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La nostra ignoranza è la LORO forza.
Mi piace questa Pagina"Mi piace" aggiunto alla Pagina · 11 settembre 2013 · ·
 

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attualita' luglio 21, 2016 posted by Fabio Lugano
IL SOLE RIVELA IL PIANO DI SALVATAGGIO PER MPS, MA QUALCUNO LO HA SPIEGATO AGLI AZIONISTI ?



Oggi il Sole 24 Ore pubblica un interessante articolo sul piano di salvataggio elaborato dal CDA di MPS. Solitamente questo tipo di piani si caratterizza per una grande cura nella copertura delle cadreghe e delle posizioni, ed una scarsissima valutazione per i diritti degli azionisti, e questo caso non si smentisce.

Il piano riportato dal “Il Sole 24 ore” è molto semplice , quasi lineare:

  • Elimino 9,7 miliardi di NPL netti (valore crediti lordi almeno 19) utilizzando una cartolarizzazione che per 6 miliardi ad alqta qualità vedrà entrare in azione i GACS, i nuovi strumnti con intervento di garanzia della CDP, per 1,7 miliardi “Mezzanini” vedrà l’intervento di Fondo Atlante, che così terminerà i suoi fondi, e per 2 miliardi vedrà l’emergere di nuove perdite.
  • La Banca ne approfitterebbe per ripulire un 1,5 – 2 miliardi di Vecchi prestiti incagliati” o , come dicono in gergo “Unlikely to pay”. Praticamente sofferenze che non son diventate tali solo perchè la banca non ha intrapreso azioni esecutive, perchè non aveva interesse a farle emergere.
  • Ne nasce una perdita patrimoniale fra i 3,5 -4 miliardi da coprirsi con un aumento di capitale a condizioni di mercato con una consorzio di garanzia di cui faranno parte Mediobanca e Merril Lynch, oltre che UBI.
Questa proposta presenta però due problemi, il primo strettamente tecnico, ed il secondo invece più generale.

Il problema tecnico è legato alla revisione dei sistema di valutazione interna dell qualità dell’attivo. Questi metodi interni interni di rilevazione permettono di valutare con una certa precisione il famoso “RWA” “Risk weighted asset”, che è la base per la riclassificazione del bilancio secondo i criteri di Basilea. Ora se risulta che il valore minimo ricavabile dei crediti in sofferenza è inferiore a quanto previsto precedentemente dai sistemi di valutazione aziendali si presenta la necessità di mutare il sistema di “Risk management” interno, con un aumento del RWA e quindi la necessità o di diminuire i fidi ed i prestiti oppure di aumentare le coperture e la capitalizzazione. Insomma la banca rischia di diventare molto meno redditizia e di doversi capitalizzare ancora di più.

Il secondo problema, la diluizione del patrimonio, invece dovrebbe far fare un salto sulla sedia a tutti gli azionisti. Attualmente (ore 12 del 21/7) MPS in borsa quota 32 centesimi. Ammettiamo di avere una visione positiva sul futuro e che presto il titolo vada a 50 centesimi, Il valore di borsa della banca sarebbe di poco superiore agli 1,45 miliardi di euro (MPS ha 2932 milioni di azioni). Se devo aumentare il capitale di 4 miliardi significa che dovrà emettere 8 miliardi di nuove azioni. Quindi o i vecchi azionisti esborsano altri 1,33 euro per partecipare, in proporzione, all’aumento di capitale e comprarsi 2,71 azioni in più ciascuno, oppure vedranno irrimediabilmente diluito il loro capitale. Chi prima aveva , ad esempio , 1% di MPS si troverà ad averne circa lo 0,26%, quindi con una diluizione ad un quarto quasi della partecipazione precedente. Il corso dell’azione in questo momento vede una crescita, il che significa che o gli azionisti attuali non hanno ben chiaro quello che gli accadrà, o che la Toscana è terra di masochisti, oppure che confidano che , in futuro, l’utile societario crescerà più di quanto sia l’attuale diluizione potenziale.



Comunque contenti loro, contenti tutti. E contenti soprattutto gli obbligazionisti convertibili retail , diverse decine di migliaia, che hanno corso il rischio, e che ancora lo corrono , di vedere il loro prestito obbligazionario convertito in azioni fortemente svalutate. Loro sono quelli che, veramente, l’hanno scampata bella….

Saluti
 

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I DUE EPICENTRI DEL CONFLITTO GLOBALE: SIRIA E...ITALIA [/paste:font]

