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Sovranità monetaria, cosa ne pensava la Banca d’Italia nel lontano 1973 →
Come si finanziava l’Italia prima del divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia (Parte 5)
Pubblicato il 15 settembre 2013 di memmttoscana


Quinta puntata della serie dedicata all’analisi storica e politica del mercato del lavoro in Italia (qui trovate la Parte 1; Parte 2; Parte 3 e Parte 4) e alla sua relazione con i vari shock di politica economica occorsi a partire dall’inizio degli anni ottanta: dal divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia, all’indomani dell’entrata italiana nello Sistema Monetario Europeo (SME), fino alle politiche fiscali intraprese dai governi che si sono succeduti; per chiudere poi con lunga fase di crescente liberalizzazione del mercato del lavoro.

Oggi parleremo di come si finanziava il governo (cioè di come il Tesoro finanziava la propria spesa) prima del divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia.

Prima del divorzio i canali di finanziamento del Tesoro presso la Banca d’Italia erano sostanzialmente due. Il primo era il cosiddetto “Conto corrente di Tesoreria”. Esso era un vero e proprio conto corrente bancario detenuto dal Tesoro presso la Banca d’Italia già a partire dal dopoguerra, nel quale come spiega questo documento pubblicato dalla Banca d’Italia (La Banca d’Italia e la Tesoreria dello Stato di Giuseppe Mulone, 2006, p.33):

confluivano giornalmente gli introiti e gli esiti in contanti eseguiti da tutte le sezioni di tesoreria. In un primo tempo, lo sbilancio del conto a debito del Tesoro fu fissato, in cifra fissa, nell’ammontare massimo di 50 miliardi di lire; successivamente (D.lgs. 544/48) la misura massima di indebitamento venne rapportata al 15 per cento del complessivo importo degli originari stati di previsione della spesa approvata dal Parlamento e delle successive variazioni di bilancio. In seguito, la L. 13/12/1964, n. 1333, in relazione alla mutata classificazione delle spese, ridusse tale percentuale al 14 per cento. I provvedimenti del 1948 prevedevano che ogni qual volta dalla situazione mensile della Banca d’Italia risultasse uno sbilancio a debito del Tesoro superiore al limite prestabilito la Banca stessa ne desse comunicazione immediata al Ministro del Tesoro per gli opportuni provvedimenti. Qualora l’indebitamento al Tesoro non fosse rientrato nei limiti di legge entro 20 giorni dalla suddetta comunicazione, la Banca d’Italia non doveva dare corso a ulteriori pagamenti di tesoreria fino a quando, a seguito di introiti o versamenti fatti dallo stesso Tesoro, lo sbilancio del conto corrente non fosse rientrato nel limite. Il meccanismo non mirava in teoria a facilitare il finanziamento della Banca d’Italia al Tesoro, ma solo ad assicurare a quest’ultimo una elasticità di cassa, attraverso la creazione di uno strumento di carattere temporaneo come una linea di credito e che non costituisse un vero e proprio finanziamento.

In pratica, come ricorda l’attuale Presidente della Bce, Mario Draghi, il Tesoro aveva la possibilità di “attingere a un’apertura di credito di conto corrente presso la Banca per il 14 per cento delle spese iscritte in bilancio” (Fonte: L’autonomia della politica monetaria. Una riflessione a trent’anni dalla lettera del Ministro Andreatta al Governatore Ciampi che avviò il “divorzio” tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, 2011, p. 2-3)

Ossia, “il Tesoro poteva spendere sopra le proprie entrate utilizzando un ‘diritto di scoperto’ sul conto accentrato presso l’Istituto di emissione; diritto consentito fino al 14 per cento della spesa di bilancio” (Fonte: L’indipendenza della Banca d’Italia dal Governo negli anni Ottanta: cause interne e internazionali di Maria Luisa Marinelli, 2011, p. 148)

Il Tesoro quindi poteva cioè finanziare tramite la Banca d’Italia le spese iscritte nel suo bilancio preventivo (quindi non ancora materialmente effettuate) per un ammontare pari al 14 per cento del loro totale. Facciamo un esempio per capire meglio: supponiamo che il Tesoro decidesse di effettuare una spesa per un ammontare totale di 100, iscrivendo questa spesa nel suo bilancio preventivo, la Banca d’Italia a quel punto avrebbe dovuto garantire al Tesoro uno scoperto di conto pari a 14.

Il secondo canale di finanziamento del Tesoro presso la Banca d’Italia fu introdotto con la riforma del mercato dei Bot (Buoni ordinari del Tesoro) del 1975. A partire da quella data, come ricorda il solito Draghi, la Banca d’Italia si era “impegnata ad acquistare alle aste tutti i titoli non collocati presso il pubblico, finanziando quindi gli ampi disavanzi del Tesoro con emissione di base monetaria”. Anche Draghi, dunque, conferma quello che ci ha già detto Andreatta: la Banca d’Italia si impegnava a “garantire in asta il collocamento integrale dei titoli offerti dal primo” (Fonte). E questo era un fatto di enorme importanza per il Tesoro, dal momento che “gli interventi della Banca centrale alle aste dei titoli servivano a mantenere il tasso d’interesse a un livello stabilito, compatibile con l’esigenza del Tesoro di finanziarsi relativamente a buon mercato: semplicemente se il mercato non voleva i titoli al tasso stabilito dal Tesoro, la Banca d’Italia li acquistava, immettendo così moneta fresca nel sistema. Il Tesoro, certo, le pagava interessi, ma la Banca d’Italia poi glieli restituiva, e quindi per il Tesoro questo era debito a costo zero, equivalente al finanziamento di una parte del fabbisogno con moneta, la cosiddetta ‘base monetaria creata dal canale del tesoro’” (Il Tramonto dell’Euro di Alberto Bagnai, 2012, p. 184).

Facciamo un esempio: il Tesoro decide di offrire al mercato l’equivalente di 100 in titoli di Stato a un tasso d’interesse fissato del 3 per cento (faccio notare che il tasso veniva fissato dal Tesoro stesso, non dal mercato come avviene oggi). Ipotizziamo adesso che il mercato avesse deciso di acquistare solamente 80 di questi titoli. Cosa sarebbe successo a questo punto? Si sarebbe scatenato il panico perché non ci sarebbero stati sono i soldi per finanziare la spesa per scuole, ospedali, infrastrutture? Niente affatto. A quel punto la Banca d’Italia sarebbe intervenuta, acquistando gli altri titoli, equivalenti a un controvalore di 20. “E la Banca d’Italia – si chiederà qualcuno – dove prendeva questi soldi?”. Semplice: li creava dal nulla, trasferendoli poi sul conto corrente detenuto dal Tesoro presso di essa. Come conseguenza la Banca avrebbe poi registrato i titoli acquistati alla voce attivi sul suo bilancio e l’incremento equivalente operato sul conto del Tesoro fra i passivi. A questo punto, il Tesoro avrebbe potuto tranquillamente spendere quel denaro, che indovinate un po’ a chi finiva? Ai privati. Sotto forma di reddito diretto (lo stipendio di un impiegato comunale, di un insegnate, di un medico…) o di reddito da interesse percepito dai detentori dei titoli del debito pubblico (parleremo della differenza nella distribuzione di questa spesa).

