto vittima del suo stesso successo

Il mercato del lusso è rimasto vittima del suo stesso successo e dopo anni di crescita rampante, vive una fase di crisi forse non passeggera.
2 mesi fa
3 minuti di lettura
Mercato del lusso in crisi
Mercato del lusso in crisi © Licenza Creative Commons

Le borse salgono, segnano sempre nuovi record e ignorano i segnali di allarme che stanno arrivando da più uffici studio tra le case d’investimento. E mentre l’attenzione si concentra sul comparto IA per una possibile bolla pronta ad esplodere come agli inizi del millennio con le società dot-com, il mercato del lusso è già in piena crisi da mesi. Dai massimi storici toccati ad inizio anno, il comparto europeo ripiega di oltre il 16%. Ma all’indomani dell’annuncio dei dazi americani, il crollo era arrivato al 27%. Sebbene il bilancio da inizio anno resti appena positivo (+2,4%), qualcosa sembra essersi rotto.

E il timore è che si tratti di un fenomeno affatto passeggero.

Crisi in borsa per mercato del lusso

Il mercato del lusso in borsa aveva fatto faville negli ultimi anni. Tra la metà del 2016 e i massimi segnati il 14 febbraio scorso, l’indice ad esso dedicato in Europa era salito del 334% contro una media del 70% per l’Eurostoxx 600. In pratica, una sovra-performance quasi quintupla. Adesso, sta accadendo il contrario. Le borse in generale salgono, ma i marchi del lusso vanno meno bene.

Per prima cosa, dobbiamo chiarire cosa intendiamo per mercato del lusso. Parliamo di società che offrono prodotti e servizi variegati, che vanno dall’abbigliamento alla cosmetica, passando per le quattro ruote. Per essere più espliciti, sono lusso sia una borsa di Gucci che una Ferrari. La loro peculiarità è l’esclusività, cioè il non essere accessibili a tutti. Paghi non solo la presunta migliore qualità del prodotto o servizio rispetto a un’alternativa più di massa, bensì anche il fatto che sono in pochi a poterselo permettere.

Consumatori ricchi target primario

In un mondo in cui i consumi si sono massificati e spesso si comprano gli stessi prodotti in qualsiasi posto in cui viviamo, ritagliarsi una clientela di nicchia può fare la differenza. Ed è evidente che il mercato del lusso diventi più grande man mano che aumenta la fetta della popolazione più ricca. Più che le condizioni medie di benessere di un’economia, qui interessano quelle della fascia più benestante. Tanto per farvi un esempio, non è che Ferrari venderebbe più auto se gli stipendi italiani salissero del 10-20% in un anno. Ne venderebbe di più se aumentassero i milionari, cioè coloro che possono permettersi di spendere 100-200.000 euro per una vettura.

Fatturato in calo, c’entrano i dazi?

Perché il mercato del lusso sta in crisi. Certi numeri parlano da sé. LVHM, la principale maison di moda francese al mondo, ha visto scendere i profitti nel primo semestre del 15%. La rivale Kering ha fatto di peggio con un calo del fatturato del 18% nel secondo trimestre, tra cui spicca il -25% di Gucci, uno dei marchi di punta posseduti. Proprio Gucci si era distinto negli ultimi anni per il rilancio operato nelle vendite, puntando soprattutto sui clienti più giovani.

Qual è la causa di questo tonfo nelle vendite? Probabile che stiano incidendo i dazi americani.

Il principale mercato del lusso mondiale, oltre all’Europa, sono proprio gli Stati Uniti con una dimensione di 260 miliardi di dollari. Perderne anche solo una fetta diventa quasi irrecuperabile nel breve e medio periodo. Non esiste un mercato alternativo altrettanto ricco. La Cina si ferma a una stima di neppure 91 miliardi per quest’anno. Vale quanto dicevamo sopra: non conta il Pil complessivo, né il reddito pro-capite; il lusso si vende ai ricchi e ha bisogno che questi siano quanto più numerosi possibile.

Cina insufficiente a rimpiazzare gli USA

Ora, in Cina esistono 19 milionari e 870 miliardari (in dollari) su una popolazione di 1,4 miliardi di abitanti. Negli Stati Uniti ci sono 6 milioni di milionari e 902 miliardari, anche se su 340 milioni di abitanti. Tuttavia, esistono qui molti più cittadini con redditi alti rispetto ai cinesi. Altro discorso: il mercato del lusso ha avuto finora autostrade dinnanzi a sé per farsi avanti proprio nelle economie emergenti dell’Asia. Ma siamo sicuri che potrà continuare a crescere oltre un certo limite, date le specificità culturali? I nuovi ricchi cinesi, russi, indiani, ecc., hanno fino ad oggi imitato gli stili di vita di noi occidentali, premiando le nostre aziende di moda, alimentari, automotive, cosmetiche, ecc. Non è detto che sarà così anche in futuro, specie in un mondo che va a chiudersi in macro-aree.

LVHM fattura per il 25% negli Stati Uniti e il 28% in Cina. Kering per il 24% nel Nord America e il 30% in Asia-Pacifico (senza Giappone). Di fatto il mercato del lusso è già largamente dipendente dall’Asia. Nell’ultimo decennio, si è in un certo senso massificato per rincorrere i grandi numeri. Le due maison sopra menzionate sono la dimostrazione di quant’è accaduto. Le case più grandi hanno fatto shopping di marchi dal forte appeal, ma con numeri ridotti nelle vendite globali. Il risultato è che sono nati colossi internazionali sempre meno esclusivi, che hanno assegnato priorità alla quantità, anziché al carattere elitario dei prodotti. Le nicchie non sono più veramente tali come un tempo.

Mercato del lusso meno esclusivo

A volerla dire tutta, il mercato del lusso si è messo a strizzare l’occhio alle tendenze socio-culturali del momento. C’è stata la volontà espressa di mostrarsi inclusivi e alla portata di tutti, anche se in gran parte si è trattato di un discorso di puro marketing.

La conseguenza è che oggi certi marchi non segnalano più alcuna peculiarità socio-economico per chi li acquista. Forse, questo risultato era stato parzialmente messo in conto. Resta da vedere fino a quale punto. Ci si è spinti troppo in là. Il mercato dei diamanti, ad esempio, traballa a causa non solo della concorrenza delle pietre sintetiche, ma anche ad una certa cultura ostile all’ostentazione della ricchezza e che è stata paradossalmente assecondata da certi messaggi dello stesso comparto.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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