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1. Per completezza di informazioni su alcuni temi di attualità che abbiano recentemente trattato, vi propongo, dei brani selezionati dell'ultimo bollettino, datato 21 luglio, dell'Executive Intelligence Review- EIR, "Strategic Alert" (a cura dell'associazione, fondata da Lyndon Larouche, che periodicamente mi invia tale interessante mail).
Come già in altri casi in cui abbiamo citato tale fonte, premettiamo che si tratta di annotazioni valutative che esprimono un punto di vista, nell'ambito di una visione che, inevitabilmente, muove dagli USA, pur avendo con lo Schiller Institute, radicazione anche in altri paesi, in particolare europei, ove si diffonde il pensiero di Larouche e di sua moglie Helga.
Avevamo accennato, in più occasioni, al tema del paradigma liberoscambista mondializzatore: perseguite rigide politiche deflazioniste in tutto il mondo, tramite una serie di istituzioni "sovranazionali" capaci di imporre agli Stati delle forti condizionalità, sul piano delle politiche economiche, e l'insorgere di conflitti sezionali, quanto alle politiche interne, questa strategia mondialista nutre ora la tentazione di risolvere la crisi economico-finanziaria globale, a cui inevitabilmente avrebbe condotto, innescando una escalation di conflitti guerreggiati.
2. Da ultimo, in relazione alla connessione tra dilagare del terrorismo islamico e apparenti svolte politiche nei principali paesi occidentali, avevamo sunteggiato la finalità di tale scenario: "...per portare a livello di stabilità istituzionalizzata lo stato di eccezione che consegue a tale guerra civile permanente, in modo che, analogamente a quanto avvenne in Italia ai tempi della strategia della tensione, sia resa incontestabile la prosecuzione delle politiche economico-sociale attuali; l'idea della "israelizzazione" delle ex-democrazie sociali sottintende di raccogliere il consenso intorno a una "Autorità" salvifica e "protettiva", che possa rivendicare la sua legittimazione in termini polizieschi e di militarizzazione, anche esterna e in funzione di spesa "keynesiana", di ogni residua funzione dello Stato. O del super-Stato €uropeo".
3. L'EIR denomina tale strategia geo-politica come "il partito della guerra":
Il partito della guerra è sulla difensiva ma non sconfitto. Il quadro strategico è cambiato significativamente nel corso della settimana scorsa. La strage di Nizza, il golpe fallito in Turchia, gli incontri di Kerry a Mosca e il rilascio delle 28 pagine (v. infra), hanno ridefinito lo scacchiere della guerra globale sullo sfondo del crollo progressivo del sistema finanziario internazionale.

Il tema del collasso è al centro della proposta di Lyndon ed Helga LaRouche per un intervento urgente su Deutsche Bank, da usare come leva per una svolta in Germania e in Europa. Allo stesso tempo, l'alleanza anglo-saudita e il partito della guerra USA/NATO sono stati messi sulla difensiva da tre documenti incriminanti: le ventotto pagine sull'Arabia Saudita, il rapporto Chilcot sulla guerra in Iraq e il rapporto del Congresso sulla HSBC (vedi sotto eSAS28/16). I colloqui sulla Siria e gli sviluppi in Turchia potrebbero condurre a una svolta nel Sud-Ovest asiatico [Ndr: la situazione in realtà non consente allo stato letture eccessivamente ottimistiche]. Tuttavia, il partito della guerra non è sconfitto, come mostra la strage di Nizza e gli episodi di terrorismo razzista negli Stati Uniti. Siamo in una guerra globale e non esiste alternativa alla vittoria.

Il fianco debole del nemico è il sistema finanziario, la cui bancarotta si concentra sulla crisi dell'euro, che si avvicina a un punto di soglia attorno alle decisioni sul sistema bancario italiano. La crisi delle banche italiane è in larga parte risultato dell'austerità imposta dall'UE e le sue dimensioni sono relativamente modeste, ma la legge europea - e il governo tedesco - ammette solo la soluzione del bail-in.

Messo alle strette, il governo italiano potrebbe decidere di scaricare l'euro piuttosto che commettere un suicidio politico. Anche la Germania è di fronte a una scelta per Deutsche Bank, il cui capitale si è talmente eroso da minacciare l'insolvenza. Altre banche, come Crédit Suisse, sono in una situazione simile. Mentre è necessaria una riorganizzazione bancaria globale, basata sui principii della Legge Glass-Steagall, un intervento urgente su Deutsche Bank, se eseguito nel modo che Helga Zepp-LaRouche descrive qui sotto, potrebbe ribaltare la situazione.
4. In correlazione a tale analisi, vien poi svolta una focalizzazione sulla situazione Deutsche Bank, che fornisce una prospettiva un po' diversa, del problema delle conseguenze demenziali delle regole, a larga e insindacabile discrezionalità, imposte con l'Unione Bancaria:
La Deutsche Bank va salvata, ma a certe condizioni!

La seguente dichiarazione è stata rilasciata da Helga Zepp-LaRouche, presidente del Movimento per i Diritti Civili Solidarietà tedesco (BüSo), il 12 luglio 2016.

L'imminente rischio di bancarotta di Deutsche Bank certamente non è l'unica causa potenziale di una nuova crisi sistemica del sistema bancario transatlantico, che sarebbe di diversi ordini di grandezza più letale della crisi del 2008, ma offre una leva unica per impedire che il collasso si traduca in caos.

Dietro all'SOS lanciato dall'economista capo di Deutsche Bank, David Folkerts-Landau, per un programma europeo di 150 miliardi di Euro per ricapitalizzare le banche, si intravede il pericolo, apertamente discusso nei media finanziari internazionali, di insolvenza dell'intero sistema bancario europeo, poggiato su una montagna di almeno 2000 miliardi di Euro di prestiti inesigibili ("NPL"). Deutsche Bank, con un totale di 55.000 miliardi di Euro di valore nozionale di contratti derivati e un fattore di leva di 40:1, che supera quello di Lehman Brothers ai tempi del suo collasso, rappresenta il tallone d'Achille più pericoloso del sistema. La metà del bilancio di Deutsche Bank, il cui titolo è crollato del 48% negli ultimi 12 mesi ed è ora solo all'8% del suo valore di picco, è fatto di derivati cosiddetti Level 3, quasi 800 miliardi di Euro di titoli senza una valutazione di mercato.

Forse molti sono rimasti sorpresi dalla proposta fatta da Lyndon LaRouche il 12 luglio, che Deutsche Bank sia salvata attraverso un'iniezione di capitaleuna tantum, in ragione delle implicazioni sistemiche della sua minacciata insolvenza. Né il governo tedesco con il suo PIL di 4 bilioni di Euro, né l'Unione Europea con un PIL di 18 bilioni di Euro, sarebbero capaci di controllare l'effetto domino di una bancarotta disordinata.