“Sì, ma in questo modo – si potrebbe obiettare – il Tesoro non si sarebbe indebitato con la Banca d’Italia?”. La risposta è no, dal momento che la vendita di titoli da parte del Tesoro alla propria Banca Centrale, a differenza di quanto erroneamente pensano in molti (ogni riferimento ai signoraggisti è puramente voluto), non costituisce affatto un indebitamento reale verso essa. Come spiega l’economista francese Alain Parguez, infatti, tale procedura costituisce una semplice operazione contabile “fittizia”: “la quota di disavanzo che non è assorbita dalla vendita di obbligazioni [presso il mercato, nda] viene assorbita dalla vendita fittizia di tali obbligazioni alla Banca Centrale. Si tratta della cosiddetta componente ‘monetaria’ del vincolo di bilancio” (Parguez A., The Tragedy of Disciplinary Fiscal Economics or Back to the Ancien Régime, 29th Annual Conference of the Eastern Economic Association, New York, 2003)

Tesoro e Banca d’Italia agiscono, in questo caso, di concerto, ma è il primo a indirizzare l’operato della seconda, stabilendo l’ammontare della spesa, la quantità di titoli da emettere e il tasso d’interesse al quale offrire quei titoli. In quest’ottica, dice sempre Parguez, bisogna considerare “l’esistenza della Banca Centrale come ramo bancario dello Stato. Nel bilancio della Banca Centrale, la controparte del deficit [pubblico, nda] si traduce nell’accumulo sul lato delle attività di titoli del debito pubblico ad un tasso di rendimento fissato dal Tesoro. In questo caso il debito pubblico non è altro che un debito che lo Stato ha con sé stesso” (Parguez A., The true rules of a good management of public finance, mimeo, 2010).

E anche Luigi Spaventa, per citare un noto ed eminente economista italiano, riconosceva candidamente questo fatto già nel lontano 1984. Leggete cosa scriveva: “lo stock di base monetaria creata tramite il canale del Tesoro può essere considerato un debito solo convenzionalmente. Ciò si vede bene qualora si consolidi il Tesoro con la Banca Centrale: in questo caso manca un vero e proprio debito corrispondente alla base monetaria creata dalla Banca d’Italia per conto del Tesoro, e in ciò consiste l’essenza del potere del signoraggio” (Spaventa L., La crescita del debito pubblico in Italia: evoluzione, prospettive e problemi di politica economica, Moneta e Credito, Volume n. 37 , Fascicolo n. 147, 1984).

Il punto fondamentale da capire è che anche governi che dispongono della piena sovranità monetaria tendono a creare assetti istituzionali che (operativamente parlando) separano l’azione svolta dal Tesoro e dalla Banca Centrale (i motivi possono essere molteplici e sicuramente il principale è l’incomprensione di fondo di come funzionano i sistemi monetari, oltre a un preciso orientamento ideologico di fondo contro lo Stato e la sua inefficienza, la spesa pubblica…). Ma, nella sostanza, questa divisione di ruolo non intacca il fatto che il potere di emissione di monetaria, essendo emanazione del potere che Parlamento e Governo esercitano in nome del popolo sovrano, sia nelle mani del Tesoro. E l’Italia prima del divorzio ne era un esempio lampante.

Per capirlo, vediamo passo dopo passo cosa avveniva durante il processo di vendita di titoli di Stato da parte del Tesoro alla Banca d’Italia. Dunque, ipotizziamo che la Banca d’Italia acquistasse dal Tesoro un ammontare di titoli di Stato pari a 100. Questa sarebbe stata la situazione nei rispettivi bilanci: la Banca d’Italia registra fra le attività i titoli di Stato acquistati e fra le passività l’incremento equivalente messo a disposizione sul conto corrente del Tesoro; specularmente il Tesoro metterà al passivo i titoli di Stato venduti alla propria Banca Centrale e all’attivo l’incremento equivalente del suo conto. Ecco un’immagine per esemplificare il tutto:



Notate subito una cosa: se consolidiamo i bilanci di Tesoro e Banca d’Italia di fatto non esiste un indebitamento del Tesoro (come scriveva lo stesso Spaventa), passività e attività si compensano a vicenda; ma, questa semplice operazione contabile “fittizia” (Parguez) permette al Tesoro di creare dal nulla i fondi necessari a finanziare la sua spesa.

Il Tesoro dunque effettua la sua spesa: ipotizziamo che sia equivalente a 100 per costruire una scuola; paga le aziende incaricate di realizzare l’opera accreditando i loro conti correnti detenuti presso le varie banche private (per semplicità ipotizziamo che ci sia una sola banca commerciale che rappresenta di fatto l’aggregato di tutte le banche commerciali esistenti). Ecco la nuova situazione (vi consiglio di aprire l’immagine in una nuova scheda, basta cliccarci sopra):



Andiamo con ordine: il Tesoro ha effettuato la sua spesa e dunque il saldo del suo conto corrente presso la Banca Centrale diventa zero; i soldi spesi dal Tesoro sono finiti ad aziende e famiglie che hanno lavorato per costruire la scuola, che (per ora) decidono di lasciarli in banca sotto forma di depositi; la banca commerciale registra fra le passività il denaro che famiglie e aziende detengono presso di essa, dal momento che quelli sono soldi che la banca “deve” ai propri clienti; allo stesso tempo, però, contemporaneamente all’aumento dei depositi la banca commerciale vede crescere in egual misura anche le sue riserve detenute presso la Banca Centrale (utilizzate per regolare i pagamenti con le altre banche e per far fronte alla riserva obbligatoria).

Facciamo un ulteriore passo avanti: ipotizziamo (realisticamente) che famiglie e imprese non detengano tutte le loro attività sotto forma di depositi ma che decidano di detenere una quota delle loro attività sotto forma dei contanti (circolante), per esempio 10. In questo caso avremo una variazione che coinvolge i bilanci della banca commerciale e della Banca Centrale. Ecco come:

 

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Adesso, arriviamo a un punto cruciale (attenzione: capire questo significa capire uno snodo importante del funzionamento delle operazioni effettuate dalla Banca Centrale!): ipotizziamo che la Banca Centrale imponga un obbligo di riserva alle banche commerciali pari al 10 per cento dei loro depositi. Nel nostro esempio i depositi delle banche commerciali ammontano complessivamente a 90, dunque le banche commerciali saranno obbligate a detenere a riserva obbligatoria 9 di questi 90. La domanda fondamentale a questo punto è: cosa faranno le banche con le riserve in eccesso, quelle che non sono obbligate a detenere presso la Banca Centrale, nel nostro caso 81? Le possibilità sono solamente tre:

1) Le banche commerciali possono mantenere le riserve in eccesso presso la Banca Centrale e percepire un interesse piuttosto modesto su di esse (oggi, per esempio, nell’Eurosistema questo tasso d’interesse, chiamato deposit facility, è pari a zero).

2) Le banche che hanno un eccesso di riserve possono prestarle (sul mercato interbancario) a quelle che hanno carenza di riserve e devono far fronte alla riserva obbligatoria. Ma, come avviene nel nostro esempio, se in aggregato le banche commerciali hanno un eccesso di riserve significa che complessivamente una volta che tutte le banche sono in grado di far fronte all’obbligo di riserva permarrà una situazione di eccesso di liquidità; quindi le banche cercheranno di piazzare queste riserve in eccesso in vista di guadagni maggiori. E qual è la loro unica opzione?

