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Forumer storico
by Fabio Lugano da scenar economici
LE NOSTRE BANCHE STANNO ANDANDO A ROTOLI, O E’UNA SITUAZIONE VOLUTA ESTERNAMENTE? IRI NECESSE EST.





Cosa sta succedendo in questi giorni al sistema bancario italiano ? Vediamo alcuni temi pensanti sul piatto:

  • MPS vede l’aumento previsto pare non essere pari a 8,8 miliardi . Secondo l’analista Paolo Fior la cifra sinora calcolata di 8,8 miliardi di iniezione di capitale non sarebbe più sufficiente e si potrebbe giungere sino ad un fabbisogno complessivo di 20 miliardi, che renderebbe necessario sia per una diversa visione della banca come non più liquida. Il problema sorge da un lato da un buco di bilancio operativo per 3,8 miliardi, causato dalla fuga della clientela, collegato al problema della valutazione incerta delle sofferenze e , soprattutto, dei debiti di dubbia esigibilità. L’insieme di queste voci potrebbe generare un incremento della perdita tale da renderlo inaffrontabile a norma di legge, in quanto la “Ricapitalizzazione preventiva” è riservata solo alle banche che non dovrebbero essere sottoposte al Bail-in, e MPS, se questi dati fossero veri, dovrebbe essere sottoposta al Bail In.
  • Unicredit deve , come sappiamo, aumentare il proprio capitale di 13 miliardi, ma la valutazione dei suoi NPL quale viene ad essere. Anche in questo caso viene in nostro aiuto Il Fatto Quotidiano.


  • Unicredit possiede 1/4 circa del totale delle sofferenze italiane. Sono in tutto circa 51 miliardi lordi, pari ad un valore netto di 20 miliardi. 31 miliardi, l’ammortizzato, costituisce la perdita che Unicredit ha già assorbito. Ora Unicredit cede 20 di questi 51 miliardi. A quale valore ? La valutazione di questi 20 miliardi è al 14% per un incasso netto di 2,5 miliardi. Il 14% è molto meno di quello pagato per le 4 banche “Risolte”, 17,5 medio. Molto meno di quanto paga ICCREA banca alla BCC, , 2il 23,5%. Molto, ma molto meno, di quanto ABI indica sia l’incasso medio delle banche dalle sofferenze , 42%. Il fatto è tanto più scandaloso in quanto il fondo Fortress, che con Pimco ha concluso l’affare, utilizza una struttura per l’esazione acquistata a prezzo di saldo dalla stessa Uncredit. Perchè la banca non si è incassata i crediti da sola ?
  • Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca: le due banche, come sappiamo, sono in grandi difficoltà , sia di gestione operativa sia per quanto riguarda gli NPL: Dal primo punto di vista entrambe hanno avuto una caduta impressionante dei depositi , pari ad 1/3 , incorrendo in gravi problemi di liquidità, accentuati anche da pensanti scadenze nelle obbligazioni fra la fine del 2016 ed il 2017. Da questo punto di vista la possibilità di emettere obbligazioni con garanzia dello stato, prontamente utilizzata, ha messo una pezza, che però non è stato possibile mettere per quanto riguarda i costi operativi e le sofferenze. La svalutazione dei crediti e l’assenza di reddito operativo genereranno per la sola BPVI una perdita, pare, dell’ordine dei 1,88 miliardi di euro (superiore al primo apporto di Fondo Atlante e di poco inferiore alla somma fra primo e secondo apporto), e non c’è da attendersi una cifra molto diversa da Veneto Banca. Rimane poi il macigno pesantissimo delle sofferenze: sono lorde oltre 20 miliardi tra BPVI e VB, , ammortizzate poco meno di 11. Se venissero vendute al 23% medio genererebbero una perdita comunque di 5-6 miliardi. Chi può ricapitalizzare queste somme?
Questi tre istituti in crisi presentato problemi, in realtà molto simili.

a) Utili asfittici, condizionati da fattori strutturali a da fattori contingenti.

b) Sofferenze e debiti di dubbia esigibilità di difficile gestione.

Vediamo il punto a). Gli utili sono asfittici per motivi strutturali (la crisi economica generale, la crisi del business bancario, la necessità di seguire norme sempre più restrittive dal punto di vista contabile) e per un motivo specifico delle banche in crisi : la mancanza di fiducia crescente da parte del pubblico dei risparmiatori in questi istituti bancari. Non c’è fiducia, di depositi se ne vanno, perfino una parte consistente degli affidamenti sani se ne va . vengono a mancare i margini di intermediazione, comunque magri, ma anche le grasse commissioni. Le banche semplicemente sono strangolate dalle proprie strutture eccessive e costose e dalla mancanza di redditi operativi.

Per quanto riguarda il punto b), questo è figlio da un lato del mini boom immobiliare dei prima anni duemila, e quindi della mancanza di crescita economica del nostro sistema: infatti una sana crescita, come quella dei decenni precedenti, avrebbe diluito nei nuovi crediti le sofferenze da un lato , e ne avrebbe calato la frequenza dall’altro.

Ora però il problema è sul tavolo e deve essere risolto. Si tratta di riuscire a ricostruire la fiducia dei risparmiatori e dei clienti, da un lato , e permettere di riassorbire le sofferenze, non svenderle come sta accadendo, dall’altro.

Queste due funzioni possono essere raggiunte solo attraverso un intervento pubblico che non sia, come avvenuto con il decreto, ora in corso di trasformazione, salvarisparmio una sorta di “Pagamento della lista della spesa”, in cui lo Stato mettei soldi e se ne va.Si tratta di intervenire in modo strutturale, diretto , anche nella gestione delle sofferenze e dei crediti di dubbia esigibilità con un’ottica almeno di medio periodo. Si tratta di creare un’istituzione, una nuova “IRI” simile, come funzione all’ente creato negli anni trenta, che in modo professionale intervenga nei capitali delle banche restituendo fiducia e sostituendosi alle stesse nella gestione degli NPL, se necessario, senza causare le perdite colossali che le attuali gestioni opache stanno causando.

Un’operazione del genere è tecnicamente non semplicissima, ma fattibile. Richiede capacità, integrità, uno sguardo al futuro. In realtà non mancano le risorse, ma le caratteristiche umane.



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posted by Fabio Lugano
COME SI MUOVEREBBE LA NUOVA MONETA NAZIONALE NEL CASO DI EUROBREAK (TU CHIAMALA, SE VUOI, LIRA)? E COME SI MUOVEREBBERO LE ALTRE?





http://scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2017/02/banconote-lire.jpg






Ieri il sempre ottimo e preciso Ingegner Caustico ha dato una sua valutazione sul valore di una nuova ipotetica valuta nazionale. Possiamo chiamare questa nuova moneta Lira, Fiorino, Ducato, Zecchino, Baiocco, Meneghino, Grosso , come vogliamo, ma, comunque, non avrebbe nulla a che fare con la gloriosa Lira ereditata dal regno di Sardegna, poi dal Regno d’Italia e diventata la moneta della neonata Repubblica democratica. Si tratterebbe di un’unità di misura monetaria nuova, che partirebbe da una parità iniziale con l’Euro.

Per analizzare la nuova moneta parto da un punto di vista completamente diverso: i saldi commerciali. Utilizzo questo punto di partenza perchè:

  1. I saldi commerciali e delle partite correnti sono una componente essenziale dei saldi della bilancia dei pagamenti, cioè di quel saldo di movimento valutario che poi è il vero motore del rafforzamento/indebolimento di una moneta. In regime di cambi liberi un paese esportatore vedrà la propria moneta rafforzarsi rispetto a quella dell’importatore, perchè il secondo acquisterà la moneta del primo per poter pagare i beni da importare. Si tratta di un fenomeno che , normalmente , dovrebbe portare al rafforzamento della moneta dell’esportato sino all’annullamento del vantaggio dell’esportatore stesso. I saldi commerciali sono un elemento essenziale del saldo delle partite correnti e del saldo della bilancia dei pagamenti (che considera anche investimenti e disinvestimenti).
  2. Il valore della bilancia commerciale e di quello delle partite correnti sono dei valore certi ed degli indicatori oggettivi della competitività , a livello produttivo, fra i vari sistemi economici. Un dato diretto, non frutto di elaborazioni.
Già da queste premesse possiamo chiarire un paio di dubbi agli increduli e rispondere ad un paio di domanda classiche.