L'iniezione di capitaleuna tantum, ha spiegato LaRouche, è una mera misura d'emergenza che deve essere contestuale a un immediato riorientamento della banca, nel senso della sua tradizione prevalente fino al 1989, sotto la guida di Alfred Herrhausen. Per sovraintendere a questa operazione, dovrà essere istituito un comitato di gestione che verifichi la legittimità e le implicazioni delle passività, e completi il suo lavoro entro un dato periodo di tempo. Tale comitato dovrà anche redigere un nuovobusiness plan, basato sulla filosofia bancaria di Herrhausen, ed esclusivamente orientato agli interessi dell'economia reale della Germania.
5. Altrettanto interessante, è il chiarimento sullo status della proposta di reintroduzione del Glass-Stegall Act, cioè della "separazione bancaria", nell'ambito dell'attuale campagna per le elezioni presidenziali negli USA:

Presidenziali USA: il ripristino della legge Glass-Steagall incluso in entrambe le piattaforme. Dalla crisi finanziaria del 2008, gli interessi di Wall Street e della City di Londra a Washington hanno fatto ricorso a misure sempre più disperate per preservare il loro sistema in bancarotta, dal salvataggio delle banche Too Big to Fail, al Quantitative Easing, per poi arrivare al "bail-in", e ora ai tassi d'interesse negativi, con l'"helicopter money" pronto a entrare in azione.

L'alternativa a questa follia è quella che fu proposta prima del crac del 2008 da Lyndon LaRouche, che l'aveva previsto in una videoconferenza del luglio 2007. Per porre fine all'implosione del sistema, LaRouche chiese il ritorno alla politica della separazione bancaria di Franklin Roosevelt e della legge Glass-Steagall, seguita da una cancellazione del debito impagabile, e la creazione di un sistema creditizio per l'infusione di credito pubblico all'attività produttiva fisica, a partire da massicci investimenti nelle infrastrutture.

...Il tema è tornato alla ribalta durante la campagna presidenziale americana, soprattutto quando il Senatore Bernie Sanders ha sostenuto, anche se in ritardo, il disegno di legge per la Glass-Steagall del XXI secolo presentato dalla Sen. Elizabeth Warren. Ora la legge Glass-Steagall è entrata sia nella piattaforma democratica sia in quella repubblicana.

I democratici denunciano il "gioco d'azzardo" di Wall Street e "l'idea (tra gli speculatori) che i contribuenti continueranno a rifinanziarli". Tuttavia la probabile candidata, Hillary Clinton, ha dichiarato spesso di non sostenere il ritorno alle regole della Glass-Steagall, e la piattaforma parla anche di "difendere ed espandere la legge Dodd-Frank," benché tale legge sia stata scritta dai banchieri Too Big to Fail, e difenda lo stesso sistema speculativo che ha portato al crac del 2008.

Quanto ai repubblicani, nessuno sa per certo che cosa ne pensi Donald Trump. Resoconti dalla battaglia per la piattaforma indicano, come ci ha riferito uninsiderdella Georgia, che i sostenitori di Trump insisterebbero sul ripristino della Glass-Steagall, anche se Trump stesso non si è pronunciato su questo.

Un'altra indicazione della rivolta popolare contro Wall Street, cui si è agganciato Sanders, e cui tenta di agganciarsi anche Trump, viene dall'Illinois, lo stato di Obama e la sua base politica. Il 30 giugno il Parlamento dello Stato ha approvato una mozione che chiede al Congresso federale di adottare un programma di "ripresa americana" ripristinando le disposizioni della legge Glass-Steagall, tornando a un sistema creditizio federale e alle banche nazionali, sul modello di Alexander Hamilton, per investire nell'economia reale e nelle infrastrutture.
6. Riprendendo il tema sempre più globale del terrorismo, sono anche valutate le rivelazioni sulla connessione tra Arabia Saudita e attentato dell'11 settembre , e la connessa implicazione di come fermare il terrorismo "alla fonte", almeno per quanto riguarda il suo attuale epicentro nella crisi siriana:
Il 15 luglio l'amministrazione Obama ha finalmente reso pubblico (anche se lievemente oscurato) il capitolo di 28 pagine del rapporto originale della Commissione d'inchiesta congiunta del Congresso sull'11 settembre, poche ore prima che Capitol Hill chiudesse per le vacanze estive. Leggendo attentamente il capitolo si comprende che il congressista Thomas Massie aveva assolutamente ragione quando dichiarò che queste informazioni avrebbero imposto un totale ripensamento su ciò che è accaduto negli ultimi 15 anni.
Contrariamente alla narrazione promossa dal Presidente Obama, dai servizi diintelligencee dai soliti media, il livello di prove sul coinvolgimento saudita negli attacchi dell'11 settembre contenute nelle ventotto pagine va ben oltre quello noto pubblicamente. Esse dimostrano infatti che funzionari sauditi e membri della famiglia reale erano coinvolti intimamente con Al Qaeda e molti di loro avevano legami diretti coi dirottatori. Benché l'FBI e la CIA avessero le prove dei finanziamenti sauditi ad Al Qaeda prima ancora del 2001, fu soppressa qualsiasi azione repressiva e gli investigatori furono licenziati o trasferiti per aver sollevato troppe domande.
Il Presidente Obama, James Clapper del DNI e il direttore della CIA John Brennan sostengono che le piste contenute nelle 28 pagine sono state successivamente smentite dall'inchiesta condotta dall'altra Commissione sull'11 settembre. Tuttavia, in realtà, il direttore di tale inchiesta, Philip Zelikow, ha espressamente bloccato qualsiasi inchiesta sui sauditi, e ha perfino licenziato il membro dellostaffa cui era stato assegnato il compito di seguire la vicenda, come hanno ammesso altri membri della commissione.
Il rapporto di inchiesta congiunto sull'11 settembre fu completato e reso pubblico nel dicembre 2002, meno quelle 28 pagine che riguardavano il coinvolgimento saudita. Chiaramente, quel capitolo cruciale fu soppresso perché l'amministrazione Bush-Cheney si stava preparando per la guerra contro l'Iraq, per il cambiamento di regime contro Saddam Hussein, accusato di essere l'architetto dei mortali attacchi terroristici e di possedere un arsenale di armi di distruzione di massa. Tutte menzogne, come sappiamo ora.
È quindi urgente una nuova inchiesta dall'inizio alla fine, che indaghi su tutte le atrocità e le guerre che ne conseguirono, come la guerra in Iraq e in Libia, i tentativi di cambiamento di regime in Siria e molto di più.
La pubblicazione delle 28 pagine, che giunge pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione Chilcot nel Regno Unito sulla guerra illegittima in Iraq (vediSAS28/16) è un colpo mortale al cuore dell'impero anglo-saudita. È prevedibile che ora aumenti al Congresso il sostegno per l'approvazione della legge JASTA, che consente di citare in giudizio i funzionari sauditi per aver sponsorizzato il terrorismo.
Il congressista Walter Jones, che ha condotto la battaglia al Congresso per desecretare le ventotto pagine, ha espresso il suo ringraziamento e le sue congratulazioni al movimento di LaRouche per il suo ruolo chiave nell'ottenerne la pubblicazione.

