Ad agosto l’occupazione italiana fa leggermente retromarcia. Il numero degli occupati è diminuito di 57 mila unità e il tasso dello 0,2% al 62,6%. Resta nei pressi dei massimi storici, sebbene dal confronto internazionale il nostro mercato del lavoro si confermi tra gli ultimi dell’area OCSE, insieme ad economie come la Turchia per intenderci. Ma è innegabile che la situazione sia decisamente migliorata negli ultimi anni, forse soprattutto al Sud. Qui, l’occupazione ha superato per la prima volta nella storia la soglia del 50%. Significa che si creano posti di lavoro anche da Roma ingiù e stanno emergendo tanti occupati prima in nero.
Cresciuta l’occupazione stabile
Dalla fine del 2019 l’occupazione è salita di quasi tre punti percentuali. In valori assoluti, i posti di lavoro creati sono stati 1,1 milioni. E quelli a tempo pieno sono passati da 14,2 a 15,8 milioni (+1,6 milioni). Non è vera la vulgata che va bene nei talk per cui starebbe semplicemente aumentando la precarietà. E’ vero l’esatto contrario: crescono i posti di lavoro stabili e a tempo pieno, mentre si riducono quelli a tempo determinato.
Stipendi italiani bassi
Fin qui le buone notizie. La cattiva è sempre una: gli stipendi italiani restano bassi. Tra il 1990 e il 2020, risultano diminuiti del 2,9% in termini reali. Negli ultimi anni non è andata affatto meglio, anche se l’inversione di tendenza è iniziata ad intravedersi. Sempre che si riveli tale e non un semplice recupero tardivo (e parziale) con i rinnovi contrattuali del potere di acquisto perduto nell’infausto biennio tra il 2021-2023. Lo scorso anno, ad esempio, le retribuzioni orarie lorde medie sono aumentate del 3,5% contro un’inflazione dell’1,1%.
La crescita reale è stata del 2,4%. Peccato, però, che nel quinquennio 2020-2024 siano aumentate del 10,7% contro un’inflazione cumulata del 16,7%: -6% reale.
E se fosse proprio questa situazione a trainare l’occupazione? Spieghiamoci meglio. Un’impresa decide di assumere in base al costo del lavoro. Questo va confrontato con il costo degli investimenti nel capitale fisico e immateriale, un fattore produttivo complementare e per certi versi alternativo ai lavoratori. Nel concreto, un’impresa si trova spesso a decidere se assumere più dipendenti o introdurre un nuovo macchinario o acquistare un brevetto, ecc. Il costo per i primi sono gli stipendi, per i secondi i prestiti per investire.
Inflazione traino per mercato del lavoro
Cos’è successo in questi anni? L’inflazione è cresciuta e gli stipendi sono rimasti fermi. Per placare la prima la Banca Centrale Europea (BCE) ha dovuto alzare i tassi di interesse. Risultato: gli stipendi sono diminuiti in termini reali, mentre il costo dei prestiti si è impennato. Ciò avrebbe spinto le imprese ad assumere più lavoratori, rifuggendo dagli investimenti in macchinari, brevetti, ecc. Questo può aver trainato l’occupazione, ma ora che l’inflazione si è assestata sotto il 2% e che i tassi si sono già dimezzati dall’apice toccato fino a metà 2024, la musica potrebbe cambiare.
Gli stipendi prima o poi smetteranno di risultare sempre più appetibili, mentre il ricorso agli investimenti è già più conveniente.
Tutto questo avrà come conseguenza una possibile nuova impasse per il mercato del lavoro. Senza crescita economica, d’altra parte non possiamo immaginare che il numero degli occupati salga all’infinito. Significherebbe che un numero sempre maggiore di pasticcieri sforni la stessa torta. Il lavoro di ciascuno diverrebbe meno produttivo, per cui anche meno retribuito in termini reali. C’è anche il rischio che i lavoratori si mostrino meno propensi ad entrare sul mercato d’ora in avanti, a causa proprio del calo delle retribuzioni reali.
Occupazione legata alla produttività
Il boom dell’occupazione non ha stimolato la crescita del Pil. Anzi, potrebbe averla paradossalmente frenata a causa della minore produttività in essa implicita. L’economia cresce se le imprese investono, innovano, riuscendo a produrre di più con gli stessi o minori fattori o se introducono sul mercato nuovi prodotti e servizi. Fintantoché il lavoro rimane una merce a buon mercato, difficile che si verifichi. Torniamo al problema di sempre in questi anni: come rilanciare gli investimenti. Serve creare condizioni complessivamente migliori per la produzione: tasse, burocrazia, infrastrutture, tempi della giustizia, formazione, ecc.
giuseppe.timpone@investireoggi.it