Se usciamo dall’euro come faremo a comprare il petrolio e le materie prime senza una moneta forte?” Semplice, vendendo, come facciamo , i nostri prodotti sul mercato mondiale e procurandocela.

“E come faremo con i prestiti?”. Ammesso ce ne sia bisogno, con lo stesso modo visto precedentemente…

Ipotizziamo che l’eurozona si rompa e che quindi ci troviamo da un lato a definire la posizione della nostra moneta verso gli ex paesi euro, dall’altro.

In generale vediamo l’andamento della bilancia dei pagamenti italiana



Notiamo come la bilancia delle partite correnti nazionale sia diventata positiva a partire dal 2011, dopo aver toccato dei valori fortemente negativi a cavallo della crisi del 2008. La bilancia delle partite correnti si muove in sintono, praticamente con la bilancia commerciale, come possiamo vedere da quest’altro grafico.



Praticamente gli avanzi di bilancia commerciale finanziano sia le rimesse verso l’estero (evidentemente degli immigrati in Italia…) sia gli interessi che le istituzioni italiane pagano verso l’estero. Ricordiamo che la bilancia delle partite correnti registra :

  • le transazioni reali di beni o servizi (la bilancia commerciale);
  • i flussi di reddito (interessi, dividendi etc);
  • i flussi unilaterali (donazioni etc).
Essendo la nostra bilancia delle partite correnti in attivo non c’è da aspettarsi, in generale, grossi problemi dalla nostra uscita dall’euro.

Però il concetto di svalutazione/rivalutazione è sempre relativo: mi svaluto-rivaluto rispetto a qualche moneta. Chi parla di “Svalutazione del 20%” o parla a caso o pensa ad una svalutazione collettiva, verso tutto il mondo, il che è perfettamente irrealistico, dato che i nostri saldi commerciali e delle partite correnti vengono a differire paese per paese.

In generale potremmo dividere le transazioni fra Area Dollaro e le neovalute generate dalla frattura dell’area euro.

Verso gli Stati Uniti abbiamo una situazione di attivo della bilancia commerciale , come possiamo vedere dai dati USA:

AVANZO ITALIA – USA 2016: us$ 28.456 milioni

AVANZO ITALIA – USA 2015: us$ 27.975 milioni

AVANZO ITALIA – USA 2014: us$ 25.410 milioni

Quindi non è prevedibile una svalutazione verso il dollaro, consistente. Del resto abbiamo un avanzo commerciale perfino verso i paesi OPEC (2.356 milioni di euro). L’unica area verso cui dovremmo svalutare sarebbe la Cina , con cui abbiamo una situazione di deficit commerciale per euro 16.204 milioni e verso il rublo russo, contro il quale abbiamo un disavanzo di euro 3.897 Purtroppo nel primo caso, di valute legate ad dollaro, per cui difficilmente si rivaluterà autonomamente, nel secondo caso le sanzioni europee impediscono il riallinearsi della nostra bilancia commerciale.

Cosa avverrebbe invece nei confronti di ipotetiche valute dell’area euro.

Vediamo nei confronti della Germania :

DISAVANZO COMMERCIALE ITALIA GERMANIA : euro 8.949 milioni

Quindi assisteremmo ad una svalutazione della “Lira” verso il Marco

In generale abbiamo un avanzo commerciale verso altri paesi che va a riequilibrare la bilancia delle partite correnti: paghiamo interessi, dividendi ed effettuiamo trasferimenti . La nostra attività commerciale ci permette di far fronte a queste necessità valutarie e , come lo fa ora, ancor meglio lo farebbe in futuro.

Paradossalmente il “Dividendo negativo” del nostro debito e della nostra instabilità politica ha storicamente portato ad un’utile svalutazione della nostra moneta. Essere troppo forti non serve a fare buoni affari, meglio mantenere un low profile ed apparire politicamente inaffidabili.

Diversa è , ad esempio, la situazione della Francia, che presenta un deficit commerciale enorme con la Germania (50 miliardi di euro, 6 volte quello italiano), e con i Paesi Bassi, (90 miliardi di euro) e con l’Italia. Questa situazione necessiterebbe una forte svalutazione dell’eventuale nuova valuta francese.

Chi si troverebbe sull’altro lato della barricata sarebbero Paesi Bassi e Germania. I Paesi Bassi hanno il quinto surplus commerciale al mondo, paradossalmente più capite maggiore di quello tedesco. Le loro monete esploderebbero, letteralmente, sia nei confronti della “Neolira”, sia nei confronti, soprattutto, del dollaro . Chiaramente i Paesi Bassi cercheranno ad ogni costo di mantenere un nucleo duro di moneta, almeno con Germania, Benelux ed Austria, perchè da soli sarebbero massacrati.

Per l’Italia invece , nel caso di eurobreak :

  • Non dovrebbero esserci grossi problemi di svalutazione verso il dollaro e quindi di inflazione importata;
  • Ci sarebbe un’importante svalutazione verso le valute tedesca ed olandese, dell’ordine di un 15-20 %.
  • Potrebbe esserci un riaggiustamento leggero verso la Francia.
  • Le variabili politiche/creditizie potrebbero portare ad un’accentuazione della svalutazione verso le nuove monete dell’area euro. Difficilemnte verso il dollaro tranne iniziare ad accumulare enormi avanzi commerciali verso gli USA.
  • Le nostre aziende industriali inizierebbe a spiazzare le aziende equivalenti tedesche ed olandesi nei mercati mondiali.
Nessun terremoto, niente benzina che triplica il suo prezzo, semplicemente una situazione piena di opportunità da governare.





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posted by Ingegner Caustico
QUANTO SVALUTEREBBE LA NUOVA LIRA?

Preso atto che resta da spegnere solo una candelina prima della fine dell’euro, è ora di fare qualche riflessione in merito a quanto inevitabilmente accadrà e di sfruttare l’occasione per mettere alla berlina certe affermazioni aberranti rilasciate da alcuni giornalisti “economici”, istituti bancari in palese conflitto d’interesse e professori universitari di economia (in gran parte bocconiani o affini, ma non solo). A titolo esemplificativo e non esaustivo si potrebbero citare:

