I fondi pensione tornano interessanti dopo la batosta del 2022. Nei primi sei mesi del 2023 hanno reso in media il 3,2%, contro un aumento del Tfr lasciato in azienda che è salito solo dello 0,8%. Un ritorno di fiamma che, però, non la dice tutta su quanto la previdenza complementare sia oggi più rischiosa rispetto al passato.
Colpa dell’inflazione che ha fatto schizzare i rendimenti dei mercati obbligazionari e dei titoli di Stato di cui i fondi sono pieni zeppi e che, di conseguenza, hanno accusato un violento crollo dei prezzi.
Perché la previdenza complementare è rischiosa
Ma se i primi sei mesi del 2023 hanno riportato fiducia sui fondi pensione, il quadro nel lungo periodo resta negativo e incerto. Secondo i dati elaborati dalla Covip, a trainare il recupero sono stati solo i comparti azionari dei fondi negoziali aperti e chiusi (+6%). Per le linee bilanciate, invece, i rialzi sono stati più bassi (+3,8%), mentre restano contenuti i rendimenti dei fondi pensione obbligazionari e garantiti, che si fermano al 1-2%.
Sul lungo periodo (10 anni), invece, i fondi azionari hanno guadagnato oltre il 5%, mentre gli obbligazionari si sono fermati al 2% per scendere al 1% i monetari e addirittura a zero i garantiti. A confronto il Tfr, il cui paragone calza a pennello con questi ultimi, ha reso il 2,3% fino ad oggi. Quindi chi ha lasciato i soldi nel trattamento di fine rapporto nell’ultimo decennio ci ha guadagnato.
Rendimenti a parte, destinare quote del Tfr alla previdenza complementare comporta dei rischi. Oltre che la mancanza di disponibilità in caso necessità che, viceversa, il Tfr garantisce in ogni momento per casi eccezionali.
I rischi dei fondi pensione
Il primo è il rischio mercato. Il valore dei fondi, sia che essi siano negoziali, aperti o chiusi, dipende dall’andamento dei mercati finanziari. Vi sono fondi più o meno rischiosi in questo senso, ma vige sempre il principio che a maggiori guadagni si associano maggiori rischi. Così se le linee azionarie promettono vantaggi superiori, quelle obbligazionarie e garantite no. In questo contesto è di fondamentale importanza il timing. Ma i lavoratori non possono deciderlo.
Il secondo rischio è quello della liquidità. Alcuni fondi pensione di piccole dimensioni potrebbero non riuscire a fronteggiare i riscatti nel caso di crisi finanziaria. Come avvenuto la scorsa primavera con le polizze Eurovita. Il lavoratore potrebbe quindi incorrere in ritardi, sospensioni o blocchi della propria posizione. Con conseguenze spiacevoli sulla pensione integrativa.
Il terzo rischio attiene al credito. Diversi gestori, come si è visto nel caso dei fondi inglesi, a volte sono costretti a investire parte della raccolta in asset più rischiosi per garantire rendimenti tali da attrarre sempre più lavoratori. O, come nel caso della Gran Bretagna, a utilizzare strumenti derivati per ottenere leva finanziaria investendo soldi che non hanno. In caso di crisi, le perdite si moltiplicano.
L’ultimo rischio riguarda i gestori. Purtroppo le gestioni dei fondi pensioni non sono per niente trasparenti, anzi, lo sono ancor meno di quelle dei fondi di investimento. Il lavoratore non è quasi mai portato a conoscenza di quello che i gestori fanno quotidianamente: affidano ciecamente i loro soldi a mani esperte con la promessa di rendimenti allettanti, spinti anche dagli incentivi fiscali promossi dallo Stato.
Riassumendo…
- I fondi pensione sono tornati a rendere nei primi 6 mesi del 2023, ma solo il comparto azionario.
- Il Tfr resta la soluzione migliore e più sicura nel lungo periodo.
- I rischi della previdenza complementare sono maggiori dei benefici.
- Il rischio mercato, credito, liquidità e gestione dei fondi pensione.