La crescita della nostra economia si è interrotta e per la prima volta dal secondo trimestre del 2023 l’ISTAT registra un calo del Pil italiano dello 0,1% nel periodo tra aprile e giugno rispetto a gennaio-marzo. Il dato è stato corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato. In particolare, nel periodo considerato c’è stato un giorno lavorativo in meno sia rispetto al trimestre precedente che allo stesso di un anno prima. Su base annua, invece, c’è stato un rialzo dello 0,4%.
Calo del Pil italiano legato alla bilancia commerciale
Riguardo ai settori, riscontrato un calo per agricoltura e industria, mentre i servizi sono rimasti pressoché stazionari.
Positivo il contributo della domanda aggregata interna, negativo della domanda estera. In altre parole, a tradire sono state le esportazioni. E poiché anche la Germania ha registrato un calo congiunturale dello 0,1% e un rialzo annuo dello 0,4%, viene immediato addebitare il calo del Pil italiano ai dazi imposti da inizio aprile dall’amministrazione Trump sulle importazioni dal resto del mondo, UE inclusa.
E’ davvero così? Scopriamolo. La bilancia commerciale ha registrato nei primi sei mesi dell’anno (manca giugno per avere un quadro completo del primo semestre) un saldo attivo di circa 17,5 miliardi di euro. Le nostre esportazioni verso il resto del mondo sono state pari a 268,2 miliardi contro importazioni per 250,7 miliardi. Tuttavia, nello stesso periodo dell’anno scorso l’avanzo era stato di 24 miliardi. Dunque, esso risulta crollato del 27,2%. Nel dettaglio, le esportazioni sono aumentate dell’1,6%, ma le importazioni del 4,5%.
Esportazioni italiane in crescita
Il calo del Pil italiano si deve, dunque, al fatto che la componente estera stia riducendo l’apporto positivo su base tendenziale e ha contribuito negativamente rispetto al primo trimestre. C’entra l’America? Dai dati ufficiali degli Stati Uniti scopriamo che il nostro saldo commerciale con la superpotenza sia sceso da 19,1 a 17,7 miliardi di dollari nei primi cinque mesi dell’anno (-7,7%).
Una riduzione in valore di 1,46 miliardi di dollari, accentuata per via dell’effetto cambio. Le esportazioni sono aumentate di 300 milioni, mentre le importazioni di 1,77 miliardi.
Cosa ci dicono questi numeri? L’Italia non sta esportando di meno, ma di più. Solo che le importazioni dal resto del mondo stanno aumentando in misura maggiore. Ciò riduce il nostro avanzo commerciale, che insieme a consumi e investimenti interni e spesa pubblica netta contribuisce alla formazione del prodotto interno lordo. Incrociando i dati con quelli forniti dall’ISTAT riguardo all’import-export verso gli stati extra-UE, ricaviamo che tra gennaio e maggio il nostro disavanzo commerciale con l’UE si è ridotto su base annua da 7,6 a 6,5 miliardi.
Perdita di competitività per euro forte
Questi dati possono essere sintomatici di una perdita di competitività delle imprese europee. Il cambio tra euro e dollaro è salito da 1,03 di inizio anno fino a un massimo di oltre 1,18 di recente. Ieri, si attestava intorno a 1,1550. L’euro forte rende più convenienti le importazioni, mentre riduce l’appeal delle nostre esportazioni.
Più che i dazi, per il momento forse gioca a nostro sfavore l’effetto cambio, sebbene esso sia stato provocato in buona parte proprio dalle politiche commerciali degli USA.
Calo Pil italiano nel secondo trimestre allarme sui redditi
Il calo del Pil italiano nel secondo trimestre è la spia di un’economia che non può fare leva esclusivamente sulla domanda degli altri stati per reggersi in piedi. Serve il rilancio di consumi e investimenti. I primi restano frenati dagli stipendi al palo dei lavoratori, i quali hanno sì recuperato potere di acquisto nel 2024, ma restando del 7,5% inferiori ai livelli reali del 2021. L’ISTAT prevede che i consumi cresceranno dello 0,7% sia quest’anno che nel 2026, abbastanza lentamente per poter trainare l’economia. Gli investimenti delle imprese risentono del clima incerto sul piano globale. Infine, la spesa pubblica non può contribuire alla crescita per l’assenza di margini di manovra fiscali.
Ecco perché è probabile che la Banca Centrale Europea già a settembre torni a tagliare i tassi di interesse. Favorirebbe la ripresa dell’economia nell’Eurozona. Un costo del denaro più basso incentiva i consumi, poiché riduce la remunerazione del risparmio e al contempo abbassa le rate dei prestiti. Incoraggia anche gli investimenti e fa risparmiare qualche quattrino allo stato per pagare gli interessi sul debito pubblico. Un mix positivo, che certo non basta da solo alla svolta, ma che può contribuire a migliorare il quadro complessivo.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