3) Nel momento in cui il rendimento dei titoli di Stato si colloca anche leggermente al di sopra del tasso d’interesse percepito sulle riserve in eccesso detenute presso la Banca Centrale e del tasso d’interesse interbancario (quello al quale le banche si prestano denaro fra di loro), è nell’interesse delle banche commerciali liberarsi di quelle riserve in modo da ottenere un’attività sicura, facilmente scambiabile ed estremamente liquida, con un rendimento maggiore. Ecco quindi che esse saranno ben liete di acquistare dalla Banca Centrale i titoli di Stato (sul perché la Banca decida di venderli parleremo in uno dei prossimo post in cui vedremo come la Banca Centrale fissa il tasso d’interesse di riferimento).

Ecco quindi la nuova situazione che si viene a creare:



Dunque, riepilogando, questa è tutta le sequenza che abbiamo visto:

1) Il Tesoro emette dei titoli di Stato, li vende alla propria Banca Centrale sul cosiddetto mercato primario (la Banca d’Italia fino al 1981 era obbligata ad acquistare tutti quelli non venduti in sede d’asta).

2) Il Tesoro effettua così la propria spesa a favore dei privati (costruzione di ospedali, scuole….) e accredita i conti correnti delle aziende e famiglie incaricate di eseguire il lavoro.

3) Il denaro così immesso nel circuito bancario crea un eccesso di riserve bancarie rispetto agli obblighi di riserva. Le banche commerciali avranno quindi tutto l’interesse ad acquistare sul mercato secondario i titoli precedentemente acquistati dalla Banca d’Italia, dal momento che essi garantiscono un tasso d’interesse maggiore di quello che le banche otterrebbero lasciando le riserve in eccesso parcheggiate presso la Banca Centrale.

Questo meccanismo (che io ho esemplificato) trova piena conferma empirica in un paper pubblicato nel 2012 dalla Banca d’Italia (Monetary policy and fiscal dominance in Italy from the early 1970s to the adoption of the euro: a review di Eugenio Gaiotti e Alessandro Secchi) che a pagina 27 mostra l’ammontare netto di titoli di Stato (cioè la differenza fra i titoli acquistati dalla Banca Centrale e quelli ripagati dal Tesoro alla Banca stessa) acquistati dalla Banca d’Italia sul mercato primario (in blu) e di quelli scambiati sul mercato secondario da parte della Banca d’Italia con le banche commerciali (in grigio).



Come scrivono gli autori: “la figura conferma che gli acquisti di titoli di Stato (al netto, nda) sul mercato primario da parte della Banca d’Italia sono progressivamente aumentati durante gli anni settanta, raggiungendo il picco nel 1981, poi si sono rapidamente ridotti dopo il “divorzio” (cioè da quando la Banca d’Italia non era più costretta a garantire in asta il collocamento integrale dei titoli emessi dal Tesoro, ma poteva intervenire in via facoltativa, nda), sebbene siano rimasti positivi per il resto del decennio. […] Negli anni novanta, dal momento che gli acquisti lordi sul mercato primario scesero a zero, il canale Tesoro distruggeva liquidità per un’ammontare pari ai titoli in scadenza detenuti in portafoglio dalla Banca d’Italia, mentre le operazioni sul mercato aperto creavano liquidità per fini di controllo monetario”.

In sostanza il grafico ci dice che nel momento in cui i titoli detenuti dalla Banca d’Italia giungevano a maturazione il Tesoro emetteva altri titoli, per un ammontare maggiore di quelli a scadenza e li vendeva alla Banca d’Italia. In sostanza il debito veniva ripagato emettendo altro debito che veniva venduto alla Banca d’Italia (ricordiamo che si tratta di una vendita “fittizia”, Parguez) e questo per tutti gli anni settanta e ottanta. Poi, con l’entrata in vigore il primo novembre 1993 del Tratto di Maastricht, viene vietata la “concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle Banche centrali degli Stati membri [..] a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle Banche centrali nazionali”. Il Trattato, inoltre, sancisce anche l’abolizione del Conto corrente di Tesoreria.

Come conferma il professore della Bocconi, Luca Fantacci: “Nessuno stato è in grado di ripagare i propri debiti. D’altro canto, gli stati non sono nemmeno tenuti a ripagare i loro debiti. I debiti degli stati, da quando hanno preso la forma di titoli negoziabili sul mercato, ossia da poco più di trecent’anni, non sono più fatti per essere ripagati, bensì per essere continuamente rinnovati e per circolare indefinitamente. I titoli di stato sono emessi, sono acquistati e rivenduti ripetutamente sul mercato e, quando giungono a scadenza, sono rimborsati con i proventi dell’emissione di nuovi titoli” (fonte).

Quindi, fino al 1981 il Tesoro aveva la possibilità di finanziare la propria spesa utilizzando (oltre alla vendita di titoli presso privati) denaro fresco, creato dal nulla dalla Banca d’Italia tramite l’acquisto “fittizio” di titoli emessi dal Tesoro; questo denaro veniva immesso all’interno del settore privato (famiglie e aziende) all’atto della spesa pubblica. In pratica, a livello operativo, la Banca d’Italia “consentiva” semplicemente al Tesoro di monetizzare il proprio disavanzo.

Capite bene che, in un contesto di questo tipo, il potere monetario non era affatto indipendente e sovraordinato agli altri; al contrario, il suo controllo era ben saldo nelle mani del Tesoro, che a sua volta rispondeva al governo, al parlamento e al controllo della magistratura. In altre parole, il suo esercizio avveniva, nonostante tutti i limiti che potesse avere (la corruzione, la casta, i favori al cugino, le ostriche e lo champagne), all’interno del circuito democratico.

Daniele Della Bona

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aquilarealeatapple

Forumer attivo
inflazione , quantitative easing sono tutte stupidaggini , quando vedi i grafici non ti spiegano cosa tiene in piedi quei grafici .. nemmeno l'euro è il problema che si vuol tanto paventare se non per il fatto della rimozione di alcuni zeri nei valori numerici e nella proprietà che è passata dal governo e banca d'italia ad un numero più elevato di proprietari che sono fuori dall'italia , il grave problema è che le s.p.a. che gestiscono i cibi applicano aumenti allucinanti anche del 300% - 400% sul prezzo della frutta e o della verdura .. il differenziale tra il prezzo di acquisto dal produttore e il prezzo di vendita del fruttivendolo o del supermercato comporta il passaggio di almeno 3 proprietari differenti dove il primo è il produttore che vende al mercato ortofrutticolo , questo a sua volta vende ai piccoli negozi di frutta e verdura oppure a qualche super mercato e appena li arriva l'acquirente finale , normalmente .. se qualche privato va al mercato ortofrutticolo scavalca 1 passaggio o proprietario , la miglior cosa sarebbe recarsi e acquistare direttamente dal produttore .. , la situazione dovrebbe essere normata e non lo è , ad ogni passaggio non vi dovrebbe essere un aggio lordo superiore al 5% .. mentre in alcuni casi i numeri volano in maniera incredibile , ho posto l'esempio di frutta e verdura , però vale anche per gli altri prodotti ..

qualche prezzo in germania e i loro salari .. [ appare come se qualcuno avesse effettuato una inversione tra il tenore di vita del popolo italiano e il tenore di vita del popolo tedesco ]

