Partiamo da un dato certo: gli italiani vivono più a lungo rispetto al passato. Dopo la parentesi negativa della pandemia, quando l’aspettativa di vita era calata di circa 4 mesi a causa dei numerosi decessi prematuri, oggi il trend è tornato a crescere. In pochi anni si sono recuperati circa 7 mesi di vita media in più.
Questo fattore è cruciale anche per il sistema previdenziale. L’aumento dell’età pensionabile, infatti, scatta proprio quando cresce la speranza di vita della popolazione. Dal 2027 si ipotizza un incremento di 3 mesi dell’età pensionabile. Tuttavia, il governo sta cercando risorse — si parla di oltre 2 miliardi di euro — per bloccare questo aumento.
Se l’operazione andrà in porto, le pensioni resteranno fissate a 67 anni anche nel 2027. Ma non finisce qui: sul tavolo c’è anche l’ipotesi di un ritorno al meccanismo delle finestre di decorrenza, un espediente che di fatto sposta in avanti l’uscita senza dichiarare ufficialmente un peggioramento dei requisiti.
Pensioni senza aumento dell’età che resta a 67 anni, ma arrivano le finestre: cosa cambierà adesso
Non è la prima volta che si parla di finestre di decorrenza da applicare alle pensioni. Negli ultimi anni, infatti, sono già state introdotte in diverse misure. Un esempio è la Quota 103, che prevede una finestra di 7 mesi per i dipendenti privati e di 9 mesi per i dipendenti pubblici.
Queste finestre risultano più lunghe rispetto a quelle introdotte in precedenza con Quota 100 e Quota 102, che erano rispettivamente di 3 mesi (privato) e 6 mesi (pubblico). Anche la pensione anticipata ordinaria oggi prevede una finestra di 3 mesi.
In pratica, anche dopo aver maturato i requisiti (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne), il lavoratore deve attendere 3 mesi prima di ricevere il primo assegno.
Questo sistema genera un evidente risparmio per lo Stato, che paga tre mensilità in meno a ogni nuovo pensionato, pur consentendo al lavoratore di smettere di lavorare. Un meccanismo meno impattante rispetto a un vero e proprio aumento dei requisiti.
Nuove finestre pure per la pensione di vecchiaia?
Tra le ipotesi più discusse per contenere i costi — stimati in circa 2 miliardi di euro dalla Ragioneria Generale dello Stato — spicca quella di introdurre finestre anche per la pensione di vecchiaia.
La proposta prevede di lasciare l’età a 67 anni, senza incrementarla a 67 anni e 3 mesi, come imporrebbe l’adeguamento alla speranza di vita, ma spostando in avanti il momento in cui decorre la pensione.
In pratica, il primo rateo non verrebbe corrisposto dal mese successivo al compimento dell’età, bensì dal secondo o terzo mese successivo. Formalmente, quindi, l’età pensionabile resterebbe invariata, ma nella sostanza il lavoratore percepirebbe l’assegno più tardi.
Dal punto di vista del diritto, si tratta comunque di un inasprimento mascherato. Il contribuente lascerebbe il lavoro a 67 anni, ma riceverebbe la pensione solo dopo 1-2 mesi di attesa.
L’esperienza dimostra che la maggioranza dei lavoratori, durante la finestra, continua comunque a lavorare.
Lo stesso accadrebbe verosimilmente con le nuove finestre della pensione di vecchiaia. Producendo così un risparmio per lo Stato e un ritardo, seppur contenuto, per i pensionati.