Dopo la strage di Nizza dove hanno perso la vita 84 persone e molte altre sono state ferite, il governo ha espresso il proprio cordoglio e rinnovato l'impegno nella lotta contro il terrorismo, senza tuttavia attaccare le vere cause di questa barbarie, denuncia Jacques Cheminade.
La causa principale è la complicità del governo "con le formazioni jihadiste usate per provocare la caduta del regime di Assad, elaborata dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dall'Arabia Saudita, dal Qatar e dalla Turchia", che ora si ritorce contro la Francia.
Infatti, è noto dal 2014 che Nizza è divenuta centro di reclutamento dei guerriglieri diretti in Siria. Un rapporto della Direzione Generale per la Sicurezza Interna (DGSI) notava che Nizza è divenuta una "città-laboratorio" per identificare e gestire la "radicalizzazione".
È da Nizza che Omar Osman, un franco-senegalese convertito all'islam, reclutò la sua brigata di 50-80 francesi, ora combattenti in Siria con il gruppo al-Nusra (ovvero al-Qaeda), dei quali il ministro degli Esteri Laurent Fabius affermò nel 2012, con un entusiasmo davvero improprio, che stavano "facendo un bel lavoro" contro Assad.
È a Nizza, inoltre, che sono stati identificati gli arrivi e le partenze di potenziali jihadisti, in viaggio come missione diplomatica saudita. Lo scorso 7 aprile il sindaco nizzardo Christian Estrosi, intervistato da Olivier Mazerolle perRTL, ha dichiarato che due persone nel dossier delle persone "radicalizzate" e in necessità di stretta sorveglianza, erano entrate in Francia con la copertura diplomatica saudita e che "esse hanno beneficiato di un'esenzione totale dai controlli" presso l'aeroporto internazionale di Nizza. "Sì", ha risposto il sindaco alla domanda se la polizia fosse stata costretta a proteggere i due, "e so che alcuni di loro erano sconvolti, ne parlarono e ne subirono le conseguenze".
"Il governo non può continuare a menare il can per l'aia su questo punto", dichiara Cheminade, "rischiando di trovarsi presto o tardi in un posizione simile a quella di Tony Blair", e cioè davanti a una commissione d'inchiesta o direttamente in tribunale.
"È venuto il momento di ristabilire i rapporti con Assad al fine di rifondare e ricostruire la Siria; di agire in armonia con la Russia per combattere assieme questa minaccia; di incitare con decisione gli Stati Uniti a fare altrettanto", incalza Cheminade.

Pubblicato da Quarantotto a 12:19 Nessun commento: Link a questo post
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Titolo ad effetto per un articolo con cui voglio tornare a parlarvi dei delitti contro la personalità dello Stato, riportando direttamente uno stralcio dal mio libro “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” distribuito on line da ibs.

Non si può accettare che una classe politica che invoca la fine dell’Italia come Stato, chiedendo la cessione della nostra sovranità, che come noto appartiene al popolo e non a questi signori, possa continuare ad imperversare impunemente.

Parliamo dunque ancora una volta della fattispecie penale del 241 c.p. e degli altri reati che costituiscono quel complesso che prende il nome di “delitti contro la personalità dello Stato”. Costituisce circostanza indubbia che, dichiarazioni a parte, la sovranità nazionale sia stata sottratta in favore di organismi stranieri, che fanno capo ai capitali diventati potere politico, tra cui la stessa BCE. Altrettanto è circostanza indubbia che l’indipendenza dello Stato non solo sia stata limitata, ma addirittura sia stata completamente cancellata. Quasi inutile ricordare nuovamente che l’art. 47 Cost. dispone che debba essere la Repubblica a coordinare e controllare il credito e non viceversa.

In puro diritto, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 241 c.p., occorre unicamente spendere due parole in particolare sulla definizione giuridica di violenza necessaria alla consumazione del reato. Dopo la “strana” riforma del 2006, infatti, la mera compressione della sovranità, o la menomazione dell’indipendenza nazionale, sono reato, solo se commessi con violenza. Ma questo non è un problema per l’applicazione della norma penale.

La giurisprudenza è assolutamente unanime e consolidata sull’interpretazione ampia del concetto di violenza che non comprende solo l’atto fisico dell’agente. La violenza si identifica infatti in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche inuna violenza “impropria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione.