  • Lorenzo Pinna: il potere di acquisto dell’italiano medio subirà un tracollo dal 30% al 50% […].Ma un 30-50% di svalutazione della nuova lira non renderà almeno più competitivo il nostro sistema industriale permettendoci di rimetterci rapidamente in piedi? Non è detto.
  • Tonia Mastrobuoni: la lira subirebbe sicuramente una svalutazione molto pesante rispetto all’euro. Un rapporto della banca d’affari Ubs che si esercita proprio sull’ipotesi di uscita dall’Eurozona di un Paese come l’Italia, ritiene probabile, in questo caso, un crollo della lira del 60 per cento. Vuol dire che gli stipendi e le pensioni varrebbero improvvisamente il 60 per cento in meno.
  • Affaritaliani.it: tra le varie argomentazioni contro l’opportunità di un’uscita dell’Italia dall’Euro primeggia quella secondo cui il passaggio alla nuova valuta, con una conseguente svalutazione immediata della stessa (le stime vanno dal 20% al 40%) […] Del resto, se un ritorno alla lira rendesse di colpo tutti i mutui più pesanti del 30-60% di fatto le banche si ritroverebbero con più o meno la totalità dei mutui emessi inesigibili o in sofferenza: è assurdo pensare che il passaggio venga gestito senza porre rimedio a un aspetto di questo genere, ovvero senza la conversione istantanea dei contratti alla nuova valuta.
  • Giorgio Lunghini: nelle condizioni date, il primo effetto sarebbe la svalutazione della nuova moneta nazionale. La perdita di competitività nei confronti della Germania è ora del 30%, e questa sarebbe la soglia minima; tuttavia i movimenti valutari potrebbero determinare una svalutazione del 50-60%. La conseguenza immediata sull’inflazione sarebbe di circa il 15%, e si innescherebbe una rincorsa salari-prezzi-cambio: con un tasso di inflazione nell’ordine del 20% l’anno e con una perdita salariale insopportabile.
  • Marcello Esposito: oggi, se la nuova lira si svalutasse anche “solo” del 30-50 per cento rispetto all’euro, il debito pubblico sarebbe insostenibile.
  • Giuseppe Turani: la moneta italiana si svaluta ancora, ormai siamo al 70 per cento. Il prezzo delle marmellate inglesi nei supermercati ha raggiunto prezzi proibitivi, gli smartphone sono spariti dalla circolazione e sono riapparsi, estratti da scatoloni in soffitta, certi vecchi Nokia. In un mese 3456 aziende italiane vengono comperate dall’Islanda: costano il 70 per cento in meno, grazie alla svalutazione della lira.
  • Famiglia Cristiana: la svalutazione della lira rispetto al cambio di 1936,27 lire, si calcola, oscillerebbe dal 50 al 70 per cento. I capitali fuggiranno all’estero più di quanto lo stiano facendo. Metter su un’impresa in Italia non converrà più per via dell’incertezza monetaria. E non serve illudersi che la moneta debole favorirà le esportazioni, perché questo avverrà anche con i Paesi dell’ex Eurozona, con un micidiale effetto competitivo.
  • Lorenzo Bini Smaghi, Franco Bruni, Marcello De Cecco, Jean-Paul Fitoussi, Marcello Messori, Stefano Micossi, Antonio Padoa Schioppa, Fabrizio Saccomanni, Gianni Toniolo: reintrodurre la lira significherebbe imporre ai cittadini italiani la conversione dei loro risparmi nella nuova moneta, destinata a perdere di valore nei confronti dell’euro. Gli italiani subirebbero dunque una svalutazione dei risparmi. Inoltre, la conversione dall’euro alla lira non potrebbe modificare le condizioni dei prestiti contratti dai residenti italiani nei confronti del resto del mondo. La svalutazione della lira determinerebbe quindi un aumento del valore dei debiti verso l’estero degli italiani, ponendo imprese e famiglie di fronte al rischio di insolvenza, con effetti a catena sul resto del sistema economico. […] L’uscita dall’euro rafforzerebbe la parte meno competitiva del Paese, quella meno aperta all’innovazione (cioè artigiani e piccole e medie imprese – ndr) e maggiormente arroccata a difesa di privilegi che non hanno più ragione di essere. Sarebbe una fuga all’indietro verso una società più chiusa e introversa che danneggerebbe soprattutto i più giovani e le fasce più deboli della società.
Mi chiedo seriamente come sia possibile che persone “del mestiere” possano sostenere tesi così “dilettantesche” senza provare un minimo di imbarazzo. Lancio una sfida a lorsignori: confrontiamo le previsioni sopra riportate con quelle del sottoscritto e vediamo chi ha ragione. Tra poco più di un anno, quando non ci sarà più l’euro e saremo tornati alle valute nazionali, avremo il responso.
E’ noto dalla letteratura scientifica che, in occasione dello sganciamento di una valuta “debole” da un’unione monetaria, il cambio tende a recuperare la competitività perduta. Un primo elemento da tenere sott’occhio potrebbe essere il differenziale del tasso d’inflazione accumulato dal 1999 (anno dell’effettivo aggancio valutario) al 2015 (la Banca Mondiale non fornisce dati più recenti). Esaminiamo, ad esempio, quello tra Italia e Germania:



elaborazione su dati della Banca Mondiale (Inflation, GDP deflator (annual %) | Data)

L’inflazione italiana è cresciuta del 37% a fronte di quella tedesca che ha avuto un incremento più contenuto, pari al 21%. Il differenziale si attesterebbe quindi attorno al 16-17%, ma tale valore, da solo, non riesce a cogliere l’”anomalia” tedesca: un paese con partite correnti veramente pazzesche!



(Germania - Conto corrente (% del PIL))

A partire dal 2001, infatti, le partite correnti teutoniche sono andate in positivo ed hanno avuto un’impennata inarrestabile che sta sfiorando la soglia del 10% del prodotto interno lordo (per fare un confronto, nel 2015 quella italiana era del 2,2%, mentre quella cinese del 2,7%). Questo abnorme richiesta di moneta tedesca tenderebbe a farla apprezzare in quanto, per la legge della domanda e dell’offerta, se tutti vogliono un determinato bene, il suo valore tende ad aumentare. Anzi, aumenterebbe se non fosse in un rapporto di cambi fissi che le impedisce di fare ciò che la legge di mercato impone.
Una stima più accurata del differenziale di competitività tra paesi deve però tenere conto di due aspetti: non solo il tasso di inflazione, ma anche il tasso di cambio in quanto entrambi concorrono a determinare la convenienza, per un operatore economico, ad acquistare in un paese piuttosto che in un altro. Per avere una valutazione spannometrica del deprezzamento della nuova lira rispetto al nuovo marco (ma sarebbe più corretto parlare di apprezzamento del nuovo marco rispetto alla nuova lira), si può allora fare riferimento al REER (Real Effective Exchange Rate) o tasso di cambio effettivo reale che rappresenta il prezzo relativo dei beni nazionali in termini di beni esteri. E’ una media pesata di tutti i tassi di cambio bilaterali principali misurata in base al valore degli scambi effettuati tra i paesi. Maggiore è l’interscambio commerciale e maggiore è il peso (secondo l’ultimo calcolo, che risale al 2015, sul cambio effettivo dell’euro a 19 valute, l’euro/renminbi pesa per il 22,18%, l’euro/dollaro per il 15,92%, e l’euro/sterlina per il 12,99%, l’euro/yen per il 6,69% e l’euro/zloty per il 6,40%). Perché è un tasso “reale”? Perché tiene conto del differenziale di inflazione fra i due paesi. Facciamo un esempio: se la moneta di un paese si svaluta del 10% e contestualmente l’inflazione cresce del 10%, il tasso di cambio reale non varia perché l’aumento dei prezzi interni compensa la svalutazione e l’acquirente estero non noterà alcuna variazione di prezzo. Essendo quotato certo per incerto, un apprezzamento del tasso di cambio effettivo reale vuole dire che i beni nazionali diventano meno convenienti (perdita di competitività), un suo deprezzamento vuole dire che i beni nazionali diventano più convenienti (aumento di competitività). Vediamo come stanno le cose:



elaborazione su dati Eurostat (Eurostat - Tables, Graphs and Maps Interface (TGM) table)

La valuta tedesca (linea blu) è sottovalutata rispetto al suo valore reale quindi i prezzi tedeschi sono artificiosamente scontati (e quindi più competitivi), mentre la moneta italiana (linea rossa) risulta sopravvalutata e quindi i nostri prodotti sono soggetti ad una sorta di dazio che ne incrementa il prezzo per gli operatori esteri (quindi sono meno competitivi). Il differenziale si attesta intorno al 27%. Poiché, come detto in precedenza, in caso di sganciamento valutario si tende a recuperare la perdita di competitività accumulata, la svalutazione della nuova lira rispetto al nuovo marco dovrebbe attestarsi indicativamente intorno al 27%, quindi nella banda d’oscillazione del 25-29%.
E rispetto alle altre valute? Poiché il tasso di cambio effettivo reale della valuta italiana è sopravvalutato indicativamente dell’11% e poiché l’euro, anche a seguito del quantitative easing, si è notevolmente svalutato negli ultimi anni (per non parlare del buco deflazionistico nel quale si è cacciata l’eurozona), questi due effetti dovrebbero tendere a compensarsi parzialmente (almeno rispetto ai paesi non aderenti alla zona euro).



elaborazione su dati Eurostat (Eurostat - Tables, Graphs and Maps Interface (TGM) table)

L’euro, a partire dal 1999, ha deprezzato il suo tasso di cambio effettivo reale indicativamente del 4%, perciò la nuova lira dovrebbe svalutare in termini reali indicativamente dell’8% (questo effetto di parziale compensazione non si avrebbe rispetto tutti i paesi, ma solo con quelli che non hanno l’euro). Potremmo perciò indicare una banda di oscillazione dal 6 al 10% rispetto alla media pesata dei nostri partner commerciali. Nulla di paragonabile al 60 o 70% paventato da certuni!!!!
Discorso opposto varrebbe per il nuovo marco che, ad esempio rispetto al dollaro o al renminbi, dovrebbe rivalutare per un duplice aspetto: in quanto moneta sottovalutata all’interno dell’euro e in quanto l’euro è leggermente sottovalutato rispetto al suo valore effettivo, quindi non saremmo tanto noi a svalutare, sarebbero i tedeschi a rivalutare!!!

