Governo al lavoro per scrivere la prossima legge di Bilancio. Il gettito fiscale sta andando meglio delle previsioni, ma il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, avverte i partiti della maggioranza che il “tesoretto” non c’è. Buone notizie stanno arrivando anche dal fronte spread, con risparmi possibili per svariati miliardi di euro sulla spesa per interessi. Forza Italia e Fratelli d’Italia puntano ad alleggerire l’IRPEF sul secondo dei tre scaglioni di reddito. Trattasi dei contribuenti che dichiarano tra 28.000 e 50.0000 euro lordi all’anno.
Verso nuovi scaglioni IRPEF?
L’idea sarebbe di abbassare l’aliquota dall’attuale 35% al 33%. Il problema sono le risorse. Servono quasi 4 miliardi, ma la Lega vorrebbe utilizzarne un paio per una nuova rottamazione delle cartelle esattoriali e l’estensione della “flat tax” per le partite IVA fino a 100.000 euro.
Gli scaglioni IRPEF erano quattro fino al 2023. Dal 2024 sono scesi a tre sotto il governo Meloni con l’unificazione dei primi due:
- 23% fino a 28.000 euro
- 35% tra 28.001 e 50.000 euro
- 43% sopra 50.000 euro
La premier Giorgia Meloni al Meeting di Rimini della settimana scorsa ha annunciato il sostegno al ceto medio. E quale migliore occasione per dimostrarlo tagliandogli la pressione fiscale? I contribuenti con redditi dai 29.000 euro insù versano il 76% dell’IRPEF complessiva. Al fine di massimizzare il sostegno, pur a fronte di margini di bilancio scarsissimi, circola anche l’ipotesi di estendere il secondo scaglione fino a 60.000 euro. E alla luce di quanto vedremo, l’operazione avrebbe un senso.
Riforma Draghi e inflazione
Fino al 2021 gli scaglioni IRPEF erano cinque. Il più alto partiva dai 75.000 euro. Con il governo Draghi fu eliminato il quarto con aliquota del 41%, ma allo stesso tempo lo scaglione più alto veniva abbassato a partire dai 50.000 euro.
Già si trattava di un limite molto basso nel confronto internazionale. In Germania, la massima aliquota è del 45% e grava a partire da quasi 278.000 euro. In Francia, il 45% scatta dai quasi 158.000 euro. Pur a parità di potere di acquisto, in Italia si viene definiti contribuenti “ricchi” per redditi dichiarati altrove ritenuti risibili.
La cosa peggiore e più odiosa è che nel frattempo le cose sono peggiorate per i contribuenti. Se è vero che gli scaglioni IRPEF siano stati ulteriormente ridotti a tre, d’altra parte l’inflazione ha divorato i redditi reali delle famiglie. Dall’entrata in vigore della riforma fiscale del governo Draghi, i prezzi al consumo sono aumentati in Italia di quasi il 15%. La soglia dei 50.000 euro individuata a fine 2021 come quella da cui sarebbe scattata l’aliquota più alta, oggi vale quanto all’incirca 43.550 euro di allora in termini reali.
Effetto drenaggio fiscale
Cosa stiamo sostenendo? Quelli che oggi rientrano tra i contribuenti più tartassati, nel 2021 non sarebbero stati definiti tali. Se gli scaglioni IRPEF avessero tenuto conto dell’inflazione, la soglia dei 50.000 euro sarebbe salita a circa 57.400 euro. Chi dichiara redditi compresi tra questi due estremi, sta pagando quest’anno sui 600 euro in più di quanto dovrebbe in base ai dati reali del 2021.
In gergo si definisce “drenaggio fiscale“ ed è una tassa occulta determinata dal combinato tra aliquote progressive e inflazione. Il governo, se estendesse la soglia per il secondo scaglione, si limiterebbe a prendere atto dell’avvenuta perdita del potere di acquisto di questi anni. Altro che regalo ai contribuenti più ricchi, che poi ricchi neppure sono!
giuseppe.timpone@investireoggi.it