L’austerità è l’atto che, anche qualora non ritenuto violento di per sè, distruggendo la domanda interna e conseguentemente riducendo la popolazione in una condizione di paura e sempre più dilagante povertà, ha direttamente determinato l’accettazione, attraverso la cooptazione, di ogni atto con cui la sovranità italiana è stata completamente sottratta. In sostanza la forza di cooptazione dell’austerità è stata tale da provocare addirittura la caduta di un Governo (Berlusconi) per sostituirlo con un altro pronto ad eseguire il compitino imposto dalla stessa BCE. L’austerità non aveva alcuna ragione di esistere e la sua applicazione è frutto della rappresentazione di una falsa emergenza contabile determinata, in realtà, dalle regole economiche e monetarie che impongono la crisi come risultato certo e matematico. Lo stesso Giuliano Amato aveva definito addirittura “Faustiana”, la pretesa di creare una banca centrale che non fungesse da prestatrice illimitata di ultima istanza, abbinare tale scelta demenziale all’obbligo di contenere il deficit in misura tale da obbligare l’Italia a fare vent’anni di avanzo primario, ovvero a tassare più di quanto spende, non poteva che portare miseria e paura. Monti invece ha espressamente confessato che le crisi e le gravi crisi sono lo strumento per obbligarci a cedere sovranità, perché il costo di non fare le riforme, se è in atto una crisi visibile e conclamata, diventa superiore a quello di farle.

Il reato dunque è perfettamente consumato e tanta è la convinzione in tale affermazione che non si fatica ad esprime pubblicamente questo concetto, che ormai è fatto proprio da numerosi giuristi, anche di chiara fama. Si comprende una naturale ritrosia a parlare di certi temi, poiché obiettivamente non si è mai verificata, nella storia recente, una situazione simile. Cionondimeno pare completamente inutile tentare di negare l’evidenza e mettere la testa sotto la sabbia, non è così che salveremo la democrazia.

Abbiamo una larga fetta della classe politica che scientemente, o semplicemente perché ha seguito il vento dominante, si è appiattita sulla posizione di superare gli Stati nazionali, posizione non compatibile con legge e democrazia. In sostanza si sta imponendo un nuovo “patto sociale” in assenza della parti che naturalmente dovrebbero sottoscriverlo, i popoli.

Peraltro le tesi appena enunciate trovano conforto anche dalla piana lettura della relazione al codice penale a cura dell’On. Alfredo Rocco, datata 1929. Essa rappresenta una sorta d’interpretazione autentica della fattispecie incriminatrice che ho menzionato e consente di comprendere appieno la fondamentale ratio della tutela del bene giuridico “personalità dello Stato”:

(omissis…) con le disposizioni contenute in questo titolo, il Progetto afferma che non è soltanto la sicurezza dello Stato, quella che va penalmente tutelata, ma anche tutto quel complesso di interessi politici fondamentali, di altra indole, rispetto ai quali lo Stato intende affermare la sua personalità. Codesti interessi, attraverso sfere gradatamente più ampie, vanno dalla saldezza e dalla prosperità economica al migliore assetto sociale del Paese, e perfino al diritto di conseguire e consolidare quel maggiore prestigio politico, che allo Stato possa competere in un determinato momento storico”.

Dunque, anche se la personalità dello Stato è lesa nella sfera economica e sociale, come pacificamente è avvenuto con le cessioni di sovranità previste nei trattati europei, si rientra nell’ambito dell’oggetto che le fattispecie penale intendeva tutelare. Ma vi è di più, si ha reato, non solo nel caso di cessione della sovranità, ma anche se avviene una mera “limitazione”:

(omissis…) l’intenzione di sottoporre lo Stato alla sovranità di uno Stato straniero: sovranità territoriale, cioè, destinata ad affermarsi, oltre che rispetto all’ordinamento politico, anche sul territorio dello Stato soggetto, come nel caso di sottoposizione, totale o parziale, del territorio dello Stato italiano alla sovranità di uno Stato straniero; sovranità soltanto personale, come nel caso di menomazione dell’indipendenza della Stato, quando, pure rimanendo la sua sovranità estesa su tutto il territorio, la sovranità medesima subisce limitazioni, che possono essere più o meno estese, per il fatto che ad esse si sovrappone, comprimendola, ma senza tuttavia eliderla, la sovranità di uno Stato straniero, come nel caso del protettorato nelle sue varie forme (omissis…) Come per il Codice vigente, è questo un delitto formale: il tentativo fin nel primo stadio degli atti preparatori, è elevato a reato perfetto”2.

La norma oggi va certamente letta in combinato con l’art. 11 Cost., che in allora, ovviamente, non esisteva ancora. Pertanto la mera limitazione di sovranità sarà punibile solo se avviene in assenza di reciprocità tra gli Stati e per scopi estranei alla pace. Ed ovviamente il fatto che l’Europa ci imponga un certo modello economico e sociale non ha in alcun modo a che vedere con la pace, per non parlare della totale assenza di parità di condizioni tra i vari Stati aderenti all’UE.

Con buona pace di quei giuristi che ancora insistono nel non voler vedere la realtà è certo che nelle aule di giustizia quotidianamente affrontiamo condotte di ben più difficile riconduzione all’interno di fattispecie punite penalmente, rispetto a quelle che ho portato fin qui all’attenzione dei lettori. Ovvio che le ragioni per cui i processi non si aprono a questo punto sono da ricercarsi nella cultura e nella politica.

Che dovrebbe fare una persona per essere processata per delitti contro la personalità dello Stato se non basta neppure invocare ed attuare cessioni di sovranità tali da portare alla stessa (ed invocata) fine dell’Italia?

