Rendite finanziarie nel mirino del governo. Salirà del 30% il prelievo del fisco sugli interessi delle obbligazioni. L’esecutivo guidato da Matteo Renzi, nell’ambito di un più ampio prgetto di radicali riforme, sta infatti pensando di colpire ulteriormente le cosidette rendite finanziarie, ad eccezione di quelle derivanti dagli investimenti in titoli di stato, dal 1 Maggio (ma potrebbe essere retroattiva). E questo per recuperare 2,6 miliardi di euro necessari ad abbattere del 10% l’Irap alle imprese, come chiesto da Confindustria. Se fosse così semplice e benefico per la collettività, sarebbe anche una bella cosa, ma all’atto pratico – osservano gli esperti – sarà un altro buco nell’acqua, oltre che l’ennesima mazzata al mondo della finanza.

In primo luogo perché non è per niente certo che le risorse derivanti dalla maggiorazione delle imposte sugli interessi obbligazionari e bancari dal 20 al 26 per cento saranno in grado di coprire pienamente il taglio dell’Irap. In secondo luogo perché i capitali così investiti prenderebbero, oggi più di ieri, la via di fuga all’estero. Terzo, e non ultimo aspetto da considerare, così facendo non si favoriranno gli investimenti verso i titoli di stato (i cui rendimenti reali a breve termine sono già negativi), come già dimostrato dal precedente inasprimento della tassazione adottato dal governo Monti nel 2012 che alzò l’aliquota dal 12,50 al 20 per cento lasciandola ferma per i Bot e BTP.

 

Banche costrette a pagare di più per rifinanziarsi

 

interessi banche

L’incompetenza e l’ignoranza di Renzi in campo finanziario e fiscale è macroscopica. Come sostengono gli operatori di borsa, il problema non sta tanto in capo al piccolo investitore, quanto alle banche italiane. Alzando la tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento, senza toccare quella sui titoli di stato (al 12,50%) si verrebbe a creare una ulteriore allargamento indiretto dello spread fra rendimenti dei BTP e delle obbligazioni bancarie.

In altre parole, le banche sarebbero costrette a rifinanziarsi a costi superiori rispetto a quelli dei titoli di stato per fare in modo che gli investitori, a parità di rischio, siano comunque più interessati alle obbligazioni bancarie rispetto ai BTP. Facciamo un esempio pratico. Recentemente Mediobanca, il cui rating è pari a quello del debito sovrano, ha emesso un’obbligazione quinquennale offrendo un interesse di 125 punti base sopra il tasso mid swap di riferimento per fare in modo che fosse appetibile rispetto al BTP 2,50% maggio 2019 (Isin IT0004992308) che rende attualmente il 2,05%. Il rendimento reale è lo stesso poiché lo 0,20% di differenza viene assorbito dalla maggiore imposizione fiscale sugli interessi in maturazione fra i due titoli. Ora, cosa succederebbe se il fisco aumentasse ancora lo spread fiscale fra le due categorie di strumenti finanziari? Accadrebbe che Mediobanca dovrebbe collocare le obbligazioni offrendo un rendimento più alto per poter competere con l’analogo BTP costringendola quindi a sopportare costi maggiori. E questo in un momento in cui il sistema bancario italiano ha raggiunto il top in quanto a sofferenze.

 

Prelievo più pesante sui soldi dei conti correnti bancari e postali

 

Possibile-compensare-debiti-e-crediti-con-il-fisco-400x270

Ma non è solo questo il problema. L’aumento della tassazione al 26% non colpirebbe solo le obbligazioni, ma anche gli interessi sui conti correnti e i sui conti deposito, oltre che il prelievo sulla distribuzione di utili da partecipazioni (dividendi). Ne deriverebbe una distorsione abnorme del sistema che costringerebbe inevitabilmente i piccoli risparmiatori e le aziende a ridurre il livello di liquidità sui conti bancari e postali. Con conseguente ulteriore danneggiamento degli interessi delle banche che quei soldi li impiega per le attività ordinarie, per erogare finanziamenti, ecc. Risultato? Aumenterebbero gli interessi a carico dei consumatori o, indirettamente, i costi dei servizi bancari. L’aumento delle rendite al 26% è quindi una follia finanziaria, generata da una visione miope di incompetenti che stanno al governo.

Anche perché aumentare ancora la pressione fiscale sul risparmio non porterà quegli introiti che il governo si prefigge di ottenere, come è stato per la precedente manovra di Monti o come è avvenuto con l’introduzione della Tobin Tax che ha allontanato gli investitori dalla borsa italiana.

 

Fuga all’estero, per le imprese è molto semplice

 

paradisi fiscali

Se si colpiranno ancora una volta le rendite, poi, i capitali se ne andranno all’estero. Le grosse imprese non hanno difficoltà ad aprire sedi in paradisi fiscali o in Lussemburgo, in Irlanda, in Olanda, dove il fisco ha la mano decisamente più leggera che da noi. Il caso principe più recente è rappresentato dalla Fiat-Chrysler (FCA) che ha inaugurato la nuova sede operativa in Olanda e quella finanziaria a Londra. Chissà come mai non sono rimasti in Italia. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Sotto ci sono migliaia di imprese che operano in Italia ma che hanno sedi finanziarie all’estero. Anche a livello di persone fisiche non è impossibile ottenere la residenza in un paese a fiscalità privilegiata. [fumettoforumleft]Molti pensionati italiani abbienti si trasferiscono ogni anno per sei-sette mesi ai Caraibi o in paesi dove non si pagano tasse sulle rendite da capitale e spesso godono anche di un tenore di vita superiore a quello italiano.Del resto, nel mondo della globalizzazione e con i voli low cost, adesso è tutto molto più semplice.