Segnatevi queste cose, tra poco più di un anno vedremo chi è il vero dilettante.

di Claudio Barnabè

scenari economico
 

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d’Oro tra Albania e Kosovo


febbraio 14, 2017 Lascia un commento

Dean Henderson, Left Hook, 12/01/2014

Secondo il Wall Street Journal, gli investigatori sui diritti umani in Europa indagano sui membri dell’Esercito di liberazione del Kosovo, sostenuto da Stati Uniti e NATO, per aver ucciso prigionieri di guerra serbi nei centri di detenzione segreti in Albania per venderne gli organi. L’accusa emerse in un libro del 2008 scritto dall’ex-procuratrice Carla Del Ponte. In un’indagine seguita dal Consiglio d’Europa, il procuratore svizzero Dick Marty sostiene che il primo ministro del Kosovo Hashim Thaci abbia collegamenti con la criminalità organizzata.
(Tratto dal capitolo 15: Big Oil e i suoi banchieri)
slobodan-milosevic.jpg
Il Kosovo fu separato dall’ex-Jugoslavia alla fine degli anni ’90. La Jugoslavia, come l’Iraq, aveva a lungo sfidato i bankster Illuminati. La sua economia, come quella dell’Iraq, tendeva al socialismo da quando il Maresciallo Tito sconfisse gli ustascia nella seconda guerra mondiale. La Jugoslavia successe all’India alla presidenza del Movimento dei Paesi Non Allineati (NAM), un grande gruppo di nazioni tradizionalmente guidate dall’India che scelsero di non allinearsi con Stati Uniti o Unione Sovietica durante la guerra fredda. La Jugoslavia fu l’unica nazione europea orientale che non fu mai nel Patto di Varsavia. Divenne un leader rispettato del gruppo G-77, i Paesi in via di sviluppo che cercavano di deviare i proventi del petrolio dell’OPEC dal cartello dei banchieri internazionali dei Quattro Cavalieri allo sviluppo del Terzo Mondo. La Jugoslavia era un importante fornitore di macchine poco costose per le fabbriche e le aziende contadine del Terzo Mondo. Dove una volta questi Paesi erano costretti ad acquistare costose attrezzature dall’occidente, utilizzando valuta forte e affondando nel debito, ora si rivolgevano alla Jugoslavia, dalla recente industrializzazione, spesso disposta a scambiare macchine con materie prime.
I bankster internazionali disprezzavano il NAM perché i suoi membri sono nazionalisti di sinistra che proteggono le risorse da Big Oil e gli altri tentacoli del Potere Monetario. Il NAM fu una spina nel fianco della banda CFR/Bilderberg, che interpretava le lotte rivoluzionarie nel Terzo Mondo contro la sua egemonia finanziaria come una minaccia comunista filosovietica, giocando la carta “del pericolo rosso” per giustificare sanguinarie guerre di sterminio. Altri Paesi del Terzo Mondo presero atto dall’esempio della Jugoslava, nonostante la propaganda degli Illuminati secondo cui “il socialismo è morto”. Come il Presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, demonizzato presso la folla globalizzazione, osservò, “...l’ultimo governo socialista che minaccia il dominio capitalistico dell’Europa è la prova vivente che la storia non è finita, che più di un sistema economico è possibile“. Le risorse naturali della Jugoslavia erano vaste. I Quattro Cavalieri scoprirono enormi giacimenti di petrolio nell’Adriatico. Gli addetti dell’industria petrolifera ritengono che possano competere con quelli dell’Arabia Saudita. La Jugoslavia ha diciassette miliardi di tonnellate di carbone e ampie risorse in minerali, come l’enorme miniera di Stari Trg, la prima struttura che il Reich nazista di Hitler sequestrò quando invase la Jugoslavia nel 1941. Hitler estrasse il piombo a Stari Trg per le batterie dei suoi U-Boot. Ma Stari Trg contiene anche oro, argento, cadmio, zinco e platino per almeno 5 miliardi di dollari. Il territorio jugoslavo appare nella rotta dell’oleodotto che collega i campi petroliferi dei Quattro Cavalieri dal Mar Caspio all’Europa continentale, ed è a cavallo di una grande autostrada che collega l’Europa all’Asia centrale e del fiume strategico Danubio, che attraversa la nazione. Agli occhi dell’oligarchia internazionale, la Jugoslavia era matura per il raccolto.
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Le agenzie d’intelligence occidentali, con i combattenti fondamentalisti islamici, prima divisero Bosnia e Croazia. Ma la Jugoslavia ancora controllava Stari Trg, i giacimenti di carbone e gli ambiti giacimenti dell’Adriatico. Per arraffarli era necessario spezzare ancor più il territorio dell’indisciplinato governo centrale di Belgrado. Nel 1996 il servizio informazioni tedesco (BND) iniziò ad addestrare l’esercito di liberazione del Kosovo (UCK). Il Bundesnachrichtendienst fu creato nel 1956 per sostituire l’organizzazione del nazista Gehlen. L’idea di una Grande Albania fu opera dei nazisti che durante la seconda guerra mondiale occupavano la Jugoslavia. Tale idea venne condivisa dalla NATO. Il BND era guidato da Hans Jorg Geiger, che creò un’enorme stazione regionale del BND a Tirana, in Albania, nel 1995. La CIA avviò una grande operazione a Tirana l’anno prima. Il presidente Sali Berisha guidava l’Albania dai primi anni ’90. Cocco del Fondo monetario internazionale, aprì l’economia dell’Albania a multinazionali e banche occidentali e fu ricompensato con un enorme prestito dal FMI. Nel 1994, lo stesso anno in cui la CIA giunse a Tirana, la banca a schema piramidale presieduta da Berisha, ultimo barboncino del FMI, crollò improvvisamente cancellando i risparmi di una vita di migliaia di albanesi. Lo schema rientrava nel modello coordinato da FMI/BCCI per spezzare i Paesi debitori del Terzo Mondo. Berisha venne estromesso da Tirana, e fuggì nel nord dell’Albania dove prese il controllo di una regione sempre più senza legge, divenuta importante via del narcotraffico e del contrabbando di armi della Mezzaluna d’Oro. Con l’aiuto della polizia segreta albanese (SHIK), CIA e BND reclutarono i combattenti dell’UCK tra questi contrabbandieri, a molti dei quali la CIA concesse di trafficare a Peshawar, in Pakistan, un decennio prima. I Kommandos Spezialkräfte (KSK) tedeschi, indossando uniformi nere, addestrarono l’UCK dotandolo di armi tedesco-orientali. Nel vicino Kosovo vi furono molti casi di uomini con uniformi nere che terrorizzavano i contadini kosovari. Mentre gli Stati Uniti affermavano che si trattava delle forze speciali jugoslave, erano probabilmente membri delle KSK tedesche che guidavano i raid dell’UCK in Kosovo. L’UCK indossava divise della Bundeshehr con insegne tedesche. La Germania fu il primo Paese a riconoscere la Croazia nel 1990, prima ancora che i separatisti croati iniziassero la rivolta contro Belgrado. I tedeschi guidarono la campagna che incoraggiò la Croazia a secedere dalla Jugoslavia. Quando il nuovo governo fu creato a Zagabria, adottò bandiera e inno nazionale dei fantocci di Hitler, gli ustascia. Nel 1998 l’UCK era una piccola cellula terroristica di solo 300 membri. Dopo un anno di invii di armi e addestramento ad opera di Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, l’UCK divenne un esercito di 30000 guerriglieri. Il luogotenente di Usama bin Ladin, Ayman al-Zawahiri, fu un comandante dell’UCK.
Le provocazioni dell’UCK furono il pretesto per l’aggressione della NATO alla Jugoslavia, per spartirsi le ricchezze minerarie e petrolifere del Kosovo. Le forze di sicurezza jugoslave combatterono il terrorismo dell’UCK, ma repressero anche episodi di eccessiva ritorsione serba, arrestando più di 500 serbi per crimini contro civili albanesi. Il Presidente Milosevic aveva sempre sostenuto l’uguaglianza etnica e l’armonia. La sua delegazione ai colloqui di pace di Rambouillet, in Francia, era costituita da persone di ogni gruppo etnica, tra cui albanesi. I serbi erano in realtà una minoranza nella delegazione. Un discorso del 1992 è tipico del pensiero di Milosevic sulle tensioni etniche in Kosovo, che le agenzie d’intelligence occidentali sfruttavano. Dichiarò: “Sappiamo che molti albanesi del Kosovo non approvano la politica separatista dei loro capi nazionalisti. Sono sotto pressione, intimiditi e ricattati. Ma non risponderemo allo stesso modo. Dobbiamo rispondere porgendo la nostra mano, convivere in uguaglianza e non permettere che un solo bambino albanese, donna o uomo sia discriminato in Kosovo in alcun modo. Dobbiamo… insistere su una politica di fratellanza, unità e uguaglianza etnica in Kosovo. Persisteremo su questa politica“. Quando Milosevic, abile avvocato, iniziò a vincere nel processo per crimini di guerra a L’Aia, la copertura mediatica cessò e subito dopo morì. I suoi sostenitori dicono che fu avvelenato.
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Alla fine dei bombardamenti contro la
 