I reati previsti nel codice penale, applicabili ai fatti che stiamo vivendo in questo lento tramonto della democrazia, risultano poi punibili anche in base ad ulteriori norme. In particolare, anche qualora non si condividesse quanto detto in merito all’ambito di operatività dell’art. 241 c.p., anche se davvero non si vedrebbe come, quanto è avvenuto potrebbe rientrare comunque nell’ambito di operatività di cui all’art. 243 c.p., norma dimenticata nella modifica del 2006 e che punisce:

“Chiunque tiene intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se la guerra segue, si applica la pena di morte; se le ostilità si verificano, si applica l’ergastolo”.

Trattasi di disposizione normativa che mira a tutelare l’interesse del mantenimento della pace e dell’esclusione, nello svolgimento delle relazioni internazionali, di interferenze da parte di soggetti non autorizzati, conniventi con lo straniero, capaci di compromettere i rapporti e la pacifica convivenza tra i popoli. Il verificarsi dell’evento bellico non è certamente elemento necessariamente richiesto per la consumazione del reato per il quale è sufficiente l’avvenuta intelligenza con lo straniero a tale fine o a quello di compiere anche altri atti altrimenti ostili verso la nazione. Ed è proprio questo ciò che qui interessa.

Tenere “intelligenze” significa semplicemente stringere un accordo con lo straniero, accordo che ai fini del reato può anche essere assolutamente palese e non occulto. La stipula di un trattato internazionale è per definizione un atto d’intelligenza con lo straniero. La sua liceità dipende unicamente dal fatto che l’accordo sia o meno diretto ad interessi compatibili con quelli della Repubblica. A quel punto ovviamente se l’atto d’intelligenza, se l’accordo, è invece ostile al Paese, il reato è consumato. La qualificazione giuridica che definisce il concetto di “atto ostile” è davvero semplicissima.

Atti di ostilità sono tutte le azioni d’inimicizia, diverse dalla guerra stessa, che risultino in qualche modo dannosi per la personalità giuridica della nazione anche qualora non caratterizzati da coercizione o violenza. La personalità giuridica è il potere d’imperio dello Stato sul suo territorio e sul suo popolo. Se tale potere non esiste più è lo Stato stesso a cessare la sua esistenza. In tutta evidenza questo rappresenta l’atto più ostile possibile contro una nazione. Ogni evento bellico è per sua definizione il tentativo di sottomettere un altro Stato menomandone proprio la sua sovranità e la sua indipendenza. Oggi la compromissione dell’indipendenza e della sovranità nazionale non avviene più con i carri armati, ma con quei vincoli di bilancio imposti con i trattati, che spogliano la nazione di qualsivoglia personalità giuridica in materia politica ed economica.

La cessione di sovranità dell’Italia in favore dell’Europa rappresenta indiscutibilmente la fine dell’Italia quale nazione libera ed indipendente, la fine dell’Italia come Stato. La valutazione delle ragioni per le quali si vuole cancellare l’Italia sono completamente irrilevanti per la configurazione della responsabilità penale. Anche se si ritenesse che la cancellazione dell’Italia come Stato possa essere un atto compiuto nell’interesse del popolo italiano, ciò non eliminerebbe la qualifica di atto ostile ad un trattato che la disponga ed inoltre, il mero tentativo, come peraltro valeva già per l’art. 241 c.p., è già sufficiente per la piena consumazione del reato.

Ergo il carattere ostile di un atto è in re ipsa nella cessione di sovranità compiuta o tentata, ovvero nella sua limitazione oltre i vincoli tassativi dell’art. 11 Cost. In merito all’elemento psicologico per la consumazione del reato, come detto, non rileva affatto che il soggetto agente voglia il male della popolazione italiana, ma unicamente che il soggetto agente abbia il dolo specifico di compiere un atto contrario alla sopravvivenza della nazione Italia, quale entità indipendente e sovrana.

Ovviamente quando, ad esempio, il Presidente Mattarella afferma di “voler superare gli Stati nazionali”, come fatto in maniera tutt’altro che implicita nel citato discorso pronunciato a Cernobbio, ipotizza ed invoca l’atto più ostile che si possa immaginare contro la Repubblica italiana. Il fatto che lo chieda per il bene del popolo (questo pare trasparire dalle parole del Capo dello Stato), non rileva affatto. Consola umanamente, certo, ma non cambia la sostanza. Il fatto che su queste frasi manchi almeno un franco dibattito dunque è davvero incredibile.

La libertà di opinione nel nostro Paese è fortunatamente sacra, ma un conto è esprimere un’idea contraria alla conservazione dell’indipendenza nazionale, altra cosa è agire concretamente in tale direzione. Il passaggio dall’opinione, all’atto concretamente eversivo dell’ordinamento democratico, è davvero breve.

Si possono poi considerare ulteriori fattispecie penali per punire le azioni dei moderni golpisti.

L’art. 264 c.p. sanziona, ad esempio, l’infedeltà negli affari di Stato. Tale norma punisce chi, trattando interessi italiani, si rende infedele al mandato ed agisca contro la nazione. Questa fattispecie è improvvisamente diventata d’attualità estrema dopo una sconcertante, ma ampiamente veritiera, dichiarazione del deputato PD Afredo d’Attorre, il quale ha ammesso, in diretta televisiva, che proprio il suo partito al Governo “fa interessi di Paesi stranieri”. Anche un Magistrato di chiara fama come il Dott. Luciano Barra Caracciolo, Presidente della V Sez. del Consiglio di Stato, ha affrontato tale tematica con pungenti articoli sul proprio interessantissimo blog. Stona che tale frase, a quanto è dato sapere, non abbia ancora spinto ad approfondimenti. Talvolta le Procure indagano su fatti ben meno importanti, d’altronde l’esercizio dell’azione penale è obbligatorio e non meramente facoltativo.