" h!!ps://www.youtube.com/user/lambrenedettoxvi "
" h!!ps://www.youtube.com/watch?v=CsS3jEMLPA0 "

ora risulterà più chiaro perchè il salario netto di tutti dovrebbe essere di 1.200 euro mensili nelle 5 ore lavorative giornaliere fatte bene per un totale massimo di 30 ore settimanali ? Mentre i costi di tutti i prodotti essere la metà di ciò che sono oggi , guardando sempre i prezzi vigenti in italia ? Di fatto il salario quasi raddoppierebbe con i prezzi dimezzati .. qui il dipendente percepisce 1.200 euro se va bene , altrimenti anche tra 800 e 1.000 euro e altrettanti li paga il datore di lavoro per altre spese di mantenimento di questo sistema corrotto chiamato inps e stato di governo che di democratrico ha poco o niente .. la domanda che mi pongo è : se un dipendente lavora e si guadagna il suo salario perchè ci devono essere persone estranee al suo lavoro che mangiano sempre sul suo lavoro oltre la metà delle sue sostanze e fatiche ? Se si ha un campo e si pagano i lavoratori per raccogliere le mele , perchè si devono pagare soldini a persone che non hanno fatto nulla di utile nel frutteto ? Perchè non esiste più il salario settimanale o quotidiano per contanti in modo da abolire questo obbrobrio che impone sia il datore di lavoro che il lavorante l'aver a che fare con terzi [ vedi banche o altri istituti ] che nulla centrano col vostro lavoro ?? l'italia è allo sfascio per colpa dei ladri che governano , se non lo si è ancora capito .. mancano le leggi di equilibrio , di equilibrio .. guardando attentamente in italia si guadagna la metà rispetto a quando c'era la lira anche se appare che 1.200 euro risulterebbero 2.400.000 lire , ricordate 1.200.000 lire di salario mensile e il potere d'acquisto di 100.000 lire [ anni 1986 - 1992 ] ? Le 2 borse piene di prodotti che portavate a casa ? Fate altrettanto oggigiorno con 100 euro ? oppure ne servono il doppio di soldini per caricare le 2 borse di spesa ? Così abbiamo che il potere d'acquisto da allora è sceso di un buon 40% - 50% , risultato , nella migliore delle ipotesi , il prezzo di una determinata merce è raddoppiato .. se invece l'ipotesi è pessimistica , il prezzo risulta triplicato oppure quadruplicato o peggio .. basta vedere le pesche a 1.000 lire al kilo degli anni 2.000 e le attuali pesche a 3-4 euro al kilo .. però se non si ascolta , che lo scrivo a fare ..
 
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economici.itil mondo visto da un'al
previdenza febbraio 16, 2017 posted by Mitt Dolcino
L’insostenibilità dell’INPS era stata prevista con un anno di anticipo ma i media sussidiati lo hanno taciuto. State tranquilli, va tutto bene, guardate Sanremo…



Riprendo sotto un nostro articolo di un annetto fa che ben spiega il buco che sarebbe emerso nelle pensioni nazionali ossia il rosso dell’INPS (che viene sussidiato con le tasse pagate dai cittadini). Potete tranquillamente dire che SE aveva previsto prima di tutti quanto sarebbe accaduto, cosa poco importante in realtà in quanto sono le conseguenze di detto rosso che dovrebbero preoccupare. Leggete l’articolo, informatevi…

In realtà, dopo la autosviolinata, devo svelarvi un vero segreto ossia il modo con cui abbiamo previsto quello che sarebbe successo. Ma mi raccomando, non ditelo a nessuno e tanto meno al governo, per non parlare dei media sussidiati (quelli che le fake news le pubblicano da anni): BASTAVA LEGGERE IL DEF, documento programmatico del governo.

Infatti la cosa interessante è che le previsioni del DEF a fine 2015, ossia di Padoan, erano estramente precise! Noi avevamo rilevato sulla base dei numeri previsionali, un costo per lo Stato per pensioni e sanità di ca. 442 mld di euro annui mentre in realtà sono stati ca. 447 mld di euro annui. Valore da riparametrare su una spesa totale dello Stato prevista di 826 mld di euro. Anche mio nipote di 6 anni e mezzo ha capito che non è sostenibile quando gliel’ho spiegato.

A maggior ragione se mancano contributi. Si, perchè quello che i fake media NON vi dicono è che la ragione del rosso dell’INPS più che dalle pensioni pagate dipende dai minori contributi versati negli utimi anni. E tali minori contributi dipendono dall’austerità euroimposta che impedisce una vera crescita, al punto che forse è questo il vero motivo per cui si dovrebbe pensare seriamente di uscire dall’euro…

In ogni caso vi lascio leggere l’articolo. E’ arrivato il momento di smettere di credere alla balle dei media, il cui ruolo è tenervi tranquilli per evitare che capiate il disastro che abbiammo innanzi.

L’interesse dei media a tacere la realtà delle cose? Andate a vedere chi sono gli editori, a partire da Carlo Debenedetti, residente ed ormai cittadino svizzero che da anni chiede agli italiani di autoimporsi una patrimoniale (magari per fare in modo che lui possa continuare a investire tranquillamente nel Belpaese…?)

Ad Maiora…

MD

http://scenarieconomici.it/la-bomba-ad-orologeria-delle-pensioni-che-fracassera-litalia-problema-irrisolvibile-in-assenza-di-unuscita-dalla-moneta-unica/s
 

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Attentato di Fiumicino, 1985: le incredibili analogie con l’omicidio Regeni
Scritto il 15 febbraio 2017 by Federico Dezzani
Twitter: @FedericoDezzani

Un tratto saliente della società “moderna e liberale” è l’assenza di qualsiasi profondità storica: la cognizione del passato non si spinge oltre i tre mesi e l’opinione pubblica fluttua in un eterno presente. La storia è eversiva, perché il suo studio consente di smontare facilmente la narrazione proposta dal Potere ed afferrare il “filo invisibile” che lega gli avvenimenti. Si prenda l’omicidio Regeni: a lungo abbiamo evidenziato come non fosse altro che un’operazione sporca dei servizi angloamericani per minare i rapporti italo-egiziani. Una novità? No, perché il terrorismo è da sempre uno strumento per sabotare le strategie mediterranee dell’Italia: con la strage del 1985 all’aereoporto di Fiumicino, il terrorista “palestinese” Abu Nidal portò le relazioni italo-libiche ad un passo dalla rottura. Ma la Prima Repubblica era di un’altra pasta…

Terrorismo: come castrare la politica mediterranea dell’Italia
Alcuni osservatori avranno certamente notato come una delle principali caratteristiche dell’attuale società sia l’assenza di qualsiasi profondità storica: la realtà non è più concepita come un film che si dispiega nel tempo, ma come un fotogramma a sé stante, scollegato dagli altri, diverso dopo giorno. L’opinione pubblica fluttua così in balia di eventi passeggeri, incapace di opporre qualsiasi resistenza alla narrazione dei grandi media: la sua maturità è simile a quella dei bambini, totalmente assorbiti dal presente. Lo studio della storia è quindi eversivo: non solo perché rinvanga fatti scomodi che sarebbe meglio dimenticare, ma anche (o soprattutto?) perché consente di afferrare quel filo invisibile che lega gli avvenimenti e dischiude scenari completamente nuovi, spesso in aperta opposizione al pensiero dominante.

