E’ una notizia bomba, per il momento sottovalutata dai media e dagli stessi mercati. Venerdì pomeriggio, ore italiane, il presidente della Securities and Exchange Commission (SEC), la Consob americana, ha reso noto di essere d’accordo con il presidente Donald Trump circa la soppressione dell’obbligo per le società quotate in borsa di pubblicare relazioni finanziarie trimestrali. Paul Atkins è stato nominato alla guida dell’istituzione proprio dal tycoon all’inizio di quest’anno. Se passerà ai fatti, si tratterebbe di una novità dirompente per gli investitori.
Fine obbligo per trimestrali
L’obbligo delle trimestrali è stato imposto dalla SEC sin dal 1970 con l’obiettivo di rendere trasparente la comunicazione finanziaria e informare tempestivamente gli investitori circa l’andamento delle attività in cui detengono partecipazioni. L’intento fu senza dubbio positivo.
E poiché Wall Street è di gran lunga il principale mercato azionario del mondo, questa previsione è stata esportata praticamente dappertutto.
Presto, però, potremmo dover dire addio alla stagione delle trimestrali. Venendo meno l’obbligo, molte società quotate si conformerebbero alla nuova regolamentazione della SEC, che prevedrebbe solamente relazioni con cadenza semestrale. Perché mai una simile rivoluzione? I dati trimestrali consentono agli azionisti, ma anche ai creditori, i lavoratori e all’opinione pubblica di entrare in tempi relativamente veloci in possesso delle informazioni salienti circa i risultati aziendali.
Visione corta e minore lungimiranza
Esistono anche controindicazioni. Anzitutto, i costi. Bilanci trimestrali assorbono energie, che potrebbero essere impiegate in modo più proficuo. E, soprattutto, le tempistiche eccessivamente brevi entro le quali dover dare conto al mercato spingono spesso il management ad assumere una visione corta sulla gestione.
Fallire una trimestrale diventa imperdonabile, per cui occorre fare sempre tutto in fretta, finendo spesso per sacrificare i risultati di medio periodo e la lungimiranza.
Tra l’altro, dobbiamo considerare l’attività d’impresa come eterna: ha un inizio e teoricamente non s’interrompe mai, se non nel caso di fallimento o chiusura. Già la sola suddivisione per esercizio è un artificio contabile necessario per trarre informazioni utili sulla gestione e dal punto di vista fiscale. Figuratevi i bilanci trimestrali. Servono sempre più per alimentare la speculazione finanziaria che non per farsi un’idea concreta su come stia andando l’attività d’impresa.
Rivoluzione anche in Europa?
La minore pressione addosso alle imprese può rivelarsi utile per spingerle a guardare più ai risultati di medio e lungo periodo, anziché a quelli più immediati. Vero è che il mercato perderebbe informazioni preziose e magari sarebbe meno capace di reagire tempestivamente alle variazioni dei risultati. Tra l’altro, non solo le trimestrali in borsa alimentano l’eccesso di informazioni. Gli stessi enti governativi sono ormai soliti fornire quotidianamente ai mercati informazioni con cadenze ravvicinate e che in molti casi lasciano il tempo che trovano.
Ad esempio, ha senso monitorare l’andamento del Pil ogni tre mesi (addirittura, ogni mese nel Regno Unito)? Non sarebbe più opportuno farlo almeno ogni sei mesi per avere un quadro più solido da analizzare? Gli stessi governi finiscono per concentrarsi eccessivamente sui risultati di breve periodo per evitare di subire una cattiva ondata mediatica a seguito di qualche dato macro avverso. Per quanto sopra accennato, l’abolizione dell’obbligo delle trimestrali negli Stati Uniti arriverebbe presto anche in Europa. E sarebbe una rivoluzione mentale destinata a fare scalpore anche all’infuori dello stretto recinto delle borse.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

