Per effetto della crisi sono molti i professionisti che, una volta chiuso lo studio hanno continuato ad esercitare la professione da casa per risparmiare sui costi dell’affitto.   Anche se la libera professione è sempre stata ambita, c’è da dire che non sempre garantisce entrate regolari e proprio per questo motivo i professionisti sono costretti a ridurre i costi.   Ma cosa a accade ai professionisti che esercitano la propria professione da casa magari appoggiandosi, con collaborazioni, a qualche organizzazione di altri professionisti?   Vediamo il caso di un avvocato che decide di chiudere il suo studio per risparmiare sui costi esercitando la professione dalla propria casa, collaborando con uno studio legale senza nessun vincolo di orario e di esclusiva, che si vede giungere a casa una cartella esattoriale del Fisco per omesso versamento dell’Irap.   L’avvocato impugna la cartella ma la Commissione Tributaria Provinciale di Torino, prima, e la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte respinge l’impugnazione.

Secondo i giudici, infatti, l’esistenza di spese sostenute per lo svolgimento dell’attività professionale e l’utilizzo di beni strumentali dimostrano l’esistenza di una organizzazione autonoma che produce reddito e, quindi, assoggettabile all’IRAP.   L’avvocato decide, a questo punto, di ricorrere in Cassazione dove i supremi giudici accolgono il suo ricorso poiché, non avendo il professionista uno studio proprio ed esercitando la libera professione dalla propria abitazione non si denota l’esistenza di una autonoma organizzazione tale da rendere il contribuente assoggettabile all’IRAP. Il presupposto per l’applicazione dell’IRAP, fanno notare i giudici, non è l’auto organizzazione che permette al professionista di lavorare senza subordinazione, ma l’esistenza di un apparato esterno al