Si considerino gli attentati di Parigi, novembre 2015, e Nizza, luglio 2016: benché siano costati la vita a 200 persone e presentino tuttora una serie di interrogativi irrisolti, appartengono ormai ad un passato remoto. La loro eredità si riduce ad un indefinito senso di inquietudine (secondo gli obiettivi del potere), ma non c’è traccia di una loro metabolizzazione storica: nessuna riflessione circa la loro possibile appartenenza alla classica strategia della tensione. C’è da dire che l’opinione pubblica francese è piuttosto “naif” da questo punto di vista, mentre un Paese come l’Italia che ha vissuto trent’anni di strategia della tensione (da Piazza Fontana alle stragi mafiose) ha una “preparazione” più solida: è facile, per noi, leggere negli attentati francesi la semplice riproposizione di quanto già sperimentato a lungo nel Belpaese.

Già, l’Italia.

Uscita dalla Seconda Guerra Mondiale ed assegnata dagli accordi di Jalta alla sfera d’influenza angloamericana, vive a partire dal 1969 tre ondate di terrorismo: quello “fascista” di Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo, poi quello “marxista-leninista” delle Brigate Rosse, ed infine quello “mafioso” di Cosa Nostra. Si è detto che l’obbiettivo di questa strategia della tensione fosse scongiurare l’ingresso dei comunisti nel governo e mantenere saldamente l’Italia nell’orbita NATO ma, ex-post, si può tranquillamente dire che questi attentati si proponessero anche la destabilizzazione tout court del Paese, così da mantenerlo in una perenne condizione di subalternità. La lunga storia del terrorismo italiano dovrebbe, a rigor di logica, essere quindi ancora attuale: se il comunismo è morto, l’esigenza di tenere il nostro Paese al guinzaglio infatti permane.

Il passato di bombe e stragi offre quindi ancora preziosi spunti per interpretare e comprendere il presente? Senza ombra di dubbio, sì.

Prendiamo ad esempio l’omicidio di Giulio Regeni: abbiamo più volte sottolineato nelle nostre analisi come l’assassinio al Cairo del giovane ricercatore friulano fosse la classica operazione sporca dei servizi angloamericani, tesa a minare un rapporto strategico, quello tra Italia ed Egitto, germogliato sotto la presidenza di Abd Al-Sisi e fiorito con la scoperta, nell’estate 2015, del più grande giacimento metanifero del Mediterraneo ad opera dell’ENI.

Si poteva arrivare a questa conclusione sia partendo dalla contingenza dell’omicidio (come abbiamo sinora fatto), sia seguendo quel “filo invisibile” che lega i diversi avvenimenti della storia: il terrorismo è, infatti, un’arma con cui le potenze straniere (Regno Unito, Stati Uniti e Francia in testa) da sempre tentato di sabotare la politica estera italiana, e quella mediterranea in particolare. Esiste quindi un “precedente” dell’omicidio Regeni? Esiste un’operazione simile, tale da dire che il caso Regeni ne è la semplice riproposizione? La risposta è ancora sì: la strage all’aeroporto di Fiumicino del 27 dicembre 1985.

Un esperto del ramo, così in là con gli anni da aver vissuto la stagione del terrorismo “palestinese”, direbbe: la dinamica sottostante all’omicidio Regeni è la stessa dell’attentato di Fiumicino. È lo stessa operazione aritmetica, dove si cambia solo qualche elemento per ottenere lo stesso risultato. Con l’omicidio Regeni i servizi atlantici hanno messo nel mirino gli scomodi rapporti italo-egiziani, così come con la strage di Fiumicino avevano messo nel mirino gli altrettanto scomodi rapporti italo-libici. L’esperto del ramo, ormai invecchiato, sospirerebbe però facendo un simile confronto, perché noterebbe come la Prima Repubblica fosse molto più scaltra e risoluta nel difendere gli interessi nazionali. Neutralizzare i danni di un’operazione sporca come l’omicidio di Giulio Regeni, sarebbe stato facile per quei politici che nel 1985 vanificarono il tentativo di scavare un fossato incolmabile tra Libia e Italia, dopo il ben più sanguinoso assalto all’aeroporto romano.

Procediamo con ordine. Sull’omicidio Regeni (ruolo dell’università di Cambridge, profilo dei docenti inglesi, funzione e natura di Amnesty International, intervento dell’anglofilo ambasciatore Maurizio Massari, etc. etc.) abbiamo detto a sufficienza. Non ci resta, per tessere il nostro calzante paragone, che ricostruire la strage di Fiumicino del 1985, di cui molti conservano solo un vago ricordo ed altri hanno sentito nominare solo di sfuggita.

Corre l’anno 1985. Alla Casa Bianca siede Ronald Reagan e Downing Street è occupata da Margaret Thatcher: entrambi sono espressione di una destra liberista, muscolare ed aggressiva, che prosegue quel processo di deregolamentazione dei mercati e finanziariazzione dell’economia avviato con lo choc petrolifero del 1973 e completato negli anni ‘90 dal democratico Bill Clinton e dal laburista Tony Blair. Entrambi anche sono decisi a ribadire la supremazia angloamericana nelle aree chiave del mondo, prime fra tutte il Mar Mediterraneo: in questo contesto il Colonello Muammur Gheddafi rappresenta un elemento di forte disturbo, benché il rais, salito al potere col putsch militare del 1969, si limiti a flirtare con Mosca e conservi la Libia nello schieramento del Paesi non allineati (quelli che saranno poi liquidati dalla NATO tra il 1991 ed il 2011).

L’Italia ha solidi rapporti con la Libia “nasserista” del Colonnello: il nostro apporto alla salita al potere di Gheddafi è stato, secondo alcune ricostruzioni, determinante, come testimonierebbe il fatto che, mentre molte compagnie angloamericane sono nazionalizzate dopo il 1969, l’ENI è risparmiata e le sono anzi spalancate le porte per massicci e proficui investimenti. Un ingente flussi di armi di fabbricazione italiana si riversa negli arsenali libici ed i nostri servizi segreti, non solo “plasmano” quelli di Tripoli1, ma a più riprese contribuiranno a sventate i progetti per defenestrare/assassinare il Colonnello: merita di essere ricordato il tentativo inglese nel 1971 di rovesciare il Gheddafi sbarcando un gruppo di mercenari sulle coste libiche, noto come “piano Hilton”, prontamente neutralizzato da Roma.

Nei primi anni ‘80, quando l’amministrazione Reagan ha già imposto sanzioni economiche alla Libia e ne ha proibito l’importazione di greggio, l’Italia continua quindi a fare lauti affari con la “Quarta Sponda”, nella veste di primo acquirente di petrolio e venditore di tecnologia: si noti ancora il parallelismo con l’Egitto di Abd Al-Sisi e la scoperta del maxi-giacimento di Zohr.