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d’Oro tra Albania e Kosovo
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Alla fine dei bombardamenti contro la Jugoslavia, la NATO inviò in Kosovo una forza d’occupazione nell’ambito della KFOR. La NATO continuò ad ignorare e negare che bande dell’UCK attaccassero i civili serbi sotto la supervisione della KFOR, favorendo l’UCK che tentava di strappare un pezzo di Macedonia a favore della causa dei banchieri internazionali. Gli Stati Uniti costruirono in Kosovo la più grande base militare dai tempi del Vietnam. Nel frattempo l’Albania divenne un campo di addestramento della CIA per terroristi, centro di produzione dell’eroina e supermercato delle armi. Un articolo del 6 marzo 1995 dell’Athens News Agency citava il ministro dell’Ordine Pubblico greco Sifis Valyrakis dire che credeva che il governo albanese fosse coinvolto nella produzione e nel traffico di stupefacenti a Skopje, in Macedonia, dove truppe USA e NATO si ammassarono durante la guerra in Kosovo. Valyrakis disse che l’oppio veniva coltivato nella Chimarra, nel sud dell’Albania, dove laboratori di eroina erano sorti nel triangolo delle città di Gevgeli, Prilep e Pristina, in Albania, Macedonia e Kosovo secessionista. Citò il coinvolgimento nel narcotraffico delle forze armate macedoni, alleate degli Stati Uniti, e della mafia dei lupi grigi turchi, vecchi alleati della CIA. Osservò che un fiorente commercio di armi si sviluppava in Macedonia e Kosovo e disse che i separatisti albanesi in Jugoslavia erano al centro del traffico di eroina ed armi, di stanza a Pristina, dove è ospitata la forza per il “mantenimento della pace” in Kosovo della NATO, KFOR. Secondo lo storico Alfred McCoy, “esuli albanesi usarono i profitti della droga per spedire armi svizzere e ceche in Kosovo, per i separatisti dell’UCK. Nel 1997-1998, questi sindacati della droga kosovari armarono l’UCK per la rivolta contro l’esercito di Belgrado… Anche dopo l’accordo di Kumanovo nel 1999, per concludere il conflitto in Kosovo, l’amministrazione delle Nazioni Unite della provincia… permise il fiorente traffico di eroina… e i capi dell’UCK… continuarono a dominare il traffico dai Balcani“. Un rapporto per la Reuters del 16 giugno 1995 di Benet Koleka, da Tirana, accusava il governo albanese di aver segretamente inviato tonnellate di armi in Ruanda, prima che il genocidio esplodesse nel Paese dell’Africa centrale. Il maggiore quotidiano dell’Albania, Koha Jone, riferì che diversi aerei-cargo Antonov decollarono dalla base aerea di Gjadri, in Albania, carichi di armi e diretti in Ruanda. Amnesty International intervistò quattro piloti che sostennero di lavorare per una società inglese. Dissero che trasportavano le armi nella Repubblica democratica del Congo, scaricandone nell’aeroporto di Goma, vicino al confine ruandese. Dissero anche che portarono carichi di armi a Goma da Israele e che vi erano agenti del Mossad israeliano che lavoravano nella base aerea di Gjadri, supervisionando l’operazione albanese. Nello stesso anno un contractor della difesa degli Stati Uniti, noto come RONCO, era in Ruanda con il pretesto dello sminamento. RONCO invece importava materiale militare del Pentagono passandolo alle forze ruandesi poco prima che iniziasse il genocidio.
Il Washington Times riferì nel 1999 che “l’UCK, che l’amministrazione Clinton ha abbracciato e che alcuni membri del Congresso vogliono armare nell’ambito dei bombardamenti della NATO, è un’organizzazione terroristica che si finanzia con i proventi della vendita dell’eroina“. Nel 1999 una denuncia del Times di Londra rilevò che l’UCK era il principale spacciatore mondiale di eroina, ereditando tale posizione dagli ultimi surrogati della CIA, i mujahidin afgani. Europol raggiunse i governi di Svezia, Svizzera e Germania nelle indagini sui legami dell’UCK col traffico di eroina. Walter Kege, capo dell’unità antidroga dell’intelligence della polizia svedese dichiarò: “Abbiamo l’intelligence che ci porta a credere che ci sia una connessione tra narcodollari ed Esercito di liberazione del Kosovo“. Il Berliner Zeitung citò un rapporto dell’intelligence occidentale secondo cui 900 milioni di marchi tedeschi erano finiti in Kosovo da quando l’UCK aggredì il governo jugoslavo, nel 1997. La metà erano proventi della droga. La polizia tedesca osservò il parallelo tra ascesa dell’UCK e aumento del traffico di eroina tra l’etnia albanese in Germania, Svizzera e Scandinavia. La polizia ceca rintracciò un albanese fuggito da una prigione norvegese, dove scontava 12 anni per traffico di eroina. Nel suo appartamento trovarono documenti che lo collegavano a diversi acquisti di armi effettuati per conto dell’UCK. L’agenzia criminale federale della Germania concluse, “gli albanesi sono ora il gruppo più importante nella distribuzione dell’eroina nei Paesi consumatori occidentali“. Europol presentò una relazione dettagliata sul traffico di eroina albanese/UCK alla Corte Penale dell’Aia.
Molti combattenti dell’UCK erano stati addestrati negli stessi campi costruiti da Usama bin Ladin, nel Pakistan infestato dall’eroina da cui emersero i taliban. Nel 1997 i signori della guerra ceceni, addestrati in quegli stessi campi, cominciarono ad acquistare grandi immobili in Kosovo. Il capo dei ribelli ceceni, l’emiro saudita al-Qatab, creò campi in Cecenia per addestrare le truppe dell’UCK. I tentativi furono sempre finanziati da vendita di eroina, prostituzione, contrabbando di armi e contraffazione. Dopo che l’UCK tolse il Kosovo da ciò che rimaneva della Jugoslavia, la macchina propagandistica degli Illuminati ancora una volta aumentò la pressione e accusò la maggioranza serba di condurre un’altra “pulizia etnica”, questa volta contro la narcomafia albanese del Kosovo. Anche in questo caso i media ripresero a pappagallo la campagna della CIA per demonizzare i serbi. Hitler fece la stessa cosa quando invase la Jugoslavia, definendo i serbi untermenschen (subumani). Il 24 marzo 1999 gli statunitensi bombardarono Belgrado. Milosevic fu inseguito da killer armeni assunti dalla CIA. Scuole, fabbriche, ospedali, centrali elettriche, autobus, treni e carri di fieno carichi di civili furono bombardati. L’infrastruttura economica della Jugoslavia venne decimata. In un momento d’ironia storica, la NATO bombardò lo stessa ponte sul Danubio, a Novi Sad, dove migliaia di serbi morirono combattendo l’invasione nazista del 1941. I manifestanti a Belgrado chiamarono la NATO organizzazione terroristica nazista degli statunitensi. 2000 civili jugoslavi furono uccisi dai bombardamenti della NATO e 10000 feriti. Altre migliaia persero la casa, deliberatamente bombardate dalla NATO, nel tentativo di convincere il popolo jugoslavo a supplicare “zio Sam”. A Stari Trg il direttore Novak Bjelic, che lavorava per l’azienda statale jugoslava Trepca, disse, quando iniziarono i bombardamenti degli Stati Uniti, che “La guerra in Kosovo è solo questione di miniere, nient’altro. Inoltre, il Kosovo ha diciassette miliardi di tonnellate di riserve di carbone“.
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Uno dei “massacri” più pubblicizzati e presunta opera dell’esercito jugoslavo contro gli albanesi del Kosovo, si verificò a Racak. Un gruppo chiamato osservatori internazionali del Kosovo guidò la propaganda. Il suo capo era William Walker, che aiutò Oliver North ad armare i contras. Mentre Walker vomitò la sua versione dei fatti su Racak a un ansioso media degli Stati Uniti, molti media europei, tra cui BBC, Die Welt, Radio France International e Le Figaro, misero in discussione la storia di Walker, che naturalmente accusava i serbi. Una troupe televisiva francese era Racak quando si verificò il presunto massacro, ed affermò che il “massacro” in realtà fu uno scontro a fuoco nell’imboscata dell’esercito jugoslavo all’UCK. Poi uomini in divisa nera giunsero sulla scena e travisarono i morti dell’UCK con abiti civili. Gli esperti forensi jugoslavi convennero che il massacro di Racak fosse una bufala. Aveva somiglianze notevoli con il massacro per il pane in Bosnia, dove si scoprì che i combattenti islamici commisero il massacro a beneficio dei media occidentali. L’incidente portò alle sanzioni delle Nazioni Unite contro la Jugoslavia. Il quotidiano Le Monde riferì da Pristina, il 21 gennaio 1999, che due giornalisti dell’AP smentirono il racconto di Walker sugli eventi a Racak, dicendo che c’erano alcune cartucce di fucile vuote sul sito e quasi alcuna traccia di sangue sui corpi. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa inviò una squadra di patologi finlandesi, su richiesta del governo jugoslavo, che invitò una seconda squadra dalla Bielorussia. Entrambe le squadre confermarono i sospetti jugoslavi che le vittime fossero state uccise a distanza, e poi ferite con tiri a corta distanza e di coltello, inflitte ai cadaveri. Inoltre scoprirono che i fori sui corpi non corrispondevano a quelli sugli abiti, indicando che i vestiti erano stati cambiati dagli uomini in uniforme nera, probabilmente delle forze speciali tedesche KSK che addestravano l’UCK. Nulla fu mai pubblicato dai media statunitensi. L’incidente fu una reminiscenza della manovra che Adolf Hitler attuò nel 1939 per giustificare l’invasione della Polonia. Hitler vestì i cadaveri di alcuni prigionieri con l’uniforme dell’esercito polacco e li lasciò vicino a una stazione radio di confine, che Hitler poi disse essere stata attaccata dall’esercito polacco. Entro una settimana 1,5 milioni di truppe naziste entrarono in Polonia.
La BBC News riferì nel dicembre 2004 che un oleodotto da 1,2 miliardi di dollari, a sud della massiccia base dell’US Army in Kosovo, fu approvato dai governi di Albania, Bulgaria e Macedonia. A quanto pare, turbato dalle raccapriccianti accuse di traffico di organi della mafia dell’UCK, creata dagli Illuminati, un diplomatico occidentale a Pristina disse al Wall Street Journal, “Ciò danneggerebbe l’immagine del Kosovo tra le parti internazionali interessate“.

