Era il 12 marzo del 2020. L’Italia aveva imposto il “lockdown” contro il Covid un paio di giorni prima. Sui mercati c’è aria di panico per le possibili conseguenze per la terza economia dell’Eurozona e seconda più indebitata dopo la Grecia. A Francoforte si teneva la riunione di politica monetaria del board. Un giornalista chiese a Christine Lagarde in conferenza stampa se la Banca Centrale Europea (BCE) avrebbe fatto qualcosa. La risposta fu laconica “we’re not here to close the spreads”. In italiano, “non siamo qui a chiudere/colmare gli spread”. La reazione dei mercati fu immediata e violentissima: le borse europee crollarono del 17%, mai così tanto in una sola seduta.
Lo spread tra BTp e Bund a 10 anni esplose.
Lagarde rassicura sulla Francia
Lagarde fu costretta qualche ora dopo a correggere le sue affermazioni con la stampa americana. Il danno era fatto. Ieri, analoga domanda, stavolta sulla Francia. La risposta è stata molto diversa. Il governatore ha assicurato che la BCE dispone degli strumenti necessari per intervenire nel caso di bisogno. Ha negato che il board abbia parlato del TPI, il famoso “scudo anti-spread”. Tuttavia, ha precisato che esso non sia una “camicia di forza” per le condizioni previste sul suo utilizzo e che il board può decidere con una certa flessibilità.
Rendimenti francesi a livelli italiani
I titoli di stato francesi sono nell’occhio del ciclone da oltre un anno. Questa settimana, il decennale ha offerto un rendimento persino superiore a quello italiano. Non era mai accaduto nell’era dell’euro. Lo spread tra BTp e Oat si è azzerato. Era sopra gli 80 punti prima che il presidente Emmanuel Macron sciogliesse l’Assemblea Nazionale nel giugno dello scorso anno.
E quando Giorgia Meloni assunse il comando del governo italiano, si attestava intorno ai 180 punti.
Come mai questo diverso trattamento tra i due Paesi? Dal 2020 Lagarde ha un po’ imparato il mestiere, che ricordiamo non è il suo. E’ un avvocato d’affari internazionale, già direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (FMI). La nomina alla BCE ha lasciato perplessi i più, dato il suo curriculum poco attinente. E nel marzo di cinque anni fa era in carica da pochi mesi. Non sfugga ai più che la donna sia francese. Che stia avendo un occhio di riguardo per la sua nazione? Già nei giorni scorsi era intervenuta per escludere l’esigenza di un salvataggio imminente dell’FMI.
BCE con Draghi più autorevole
Il pensiero corre a Mario Draghi. Salvò l’euro e l’Italia con il suo “whatever it takes“. Sul piano della comunicazione, però, si mostrò molto obiettivo. Non assecondò mai il panico, né fu benevolo a prescindere con Roma. Più volte richiamò all’implementazione delle riforme per superare la crisi. Draghi e Lagarde sono due profili totalmente differenti. Il primo è un tecnico preparatissimo e autorevole, la seconda arriva dalla politica ed eredita una mentalità a tratti partigiana.
In gioco c’è la reputazione dell’istituto nel caso in cui la crisi fiscale francese si aggravasse. La BCE non può permettersi di mostrarsi accondiscendente con questo o quello stato in base alla nazionalità di chi la guida. E’ un fatto di credibilità e, quindi, di efficacia della politica monetaria. Lagarde ha già intaccato queste qualità imprescindibili con la diffusione delle voci nei mesi scorsi di un suo addio anticipato per andare a guidare il World Economic Forum. Il suo nome circola anche come ultima carta di Macron per trovare un primo ministro capace di varare la prossima legge di bilancio.
Lagarde figura atipica
E’ questo che fa scattare retropensieri sull’operato di Lagarde, il suo essere una figura sia tecnica che politica, vicina all’Eliseo e al contempo desiderosa di ricoprire altre cariche di rilievo nello scenario internazionale. Ieri, il governatore ha evitato di replicare l’errore del 2020, corretto nei giorni seguenti con il varo del PEPP. Se lo ha fatto per maturità o per partigianeria, non lo sappiamo. L’importante è che non dia la sensazione che nell’Eurozona esistano figli e figliastri. A Parigi è stato concesso già fin troppo sui conti pubblici. L’era della benevolenza è scaduta già sui mercati.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