Nel corso del 1985 il divario tra Washington e Londra da una parte, Roma dall’altra, si allarga: gli americani hanno messo la Libia sotto embargo, armano insieme ai sauditi la resistenza al rais in Ciad, progettano il cambio di regime e demonizzano il Colonnello, dipingendolo come il principale sponsor del terrorismo internazionale (accusa piuttosto ridicola se pronunciata da chi ha partorito le Brigate Rosse e a Rote Armee Fraktion). Gli italiani gettano acqua sul fuoco, si aggiudicano commesse miliardarie con l’Italsider, stigmatizzano l’aggressività dell’amministrazione Reagan e, per bocca del ministro degli Esteri Giulio Andreotti, ribadiscono l’estraneità del rais al terrorismo che insanguina il Paese (al contrario, il Colonnello finanzia l’IRA che si batte per la liberazione dell’Irlanda del Nord dagli inglesi). Come riportare all’ovile la riottosa Italia? Semplice: proprio come avverrà a distanza di 31 anni con l’omicidio Regeni, progettando una sanguinosa operazione che metta in crisi i legami tra Roma e la sponda sud.

Si arriva quindi all’aeroporto di Fiumicino, 27 dicembre 1985: sono le nove del mattino, quando un commando di quattro palestinesi assaltano con bombe a mano e kalashnikov i banchi della compagnia israeliana El Al e della statunitense Twa, sparando sulla folla. In circa 60 secondi restano uccisi dodici passeggeri ed un impiegato di El Al2, prima che tre dei quattro terroristi siano uccisi dalle forze dell’ordine italiane e dai tiratori scelti israeliani: già perché Tel Aviv, precedente avvisata dal SISMI guidato da Fulvio Martini circa la possibilità di un attentato a Fiumicino tra il 25 ed il 31 dicembre, aveva preso provvedimenti. Solo il ministero degli Interni, guidato da Oscar Luigi Scalfaro, si rivela stranamente sordo agli avvertimenti del SISMI. Misteri italiani.

Quasi in contemporanea, un commando di terroristi assalta con identiche modalità l’aeroporto Schwechat di Vienna, uccidendo due persone: perché Vienna? Perché l’Austria in quegli anni, grazie al cancelliere Bruno Kreisky, è il secondo alleato europeo della Libia, subito dopo il nostro Paese ed a fianco della Grecia di Andreas Papandreou.

Veniamo così al “legame” tra le stragi e il Colonnello Gheddafi: quell’immaginario nesso, identico al pretestuoso coinvolgimento dei vertici egiziani nell’omicidio Regeni, che dovrebbe seminare l’odio tra l’Italia e la Libia. L’architetto delle stragi di Roma e Vienna è, infatti, il terrorista palestinese Abu Nidal ma, secondo l’ossessiva campagna della Casa Bianca, il mandante è nientemeno che Muammur Gheddafi. Un brevissimo profilo di Abu Nidal (1937-2002): strenuo oppositore di Yasser Arafat, considerato una scheggia impazzita dallo stesso OLP che lo condannerà a morte in contumacia, buona conoscenza dei brigatisti italiani e tedeschi3, sospettato di essere un agente del Mossad, questo papavero del terrorismo internazionale non è altro che un alfiere dei servizi atlantici. “Abu Nidal, notorious Palestinian mercenary, was a US spy” scriveva The Indipendent nel lontano 20094. Un terrorista pianamente ascrivibile ai servizi atlantici compie una sanguinosa strage a Fiumicino, gli USA incolpano il rais di esserne il mandante ed enormi pressioni sono esercitate su Roma affinché tagli i ponti con la Libia: suona famigliare? Ricorda un poco il caso Regeni?

Siamo però in Guerra Fredda ed in Italia regna ancora la Prima Repubblica: la rigida polarizzazione est-ovest, la “minaccia comunista” e le qualità dei leader politici forgiati, con tutti i loro limiti, alle grandi scuole del partito democristiano e socialista, permettono all’Italia di scansare la tagliola che le è stata preparata. Il premier Bettino Craxi annuncia che il nostro Paese non parteciperà a nessuna azione di rappresaglia militare contro la Libia e, affiancato dal ministro degli Esteri Giulio Andreotti, adotta un atteggiamento prudente e dilatorio, in attesa che passi la bufera: solo i partiti “anglofili”, come il PRI ed PLI, invocano la linea dura, con l’imposizione di sanzioni economiche (le stesse già adottate da Washington, ossia il blocco delle importazioni petrolifere) e una drastica inversione di rotta della Farnesina. Si noti, continuando il parallelismo con il caso Regeni, che ampi settori dell’informazione (Gruppo l’Espresso) e della politica (esponenti filo-atlantici del PD come l’ex-Lotta Continua Luigi Manconi) chiedevano anch’essi nel 2016 l’imposizione di sanzioni all’Egitto e la sospensione delle attività dell’ENI, come “rappresaglia” contro il Cairo.

Mentre la VI flotta manovra minacciosa davanti alle coste libiche, Craxi si adopera per ricucire i rapporti, tanto che si parla di un imminente incontro a Malta tra il premier italiano ed il rais: se il faccia a faccia salterà, sarà colpa della solita azione frenante esercitata dagli “anglofili” liberali e repubblicani. L’Italia continuerà a remare contro Washington anche nei mesi successivi, quando gli americani, ormai decisi ad andare fino in fondo e a liquidare il Colonnello, passeranno alla classica politica delle cannoniere: prima una serie di bombardamenti contro postazioni militari libiche (marzo 1986), seguiti da un raid aereo sul quartiere generale del rais (aprile 1986). Secondo le ricostruzioni più accreditate, Muammur Gheddafi sfuggirà al letale attacco aereo proprio grazie al tempestivo avvertimento di Bettino Craxi.

Trascorreranno ancora anni prima che i protagonisti di questa vicenda siano definitivamente eliminati dai poteri atlantici: Craxi con Tangentopoli, Andreotti (che ambiva a quella presidenza della Repubblica poi occupata dal sullodato Oscar Luigi Scalfaro) con l’accusa di associazione mafiosa, Gheddafi con la rivoluzione colorata ed i successivi raid della NATO nel 2011. Tre figure, controverse e differenti, che in quel dicembre del 1985 operarono però in sintonia, impedendo che una strage dei servizi segreti atlantici degenerasse in una crisi diplomatica. Impedendo che quell’Abu Nidal, terrorista al soldo della NATO, causasse l’irreparabile nel Mar Mediterraneo con una mattanza all’aeroporto di Fiumicino. Impedendo che si verificasse l’infamia del 2011, quando il governo Berlusconi, su pressione di Giorgio Napolitano, concesse la basi italiane per bombardare quel Paese con cui aveva sottoscritto nel 2008 il trattato di Amicizia e Cooperazione.

Constata l’identità tra la strage di Fiumicino del 1985 e l’omicidio di Giulio Regeni del 2016, non si può che rabbrividire di fronte alla diversità di reazione: il premier Matteo Renzi che avvalla la crisi diplomatica con l’Egitto, l’ambasciatore Maurizio Massari promosso a Bruxelles per i suoi servigi al Cairo, il disastroso Marco Minniti che si adagia alla strategia filo-islamista degli angloamericani in Libia, l’ossequioso Paolo Gentiloni che si reca in pellegrinaggio alla London School of Economics nelle stesse ore in cui media inglesi diffondono la notizia di improbabili attacchi informatici russi alla Fernesina.

Di fronte a questo scempio, viene da dire: ridateci il Cinghialone! Ridateci il Divo! Ridateci la Prima Repubblica o, perlomeno, ammazzate in fretta la Seconda!