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Hans Jorg Geiger, il creatore dell’UCK

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 
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Euro crisis febbraio 13, 2017 posted by Mitt Dolcino
La Grecia minaccia l’uscita dall’euro e puntualmente la Turchia minaccia un’aggressione militare (sarà stata Berlino a suggerirla?)



Da tempo i malpensanti ritengono che le pressioni dirette ed indirette su Atene per “non terminare” l’euro uscendo dalla moneta unica prevedano qualsiasi tipo di trucco e spudoratezza, quanto meno da parte dei soggetti che dalla moneta unica traggono maggiori – ed enormi – vantaggi.

Bene, ricordiamo dunque la proposta di Mosca di fornire 5 miliardi di dollari all’apice della crisi greca iniziata nel 2012 per permettere all’Atene ortodossa (come la Russia) l’uscita dall’euro, ossia fornendo la liquidità emergenziale necessaria per colmare il gap temporale per introdurre la nuova moneta contante: alla fine intervenne la Germania per bloccare il progetto GREXIT, facendosi concedere dall’amministrazione Obama come contropartita per evitare il crollo della moneta unica (ai tempi pericolosa anche per gli States, ancora in una situazione finanziariamente instabile nel post subprime, ndr) la possibilità di raddoppiare il Nord Stream, infrastruttura gas tra Russia e Germania che ha mandato a ramengo 30 anni di politica energetica a stelle strisce in est Europa e vicino oriente. Da ricordare che il comitato direttivo russo-tedesco del North Stream è presieduto dall’ex Cancelliere Schroeder, di cui l’anti americano, pangermanista ed interventista Steinmeier oggi Presidente della Repubblica fu delfino. Ecco perchè Obama, contrariamente ai suggerimenti dei suoi strateghi e militari, incredibilmente accettò tale raddoppio.

L’ingerenza turca su Atene si fece sentire quando in Grecia andò al potere Tsipras con tutta l’intenzione di uscire dall’Euro ossia rifiutandosi di introdurre ulteriori leggi lacrime e sangue perfettamente inutili per uscire dalla crisi, oggi possiamo dire che aveva tutte le ragioni (invece di risolvere i problemi del Paese, le tasse imposte dalla troika hanno massacrato l’economia ellenica costringendola a svendere tutti gli assets di pregio, molto spesso ai tedeschi*). Possiamo solo “ipotizzare” [per non dire altro] che al govane politico greco sia stato fatto capire che la Turchia era a supporto degli interessi della Germania e quindi sarebbe stato “non auspicabile” andare contro i voleri EU come unico ente in grado di tenere a bada Ankara, ai tempi c’era Obama e non Trump. Guarda caso arrivarono una marea di migranti siriani dalla Turchia verso la Grecia e guarda caso il flusso venne fermato solo quando Atene tornò nell’alveo eurista, forse ricordate i miliardi di euro sorprendentemente concessi da Angela Merkel ad Erdogan per bloccare i migranti…



In breve, Ankara e Berlino sono alleati dalla prima guerra mondiale anche in forza dell’enorme minoranza presente turca presente sul territorio tedesco. Leggasi, molti “sospettano” che Tsipras sia stato messo davanti al fatto compiuto che, o stava nell’Euro senza creare troppi problemi, o la Turchia avrebbe fatto il lavoro sporco tenendo conto degli interessi della Germania.



Oggi che Trump vuole cambiare la politica USA nel Mediterraneo appoggiandosi agli alleati storici – gli USA ne hanno le capacità, credetemi – ecco Tsipras alzare di nuovo la testa in veste anti euro, viste le prossime, immani scadenze del debito greco. E dunque puntuale arriva il messaggio nemmeno troppo velato di Ankara, molto probabilmente in veste di postino di Berlino: “stai calma Atene o ti invadiamo“, o qualcosa del genere. Il ministro delgli esteri turco è arrivato a minacciare addirittura di abbattere l’aereo dove viaggia il ministro della difesa greco quando si dovesse approssimare alle isole elleniche vicine ai confini turchi…. La testa di cavallo nel letto…

Questo per dire che Atene non potrà mai uscire dell’Euro da sola, nemmeno con il supporto USA; necessita infatti di un altro Alleato in seno all’EU.

Tradotto: l’Italia potrebbe fare da polo aggregatore del malcontento eurista, ne ha le potenzialità. E tanti amici oltreoceano oltre ad un numero imprecisato di basi militari USA sul suo territorio, certamente maggiore di 100. Ecco perchè oggi l’obiettivo tedesco è neutralizzare l’Italia mandando la Troika il prima possibile: il potere e la ricchezza tedesca del terzo millennio dipendono dalla perpetrazione dell’euro come valuta comune, una fregatura per tutti tranne che per Berlino che gode di vantaggi inenarrabili (riassumibili nell’avere una valuta – l’euro – ben più svalutata di quello che sarebbe il marco tedesco, viceversa per l’Italia con la lira, ndr). Tradotto, è l’Italia è il vero pericolo.

Semplice no?