Ci si potrebbe poi spingere fino ad ipotizzare anche la configurazione del reato di cui all’art. 246 c.p., ovvero corruzione del cittadino ad opera dello straniero, ma sarebbe necessario avere le prove che, al fine di ottenere le cessioni di sovranità, ci sia Stata una dazione effettiva di denaro in favore di nostri esponenti politici. Ovviamente non ho alcun elemento di prova circa tali corresponsioni, la loro dimostrazione richiederebbe pertanto un’indagine specifica.

Benché, tuttavia, è vero ed innegabile che personaggi come Mario Monti abbiano svolto i propri incarichi di governo in palese conflitto d’interesse, avendo precedentemente esercitato attività professionali in favore di grandi banche d’affari internazionali di cui innegabilmente, una volta al timone del Paese, hanno continuato a tutelare gli interessi. La stessa mancata costituzione delle istituzioni, quali parti civili, nel processo contro l’agenzia di rating a Trani, la dice lunga sul punto.

Meritano infine menzione i reati di attentato alla Costituzione di cui all’art. 283 c.p., che punisce “chiunque, con atti violenti, commette un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni” e quello di usurpazione del potere politico di cui all’art. 287 c.p., che invece condanna al carcere chi “usurpa un potere politico o persiste nell’esercitarlo indebitamente”.

In merito alla prima fattispecie è agevole notare che la Costituzione sia stata effettivamente modificata, ad esempio con l’introduzione del pareggio in bilancio, in evidente contrasto con i suoi principi fondamentali. Inoltre, come abbiamo visto, la forma di governo è stata prima surrettiziamente modificata con il porcellum, con conseguente grave alterazione della rappresentatività democratica, confermata anche dalla Corte di Cassazione, e poi definitivamente compromessa con quanto oggi Renzi sta compiendo. Mi riferisco ancora all’approvazione dell’italicum che, in combinato con la riforma Costituzionale che elimina il bicameralismo, stravolge la forma di governo del Paese in favore dell’esecutivo, che diviene il potere dominante, rompendo così l’equilibrio previsto dalla Costituzione del 1948, asservendoci ulteriormente al vincolo esterno UE che diventa costituzionalizzato nel nuovo art. 117.

La seconda fattispecie, come ho già scritto, è altrettanto di agevole identificazione. Basta prendere atto che il potere politico è oggi in mano a persone che lo hanno ottenuto in forza ad una legge elettorale dichiarata incostituzionale e che, malgrado tale potere sia stato considerato la conseguenza di una grave alterazione del principio di rappresentatività democratica, persistono indebitamente nel trattenerlo con il consenso della Presidenza della Repubblica stessa. Qui l’incriminazione pone un problema in più visto che la Corte Costituzionale ha apparentemente avallato la tesi della legittimità del Parlamento a proseguire, così consentendo apparentemente il mantenimento di un potere abusivamente ottenuto.

Tuttavia il problema è di diversa soluzione. Il fatto che la Corte dica (peraltro a mio avviso sbagliando clamorosamente per le ragioni che ho già argomentato) che il Parlamento possa andare avanti sotto il profilo costituzionale (benché non dica che lo possa fare per atti di straordinaria amministrazione come la riforma costituzionale), non toglie nulla alla circostanza che tale prosecuzione possa essere comunque un reato ai sensi di una norma penale vigente ed, al contrario del porcellum, mai dichiarata incostituzionale (e non si vede perché dovrebbe essere ritenuta tale).

In sostanza la Corte può dire ciò che vuole, ma il mantenimento di un potere politico illegittimamente ottenuto fortunatamente è, e resta, reato. Dopo la certificazione della Cassazione dell’avvenuta grave alterazione del principio di rappresentatività democratica, diventa assai discutibile, per non dire impossibile, anche negare la presenza di un dolo specifico di usurpazione del potere politico. Renzi ed amici sono perfettamenti consapevoli di non avere legittimazione democratica. Nessuno, ad oggi, può infatti pensare di occupare la propria poltrona istituzionale nel rispetto del principio di rappresentatività democratica.

Insomma il codice penale è ricco di spunti, peraltro assai semplici da comprendere e da applicare, che rappresentano davvero forme di efficace difesa contro il colpo di Stato in corso, difesa che talvolta esula perfino dalla disamina della Costituzione, che resta in ogni caso stuprata dai trattati europei. Le norme dunque esistono, manca semplicemente qualcuno che abbia il coraggio e la volontà di applicarle. La storia insegna che la Magistratura si muove contro le dittature unicamente al tramonto del loro potere politico. Speriamo davvero che questa volta si possa ad arrivare ad un’eccezione di portata storica.

Per approfondire ulteriormente nel dettaglio questi ragionamenti, non vi resta che leggervi il mio libro denuncia, ed invitare le Procure della Repubblica a fare altrettanto…

Avv. Marco Mori – scenarieconomici – Alternativa per l’Italia.
qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.
 

iulius

Forumer storico
Mi piace quello che scrive l' avv. Mori.
Lo so, e non da adesso dopo tale lettura, che
siamo stati stuprati.
Allora la domanda è:
"Perchè la Corte Costituzionale non muove un dito?"
Tutti corrotti? Non scherziamo!
Non sono un tecnico ma non credo di sbagliare:
si parla di cessione di sovranità a favore di uno stato straniero.
Ma quale sarebbe questo stato?? L' U.E. ??
Non può essere dal momento che vi partecipiamo per ns. scelta!
Saremmo contro noi stessi !