1Gheddafi, Angelo Del Boca, Editori Laterza, 2001, pag. 131

2Strage di Fiumicino, il terrore 30 anni prima di Parigi - Cronaca

3LE BR COME LA RAF UN PUGNO DI UOMINI ALLA CORTE DI ABU NIDAL - la Repubblica.it

4Abu Nidal, notorious Palestinian mercenary, 'was a US spy'
 

mototopo

Forumer storico
EURO SCRITTURALI: MONETA NOSTRA
Posted on 16/02/2017 by admin fonte marco della luna


Pubblico un testo aggiornato per la creazione di euro scritturali e il pagamento con essi dei debiti verso banche e Stato, avvertendo che quasi certamente non sarà accettato dai destinatari, che proteggono il privilegio bancario di creare moneta dal nulla e di dominare con esso l’economia e la politica, anche se non è sancito dalla legge.

Avverto anche che corre voce di un imminente denuncia penale da parte di banchieri contro chi usa questo tipo di moneta, minacciando l’esclusività del loro privilegio.

16.02.17 Marco Della Luna

CARTA INTESTATA

Spett.le BANCA VIA PEC_____________

e p.c.

Banca d’Italia

Pec: [email protected]

VIA PEC

In relazione al vostro preteso credito:_____________________________di € 100,00

Io sottoscritto:_____________________

PREMESSO CHE:

1 – Lo Stato, come pure BRI, BCE, EBA e KMPG, ammettono e accettano la prassi con cui le banche di credito, creano moneta scritturale nell’erogare prestiti e pagamenti (realizzando così un ricavo, seppur non contabilizzato e pertanto sottratto all’imposizione tributaria per circa 540 miliardi l’anno in Italia); recentemente abbiamo avuto anche l’ammissione da parte della Banca d’Italia, in persona di Carmelo Barbagallo, capo della Vigilanza; l’ammissione è avvenuta come risposta scritta a un’interrogazione dell’on.le Alessio Mattia Villarosa, nella Commissione Finanze congiunta Camera-Senato, del 17.01.17 – vedi il video: https://www.youtube.com/watch?v=WPmObU-V4lk; la prassi della creazione di “euro”, allo scoperto, mediante mera registrazione contabile fiat, è verità ufficiale.

2- Il Tribunale di Bolzano, con l’ordinanza 06/09/16 resa nella pendente esecuzione forzata rg 216/14, afferma: “quanto, invece, alla violazione dell’art 127 (ex art 105) del trattato istitutivo dell’Unione Europea, non si capisce per quale motivo la creazione di moneta attraverso il sistema bancario possa violare tale norma, che nulla dispone in tal senso, come è assolutamente irrilevante il riferimento all’art 10 TUB, che non vieta tale sistema, posto che comunque l’Euro è una moneta non rappresentativa, per cui non è richiesto un controvalore per ogni biglietto stampato come all’era del sistema aureo…”.

3- Questa facoltà delle banche non centrali di creare ed emettere euro scritturali (girali) in assenza di qualsiasi norma di legge che conferisca loro questa facoltà, è riconosciuta in base al principio che ciò che non è proibito o riservato, è lecito.

4-In forza del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, il predetto principio si applica a tutti i soggetti; dunque tutti, non solo le banche, possono creare danaro fiduciario denominato in euro (la semplice emissione contro denaro preesistente è invece normata e limitata ai possidenti i requisiti di legge);

Tutto ciò premesso,

Con la presente, e con scritturazione contabile di cui allego copia, in applicazione del principio enunciato dal Tribunale, cioè al medesimo titolo e al medesimo modo in cui voi avete creato il denaro che mi avete prestato, CREO 100,00 euro scritturali e ve li bonifico, invitandovi a contabilizzarli correttamente subito, a estinzione del mio debito pregresso, ossia mettendo nelle ENTRATE la quantità di euro creati e nelle USCITE quelli spesi.

CAVEAT: Qualora il pagamento non venisse accettato, il debito si considererà comunque estinto poiché non è consentito rifiutare l’euro come mezzo di pagamento finale.

Cordiali saluti,

______________


Scrittura contabile di creazione di euro scritturali



________________CF Residenza:_______________

Esercizio giornale 2017
Esercizio bilancio 2017
Data registrazione ——–2017
Causale: Pagamento residuo debito, interessi, spese
Creatore-emittente:

Data di ultima modifica: oggi

Valuta scritturale: Euro

CONTI
Conto Descrizione Dare Avere
Cassa moneta scritturale 100
Ricavi da creazione di moneta scritturale 100
CONTI
Saldo c.s. 100
Commiss., interessi, spese bancarie ad oggi, salva verifica 0
Cassa moneta scritturale 100
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LA BANCA E LA GRAZIA
Posted on 04/02/2017 by admin
LA BANCA E LA GRAZIA

Fermento e speranza agitano il web, innumeri vittime di usure bancarie e di magistrati che non le fermano nonostante denunce e opposizioni fondate su prove evidenti, ora sollevano gli occhi al Cielo, respirano e ringraziano Moneta Nostra.

Tutto ciò a seguito della divulgazione della lettera del Credito Cooperativo Romagnolo, diretta a un mio cliente che aveva rimborsato il prestito di € 30.000 spedendole via pec altrettanti euro scritturali da lui generati contabilmente, cioè esattamente come fanno le banche, secondo il metodo spiegato nel mio post Pagare gratis creando euro ( http://marcodellaluna.info/sito/wp-admin/post.php?post=3308&action=edit ) e in altri successivi.

Che cosa comunica la detta banca? Tre righe:

“Importo accordato € 30.000

Importo liquidato € 30.000

Debito residuo € 0”

Il senso comune interpreta queste laconiche espressioni come segue:

“Importo accordato da noi a voi € 30.000

Importo liquidato da noi a voi € 30.000

Debito residuo da voi a noi € 0”.

Mi aspetto che, per contro, la banca preciserà che l’interpretazione corretta sia:

“Importo accordato da noi a voi € 30.000

Importo liquidato da noi a voi € 30.000

Debito residuo da noi a voi € 0”.

Cioè mi aspetto che la banca dia il seguente significato alle tre righe in esame: “Noi vi abbiamo accordato un prestito di € 30.000, vi abbiamo dato € 30.000, quindi vi dobbiamo ancora dare € 0.”

E mi aspetto che, a riprova di questa interpretazione, faccia notare che, in fondo alla lettera, nella riga dedicata ai movimenti, figura solo il pagamento di una rata dell’ammortamento, e non del totale.

Ma l’interpretazione che conta, quella storicamente “vera”, è quella che scaturirà dai fatti, dalle res gestae, dallo scontro tra le opposte forze materiali e, forse, spirituali.

04.02.17 Marco Della Luna

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mototopo

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Mitt Dolcino
Secondo ofcs.report si sta preparando un’imposta patrimoniale devastante per l’Italia (voluta dall’EU), fino al 5-8% della ricchezza finanziaria delle famiglie

La notizia desta enormi preoccupazioni per tutti coloro che hanno dei risparmi: sembrerebbe che l’EU, spinta da Berlino, stia richiedendo con forza un’imposta patrimoniale da imporre all’Italia sulla ricchezza privata a compensazione del debito pubblico. Vi consiglio l’articolo in calce, da leggere con attenzione, molto completo davvero: vi spiega l’assurdità di detta proposta, non solo inutile ma anche e soprattutto nefasta. Per inciso, se tale imposta patrimoniale – come ipotizzato dallo scrivente in passato – fosse stata proposta anche solo nel 2012 (ma solo per uscire dall’Euro), sarebbe anche stata praticabile. Oggi, dopo 5 anni di austerità euroimposta devastante per la società italica, no, non lo è più.