In ogni caso io dico che bisogna si preoccuparsi ma non esageratamente, fino ad oggi non è ancora successo nulla. Scaldate i motori, entro un mesetto si parte…

Mitt Dolcino
 

mototopo

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seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.






























mercoledì 15 febbraio 2017
DEBITO SOVRANO RISK WEIGHTED, BANCHE CENTRALI INDIPENDENTI E IL "MISTERO" DELLA FINANZA PRIVATA SOSTITUTIVA DELLA SOVRANITA' DEMOCRATICA [/paste:font]


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1. In premessa ringraziamo, per l'ennesima volta, Arturo che non solo è l'acuto "filologo" multidisciplinare che continua a segnalare le fonti più rilevanti che confermano il discorso qui svolto, ma lo fa da un livello di comprensione che rischiara la fenomenologia come scienza cognitiva unificante di ogni serio approccio alle scienze sociali.

2. In questa occasione cerchiamo di sviluppare una dimostrazione unitaria del filo che lega, in modo consequenziale, la finanziarizzazione delle società (ex) democratiche dell'eurozona con il punto di approdo, solo in apparenza inatteso e, per taluni, sorprendente, della futura (ed imminente) regolazione €uropea dei titoli sovrani come risk weighted assets.
Questa finanziarizzazione passa, come s'è visto, per la sottoposizione istituzionale, per via di trattato internazionale, autoffermatosi al di fuori dei limiti dell'art.11 Cost., dell'attività finanziaria dello Stato, e quindi in definitiva del suo perseguimento dei fini che concretizzano la sovranità costituzionale, ai "mercati".
S'è altrettanto visto come tale assoggettamento dello Stato sovrano, per via di trattato contra Constitutionem, si stabilizzi in un insieme di politiche obbligate che non solo rendono lo Stato debitore di diritto comune, - laddove la sua sovranità si esprimerebbe normalmente nel non "doverlo" essere-, ma che conducono l'intero substrato sociale di tale Stato, cioè la comunità dei cittadini, nella condizione crescente di debitori, soggetti, con il crescere inevitabile di questa "esposizione", dapprima alla vincolata riduzione del reddito e del conseguente risparmio, e poi, inevitabilmente, all'escussione del loro patrimonio a garanzia di questo credito verso il settore finanziario.

3. Cerchiamo perciò, di precisare la radice normativa "internazionalistica" di questo meccanismo implacabile, quantomeno per dare risposta a chi non riesce a comprendere come esso si sia innescato e stia sempre più agendo, ed anzi, esaltando le aspirazioni "idealistiche" enunciate nel Manifesto di Ventotene, come se fosse coerente contrapporle, (invece che porle alla sua base), alla prevalenza dell'ordine sovranazionale dei mercati come nuovo detentore della effettiva sovranità.
Questo passaggio dimostrativo ci consentirà altresì di capire quale visione della sovranità, appunto ricollocata al di fuori del suo fondamento costituzionale, giunga a far pronunciare a un leader politico come Bersani, senza suscitare particolari reazioni mediatiche o culturali, una frase come "La prima cosa che dobbiamo dire all’Europa, ai mercati, al mondo, agli italiani è: quando si vota".
Come accade, cioè, che il principale momento costituzionalmente previsto di esercizio diretto della
(ormai molto teorica) sovranità popolare sia apertamente subordinato, nella sua opportunità circa il "se" e il "quando", ad una primaria responsabilità verso l'UE e i mercati, giungendo solo all'ultimo posto il renderne conto al popolo italiano, che di questa sovranità è il titolare in base all'art.1 Cost.?

4. Partiamo da questo interrogativo per risolvere un problema che, in un certo senso critico, Zagrelbesky, si pone ma esclusivamente come registrazione di un effetto e al di fuori di qualsiasi indagine, anche solo normativa, circa le sue cause.
Il suo ragionamento è tratto da uno scritto che, già nel titolo, pare porsi il problema della sovranità: G. Zagrebelsky, "Fondata sul lavoro. La solitudine dell'art. 1", Torino, Einaudi, 2013, pp. 53, 67-69.
Qui il momento descrittivo degli effetti:
"[...] l'economia finanziarizzata, con i suoi "prodotti" immateriali (quelli gli operatori finanziari offrono agli ingenui risparmiatori o ai troppo furbi speculatori) e con le sue "operazioni" finanziarie (quelle che si decidono in consigli d'amministrazione che non rispondo a nessuno), s'è sciolta da questo legame [con l'interesse generale]. Essa ha scavato un solco che la divide dalla vita concreta delle collettività, sulle quali essa scarica il peso dei suoi fallimenti, mentre tiene per sé, per la ristretta nuova classe che la muove, gli effetti dei suoi successi. L'economia della finanza non adempie alcuna funzione sociale, è parassitaria, saprofita."

E qui, il clou del mistero:
"Il dominio dei mercati finanziari ha cambiato la nostra vita, *senza che nemmeno che [sic] ci si accorga di come ciò è avvenuto*. Per correre dietro alla speculazione finanziaria - "ce lo chiedono i mercati", "i mercati non capirebbero", "i mercati hanno bisogno", ecc. - la sovranità dei popoli è stata messa sotto tutela, la democrazia è stata impoverita, i diritti compressi o negati, la coesione sociale lacerata e, per venire al nostro tema, il bene-lavoro ha perso il suo valore di fondamento della vita sociale ed è diventato un effetto secondario o eventuale".

5. Di certo, Bersani e Zagrelbesky, il primo dando per scontato (e incontestabile) il consolidamento di tali effetti, il secondo stigmatizzandoli, ma non sapendo indicare come ciò sia avvenuto, dovrebbero o potrebbero facilmente conoscere la radice istituzionale di essi.
Arturo ce ne aveva offerta una sintesi fenomenologica sulla diretta derivazione dai trattati europei:
a) Rapporto sulla convergenza della BCE, maggio 2010, pagg. 25-6:
"Il divieto di finanziamento monetario è fondamentale per assicurare che il raggiungimento dell’obiettivo primario della politica monetaria (principalmente il mantenimento della stabilità dei prezzi) non sia ostacolato. Inoltre, il finanziamento del settore pubblico da parte delle banche centrali attenua gli incentivi per una *disciplina di politica fiscale*. Tale divieto deve pertanto essere interpretato estensivamente in modo da assicurare una sua rigorosa applicazione ed è soggetto solo ad alcune esenzioni limitate contenute nell’articolo 123, paragrafo 2, del trattato e nel Regolamento (CE) n. 3603/93."
Non è ancora abbastanza chiaro?
b) Prendiamo allora il regolamento 3603/93, considerando 8, che chiarisce la ratio dell'eccezione rispetto al principio generale: "considerando che, nei limiti fissati dal presente regolamento, l'acquisizione diretta, da parte della banca centrale di uno Stato membro, di titoli negoziabili del debito pubblico di un altro Stato membro non può contribuire a sottrarre il settore pubblico alla *disciplina dei meccanismi del mercato* se l'acquisizione è effettuata unicamente ai fini della gestione delle riserve valutarie;"
6. La conclusione è che le denunce di effetti di cui non si indicano mai le cause (in tutto il libro non si fa menzione né un vago accenno né all'euro né ai trattati europei) e che si concludono invariabilmente col più Europa, risultano del tutto inutili per individuare una qualunque soluzione e, anzi, rafforzano le difficoltà da cui si vorrebbe uscire.
Oggi, come abbiamo ancora una volta visto nel post precedente, la prospettiva della nuova disciplina dell'eurozona di riqualificazione dei titoli sovrani come risk weighted assets, è solo lo sviluppo coerente di questa finanziarizzazione e di questa disattivazione della sovranità degli Stati, sottraendola ai popoli che ne sono i detentori in base alle Costituzioni democratiche.
 

mototopo

Forumer storico
6.1. Ancora una volta Arturo segnala i fondamenti teorico-economici e istituzionali di tale inevitabile step ulteriore in questa univoca direzione (inserisco nel suo commento la traduzione in italiano dei brani in inglese):
"Sulla proposta di nuovo regolamento, segnalo, fosse sfuggita a qualcuno, la pregevole intervista a Marco Zanni realizzata da Messora.
Vale la pena linkare anche l'intervento di Benoît Cœuré di cui parla Zanni: il nostro ammette candidamente che la rischiosità del debito pubblico dei paesi dell'eurozona dipende esclusivamente dall'assetto istituzionale di quest'ultima:
"E nelle economie più avanzate, come altrettanto nella maggior parte dei modelli macroeconomici, il debito degli Stati è concepito anch'esso come sicuro.
Sussiste un'effettiva piena unificazione
(ndr: intesa come armonizzazione nei fini) tra il bilancio della banca centrale e quella dell'autorità fiscale, tale da rendere il debito governativo risk-free in termini nominali.
La banca centrale può gartantire il suo pagamento in liquidità e per il suo pari valore in tutti gli Stati del mondo. Perciò non c'è alcun rischio di credito connesso ai sovereign bonds, sebbene essi possano tuttavia comportate un rischio di inflazione se la banca centrale è sollecitata dal governo a finanziare deficits inflazionari.
Nell'area euro, tuttavia, questa stessa relazione istituzionale non può applicarsi.
Si ha una banca centrale e diciannoce differenti autorità fiscali, i paesi membri non assumono la responsabilità per il debito di ciascun altro, e alla Banca Centrale Europea, per ottime ragioni, è vietato dal Trattato "il "finanziamento monetario", che significa l'acquisto diretto del debito dei vari Stati membri
".

