Uno degli uomini più ricchi del mondo – a tratti il più ricco – decide di convolare a nozze per la seconda volta dopo pochi anni dal più costoso divorzio della storia globale. Sceglie la città di Venezia per celebrare il matrimonio e porta con sé un paio di centinaia di invitati celeberrimi, tra cui Ivana Trump (figlia di), le sorelle Kardashian, Oprah Winfrey, Domenico Dolce (lo stilista), Leonardo DiCaprio e tanti altri. E come viene accolta la notizia in Italia? Con la nascita del gruppo di protesta “no Bezos”. Poche centinaia di persone, perlopiù appartenenti ai centri sociali del Nord e radicati particolarmente nel Nord-Est, oltre a una sempre presente spruzzata di ambientalisti e pacifisti fino all’adesione dell’Anpi.
Avete letto bene: i partigiani si scagliano contro le nozze tra Jeff Bezos e Lauren Sanchez.
No Bezos contro cosa?
“Fuori Bezos dalla Laguna” dicevano i cartelli dei “no Bezos”. Non hanno scalfito più di tanto la cerimonia con annessi festeggiamenti. Contro cosa protestavano? Tenetevi forti: lo sfruttamento dei lavoratori in Amazon e di cui Bezos è fondatore e proprietario; l’occupazione della città da parte dei vip; l’amicizia del tycoon con Donald Trump dopo che per anni i due erano stati acerrimi nemici; l’aumento della spesa militare richiesto da Trump all’Europa, la cui responsabilità viene fatta ricadere proprio su Bezos per la sopra citata amicizia.
Contro il lusso ipocrisia italiana autolesionista
Un concentrato di populismo, realtà parallela e ipocrisia allo stato puro. La celebre coppia con tutti gli invitati si stima che abbiano fruttato alla città lagunare quasi 60 milioni di euro in termini di spese, a cui si aggiunge la pubblicità mondiale di cui Venezia ha beneficiato per diversi giorni.
E’ vero che tutti nel mondo già la conoscono e di turisti non ne mancano di certo ogni anno. Ma sarebbe come pensare che la Coca Cola smettesse di fare pubblicità, perché tanto tutti già sanno che esiste.
I “no Bezos” rimproverano al patron di Amazon di avere occupato la città per giorni, quando essi stessi hanno fatto ciò e senza avere apportato un euro all’economia cittadina. Anzi, hanno comportato solamente il sostenimento di spese a carico dello stato per gestirne la sicurezza. Si sono battuti contro l’ostentazione del lusso, come se non si trattasse di un comparto dell’economia su cui campa parte dell’Italia. Cos’è il Made in Italy di cui tanto parliamo senza forse conoscerne il significato concreto? Le Ferrari vendute all’estero, così come i piumini Moncler o i cashmere Brunello Cucinelli non sono forse marchi del lusso che danno lavoro a migliaia di italiani?
Lotta contro Made in Italy
C’è un’italica ipocrisia nelle manifestazioni dei “no Bezos”. E’ quella di chi tutti i giorni si lamenta del fatto che l’Italia sia una meta per turismo di massa, che Parigi sia visitata più di Roma, che in Francia gli stranieri spendano più che da noi.
E poi quando si presenta una delle massime occasioni per ribaltare tale realtà, ci mettiamo a inveire contro il lusso, gli stranieri danarosi, gli americani guerrafondai e i vip. Lo sanno coloro che hanno protestato che il turismo sia una fonte di esportazioni? Per caso rientrano tra coloro che si stracciano le vesti contro i dazi di Trump, salvo poi contrastare in altra sede il nostro Made in Italy?
Ma se le sfilate delle celebrità vi fanno schifo, se le nozze dei ricconi vi fanno venire l’orticaria e se pensate che lo sfruttamento dei lavoratori lo si contrasta cercando di impedire la celebrazione di una cerimonia, ci dite cortesemente a vostro avviso di cosa dovremmo campare? Non è che l’alternativa al lusso sia certo pauperismo un tanto al chilo? Per caso i “no Bezos” non ordinano mai online, non hanno uno smartphone, non indossano qualche indumento Made in China o Vietnam, non guardano film hollywoodiani e magari su Prime?
No Bezos film già visto
Ne abbiamo ben donde contro chi quotidianamente blocca strade, occupa piazze e impedisce lo svolgimento pacifico di eventi con il pretesto delle buone intenzioni di turno. Ormai non si tratta più solamente di sfilate carnescialesche di gruppi di persone eternamente in vacanza, bensì della pretesa di questi di imporre un’agenda ideologica a tutta la popolazione, imbastita di parassitismo sociale, anti-capitalismo e finti diritti sociali. I “no Bezos” sono i “no global” dei primi anni Duemila. Simili alle proteste di Ultima Generazione, che abbiamo visto in azione nei mesi scorsi ai danni di qualche locale d’élite. La logica consiste sempre nell’opporsi a tutto l’esistente, offrendo come alternativa il ritorno alla società pre-industriale. La stessa che consente loro di oziare per intere giornate a vaneggiare sul nulla.
giuseppe.timpone@investireoggi.it