Oggi ofcs.report, sito web di Roma normalmente molto ben informato, rilancia l’ipotesi patrimoniale con i numeri che circolano ormai da mesi, 5-8% della ricchezza finanziaria privata delle famiglie italiane (forse anche con la “componente” patrimoniale sotto forma di IMU/incremento degli estimi catastali anche sulla prima casa, oggi esclusa). La logica tedesca dietro il prorvvedimento? Sta tutta nelle due immagini che seguono:





I tedeschi purtroppo, come riportato dallo scrivente anni fa, sono abituati ad imporre al proprio popolo imposte straordinarie sul patrimonio, per loro è normale. Si, perchè ciclicamente hanno dovuto pagare i danni cagionati ai paesi limitrofi con le guerre che hanno scatenato, una ogni 50 anni mediamente.

L’Italia no, non fa guerre ai vicini di norma e forse anche per questo le imposte straordinarie sono rarissime per non dire inesistenti dal 1860. Ecco, l’unica nostra colpa sembrerebbe essere stata aggregarsi all’EU, ma ben sapete che la mia è una visione di parte, di chi vorrebbe uscire dalla moneta unica di corsa per il bene ed anzi per la sopravvivenza non come colonia delle future generazioni italiche…

Sta di fatto che – purtroppo- anche il nostro Prof. Rinaldi è dello stesso avviso, un’imposta patrimoniale sembra prossima, ci sono molti “rumors romani”. E, più grave, anche lo stimato giudice Barra Caracciolo**** analizzando recenti sentenze della Corte Costituzionale solo apparentemente in contrasto con tale indirizzo “straordinario” in termini di imposte, ci spiega bene come invece detta patrimoniale sia non solo possibile ma molto vicina, anzi prossima, forse quasi inevitabile.



Uno scandalo.

Ben s’intenda, se l’EU tedesca riesce a far accettare all’Italia detta tassa – magari per il tramite di un governo comprato – per il Belpaese è finita, anche perchè ce ne saranno molte altre in futuro, inevitabile (vedasi l’articolo di ofcs.report). Ed il risultato secondo chi scrive non sarà solo la miseria ma soprattutto la fine del Paese come entità unica ed indivisibile. Si, rischiamo di rompere l’Italia ovvero il sangue dei nostri avi sarà andato sprecato (…). Senza citare il fatto che normalmente tali scissioni non sono mai indolore, si vede sempre il sangue per le strade purtroppo.

Per questo io non ci sto.

Leggete dunque l’articolo in calce e meditate sul da farsi. Chiaramente l’unico soggetto che può opporsi ad una spirale distruttiva per l’Italia è solo colui che ha garantito la nostra difesa negli ultimi 75 anni, dopo che un siciliano permise all’armata USA di sbarcare in Italia per sconfiggere i nazifascisti senza sparare un colpo (purtroppo oggi ancora non riusciamo a capire chi sono gli amici e chi i nemici, men che meno i corruttori esterni dei nostri governanti).

Buona lettura (fate click sull’immagine o sul link dell’articolo, sotto)

Mitt Dolcino

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mototopo

Forumer storico
Mitt Dolcino
Secondo ofcs.report si sta preparando un’imposta patrimoniale devastante per l’Italia (voluta dall’EU), fino al 5-8% della ricchezza finanziaria delle famiglie

La notizia desta enormi preoccupazioni per tutti coloro che hanno dei risparmi: sembrerebbe che l’EU, spinta da Berlino, stia richiedendo con forza un’imposta patrimoniale da imporre all’Italia sulla ricchezza privata a compensazione del debito pubblico. Vi consiglio l’articolo in calce, da leggere con attenzione, molto completo davvero: vi spiega l’assurdità di detta proposta, non solo inutile ma anche e soprattutto nefasta. Per inciso, se tale imposta patrimoniale – come ipotizzato dallo scrivente in passato – fosse stata proposta anche solo nel 2012 (ma solo per uscire dall’Euro), sarebbe anche stata praticabile. Oggi, dopo 5 anni di austerità euroimposta devastante per la società italica, no, non lo è più.

Oggi ofcs.report, sito web di Roma normalmente molto ben informato, rilancia l’ipotesi patrimoniale con i numeri che circolano ormai da mesi, 5-8% della ricchezza finanziaria privata delle famiglie italiane (forse anche con la “componente” patrimoniale sotto forma di IMU/incremento degli estimi catastali anche sulla prima casa, oggi esclusa). La logica tedesca dietro il prorvvedimento? Sta tutta nelle due immagini che seguono:





I tedeschi purtroppo, come riportato dallo scrivente anni fa, sono abituati ad imporre al proprio popolo imposte straordinarie sul patrimonio, per loro è normale. Si, perchè ciclicamente hanno dovuto pagare i danni cagionati ai paesi limitrofi con le guerre che hanno scatenato, una ogni 50 anni mediamente.

L’Italia no, non fa guerre ai vicini di norma e forse anche per questo le imposte straordinarie sono rarissime per non dire inesistenti dal 1860. Ecco, l’unica nostra colpa sembrerebbe essere stata aggregarsi all’EU, ma ben sapete che la mia è una visione di parte, di chi vorrebbe uscire dalla moneta unica di corsa per il bene ed anzi per la sopravvivenza non come colonia delle future generazioni italiche…

Sta di fatto che – purtroppo- anche il nostro Prof. Rinaldi è dello stesso avviso, un’imposta patrimoniale sembra prossima, ci sono molti “rumors romani”. E, più grave, anche lo stimato giudice Barra Caracciolo**** analizzando recenti sentenze della Corte Costituzionale solo apparentemente in contrasto con tale indirizzo “straordinario” in termini di imposte, ci spiega bene come invece detta patrimoniale sia non solo possibile ma molto vicina, anzi prossima, forse quasi inevitabile.



Uno scandalo.

Ben s’intenda, se l’EU tedesca riesce a far accettare all’Italia detta tassa – magari per il tramite di un governo comprato – per il Belpaese è finita, anche perchè ce ne saranno molte altre in futuro, inevitabile (vedasi l’articolo di ofcs.report). Ed il risultato secondo chi scrive non sarà solo la miseria ma soprattutto la fine del Paese come entità unica ed indivisibile. Si, rischiamo di rompere l’Italia ovvero il sangue dei nostri avi sarà andato sprecato (…). Senza citare il fatto che normalmente tali scissioni non sono mai indolore, si vede sempre il sangue per le strade purtroppo.

Per questo io non ci sto.

Leggete dunque l’articolo in calce e meditate sul da farsi. Chiaramente l’unico soggetto che può opporsi ad una spirale distruttiva per l’Italia è solo colui che ha garantito la nostra difesa negli ultimi 75 anni, dopo che un siciliano permise all’armata USA di sbarcare in Italia per sconfiggere i nazifascisti senza sparare un colpo (purtroppo oggi ancora non riusciamo a capire chi sono gli amici e chi i nemici, men che meno i corruttori esterni dei nostri governanti).

Buona lettura (fate click sull’immagine o sul link dell’articolo, sotto)

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