E quali sono queste "very good reasons"?
Presto detto: "Il debito sovrano nell'eurozona è così esposto al rischio di credito in un modo in cui non lo sono le altre economie avanzate"
E ciò accade invero per un disegno intenzionale.
La costruzione dell'eurozona - la proibizione di finanziamento monetario racchiusa nel trattato UE, la “no bailout clause”– è deliberatamente intesa a incoraggiare i mercati a differenziare tra i debiti sovrani dell'eurozona basandosi sulla loro sostenibilità fiscale.
L'idea è che l'esercizio della disciplina di mercato appresterà un continuo controllo sulle azioni dei governi, che condurrà a sua volta a politiche più solide
(ndr; tali nella visione dei mercati, cioè dei creditori finanziari, secondo la logica del loro profitto, quindi sul piano delle garanzie di restituzione del capitale e della vantaggiosità dei rendimenti, accettabili come interessi reali positivi, quindi superiori all'inflazione).
Insomma, la cara dottrina delle banche centrali indipendenti, effettivamente "nuova" solo in apparenza, secondo cui lo Stato deve mettersi in mano ai mercati finanziari, severi ma infallibili giudici della "soundness" delle politiche pubbliche.
Basterà (si domanda Arturo) quanto sopra per risolvere finalmente il "mistero" di Zagrebelsky o continueremo ancora a lungo a sentire il ritornello finanza kativa/Europa buona?

7. Poiché c'è da ritenere che il mistero possa ancora a lungo rimanere tale, per avere qualche probabilità in più di una "improvvisa" di realizzazione (se non in Bersani, almeno in Zagrelbesky, che almeno scorge delle criticità nella sovranità lasciata ai "mercati" finanziari), traduciamo anche il brano linkato (sempre da Arturo) relativo alla "apparenza" della novità della dottrina delle banche centrali indipendenti (la teoria è esplicitata in modo eloquente, ma non è per questo attendibile nei suoi vari passaggi, rinviando al riguardo alla trattazione della dottrina della BC indipendenti sopra linkata):
"La Commissione sulla valuta e gli scambi si focalizza sull’inflazzzione (chi l’avrebbe detto!):
L'inflazione è una "modalità di tassazione non-scientifica e dissennata" (v. qui, pensiero ripreso da Einaudi, in "addendum") che produce costi della vita più elevati e consequente "malessere del lavoro".
“In secondo luogo le banche, in particolare le banche di emissione, devono essere indipendenti dalla pressione politica al fine di agire esclusivamente “entro le linee di una finanza prudente"(Resolution III, 28).
Più specificamente, i tassi di interesse devono salire al fine di restringere il volume del credito disponibile. Invero, "se il saggio controllo del credito porta al denaro "caro", questo risultato aiuterà di per sè a promuovere l'economia" (Resolution VII, 29). La commissione è consapevole che queste misure accrescono il costo della restituzione del debito flottante. Tuttavia afferma:
“non vediamo ragioni del perché la comunità nella sua capacità collettiva (cioè i Governi) dovrebbero essere soggetti a qualcosa di meno della normale misura di restrizione del credito che riguarda i membri individuali della comunità" (Resolution IV, 28).”

Cioè lo Stato deve mettersi in mano ai mercati finanziari: lo sappiamo benissimo che il senso dell’indipendenza delle banche centrali è questo, ma le conferme fan sempre piacere.
Ovviamente “a Brussels si è già concordi sul fatto che “E' altamente desiderabile che i paesi che hanno deviato da un effettivo gold standard debbano ritornare ad esso,” [Resolution VIII, 19].”

8. Passiamo a Genova:
“La necessità della political independence of central Banks allo scopo di condurre una finanza prudente è proclamata nella seconda risoluzione della Commissione per la moneta. Comunque, la Commissione di Genova, espande la necessità di cooperazione e coordinamento tra banche centrali al fine di ottenere la stabilità monetaria. See Resolutions III and XII of the Currency Commission. Il principio del free trade è centrale per la Commissione sui Cambi.
Così, nella misura in cui ci sia un deficit nel bilancio annuale di uno Stato, che è finanziato creando moneta fiduciaria o credito delle banche, nessuna riforma delle divise è possibile e nessun approccio all'istituzione di un gold standard è fattibile.
La più importante riforma di tutte è quella di portare al pareggio la spesa annuale dello Stato, senza la creazione di nuovo credito non rappresentato da nuovi assets.
Il pareggio di bilancio richiede adeguata tassazione ma se la spesa pubblica è così elevata da portare la tassazione a un punto che va oltre ciò che può essere prelevato dal reddito di un paese, la tassazione potrebbe condurre ancora all'inflazione.
Ridurre l'inflazione del Governo è il vero rimedio.
Il pareggio di bilancio dovrà essere esteso al punto da rimediare un deficit della bilancia dei pagamenti esterni, attraverso la riduzione dei consumi interni. [Resolution VII, 3]”
Questa “distruzione” della domanda interna però mi ricorda qualcosa…:)

8.1. D’altra parte tanta severità è inevitabile: “La Conferenza è dell'opinione che la severa applicazione dei principi sopra delineati è la condizione necessaria per il ristabilimento delle finanze pubbliche su solide basi.
Un paese che non si adegui al più presto nell'esecuzione di tali principi è condannato senza speranza di ripresa economica (doomed beyond hope of recovery).”

Anche questo catastrofismo non mi risulta del tutto nuovo…

9. Ecco appunto: queste sono le indicazioni delle Conferenze di Bruxelles e Genova del 1920 e del 1922, con le quali i banchieri centrali e gli esperti economisti del tempo volevano curare la "ripresa" economica del "primo" dopoguerra.
E l'inflazione non è la "più ingiusta delle tasse": ma era, e rimane, in relazione inversa con il livello di disoccupazione (se si rammenta che i disoccupati non hanno alcun reddito), mentre, entro limiti fisiologici, è in relazione diretta con gli investimenti (nell'economia reale) sul proprio territorio nazionale.
Poi venne la crisi del 1929 e si accorsero che non riuscivano a venirne a capo con queste grandi ideone.
Ma sono le stesse del Manifesto di Ventotene (a saperlo leggere entro le sue linee ispiratrici einaudiane) e, naturalmente, dell'€uropa della pace e del benessere...

10. A proposito, c'è qualcuno che si illude ancora che si possa riformare tutto questo?
Sarebbe come chiedere uno sconto sul prezzo a un venditore di auto dopo aver acquistato, pagandola interamente, l'auto, ed averla usata per alcuni anni e centinaia di migliaia di kilometri. Se l'auto si rivela un bidone, non puoi aspettarti, a quel punto, che NON ti dicano: "il contratto è eseguito, il prezzo è stato liberamente pagato e ormai non accettiamo reclami".
Semmai, voler curare l'€uropa col "più €uropa" (o "da dentro", che è la stessa identica cosa) significa pagare un sovrapprezzo per il bidone.
Appunto: i titoli pubblici come risk weighted assets e la istituzionalizzazione della Trojka come "grande riforma".

Pubblicato da Quarantotto a 16:34 Nessun commento: Link a questo post
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