La realtà è che la costruzione di questa U.E. è stata molto abile.
Ha ragione l' avv. Mori ma non è possibile dimostrarlo.
Del resto neanche lui ha fatto esplicitamente il nome della Germania
quale effettivo deus ex machina ed il SOLO beneficiario.

Mancando i presupposti legali l' unica via d' uscita è un referendum
come quello inglese.

VIA DA QUESTA UNIONE EUROPEA FASULLA !!
 

mototopo

Forumer storico
Giuseppe Palma
DALL’€URO SI ESCE CON DECRETO. (di Giuseppe PALMA)







Riporto qui di seguito il link del mio articolo, pubblicato sul quotidiano on-line AbruzzoWeb (sabato 25 giugno 2016), sugli strumenti giuridici a disposizione del nostro Paese per uscire dall’€uro. Dall’applicazione nell’interesse nazionale della Lex Monetae alla conversione del debito pubblico regolato da giurisdizione italiana in nuova moneta nazionale, dalla impossibilità – allo stato attuale – di poter indire un qualsiasi referendum in materia agli strumenti tecnici di uscita, etc…

La lettura dell’articolo è totalmente gratuita:

DALL'EURO SI PUO' USCIRE PER DECRETO LEGGE ''REFERENDUM IN ITALIA SAREBBE UN SUICIDIO'' - AbruzzoWeb

Avv. Giuseppe PALMA

Vedere quello che hai davanti al naso richiede una lotta costante”. (George Orwell;)
__________________
 

iulius

Forumer storico
Dunque.....l' Avv. Palma sostiene che i trattati europei sono
anticostituzionali.
Ergo.....i ns. giudici della Corte Costituzionale non capiscono niente ??

I trattati europei sono nella sostanza anticostituzionali ma non nella forma.

Vedere CHI hai davanti al naso richiede una lotta continua.
 

mototopo

Forumer storico


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L'AQUILA - La vittoria al Brexit dei sostenitori dell'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea ha lasciato il segno nel vecchio Continente.

Ma in Italia le discussioni sui grandi media sono in larga misura intrise di critiche e quasi sempre illogiche, su un momento storico di primissima importanza da qualunque lato lo si osservi e lo si giudichi.

Ecco perché, osservando il fenomento Brexit, occorre chiarire nel dettaglio la situazione italiana sull'uscita dall'Euro e su un possibile referendum in tal senso.

Pubblichiamo dunque un intervento del giurista Giuseppe Palma, giurista e scrittore, autore del blog ScenariEconomici.it e dei libri "Figli destituenti. I gravi aspetti di criticità della riforma costituzionale”, "Il tradimento della Costituzione. Dall’Unione Europea agli Stati Uniti d’Europa: la rinuncia alla sovranità nazionale" e "Il male assoluto. Dallo Stato di diritto alla modernità Restauratrice. L'incompatibilità tra Costituzione e Trattati dell'UE. Aspetti di criticità dell'Euro" ed "€uroCrimine. Cos'è la moneta unica e come funziona. Soluzioni giuridiche per uscire dall'euro".

DALL'EURO SI ESCE PER DECRETO E A MERCATI CHIUSI, REFERENDUM E' SUICIDIO
di Giuseppe Palma


Se da un lato i Trattati europei prevedono espressamente la facoltà per ciascuno Stato membro di recedere dall’Unione - articolo 50 del Tfue, Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea - ponendo come solo obbligo il rispetto delle disposizioni costituzionali e non anche – ad esempio - la predisposizione di un atto motivato (questo vuol dire che il recesso può avvenire senza che ricorra un legittimo o giustificato motivo di autotutela della sovranità e dell’ordine pubblico interno propri di un determinato Stato membro), dall’altro l’uscita dall’euro presenta certamente maggiori problemi (ma solo in apparenza).

I Trattati, infatti, non sono così chiari come nel caso di recesso dall'Unione.

Se da un lato gli artt. 139 e 140 del Tfue, prevedendo la distinzione tra Stati “la cui moneta è l'euro” e Stati in deroga, non escludono la possibilità per ciascuno degli Stati “la cui moneta è l'euro” di tornare allo status di Stato in deroga (in tal caso le predette norme andrebbero lette in parallelo con la Convenzione di Vienna), dall'altro il recesso dalla moneta unica può avvenire attraverso un atto di imperio da parte del Governo italiano, cioè un decreto legge emanato dall'esecutivo – che il Parlamento dovrebbe convertire in legge secondo il dettato costituzionale entro sessanta giorni – attraverso il quale si preveda il ritorno ad una moneta nazionale (da convertire 1:1 con l'euro) provvedendo altresì alla parallela e indispensabile conversione del nostro debito pubblico (il cui ammontare è per circa il 96% ancora sotto giurisdizione italiana) in nuova moneta nazionale (alla quale il Governo dovrebbe ovviamente attribuire valore intrinseco, cioè fissare l'imposizione fiscale in nuova moneta nazionale).

Il tutto, ovviamente, dovrebbe essere accompagnato dal necessario superamento dello scellerato divorzio avvenuto nel 1981 tra Banca d'Italia e Tesoro (per cui la Banca d'Italia dovrebbe tornare ad esercitare l'importantissima ed irrinunciabile funzione di prestatrice di ultima istanza) e dalla nazionalizzazione delle banche, le quali, invece di perseguire lo scopo della speculazione, dovrebbero tornare ad esercitare la funzione per la quale furono costituite, cioè quella di finanziare cittadini e imprese nell'interesse nazionale e nel perseguimento delle finalità costituzionali (lavoro, uguaglianza sostanziale, risparmio, credito e libera iniziativa economica)!

Del resto, nel caso si decidesse di far leva sul combinato disposto rappresentato dagli artt. 139 e 140 del Tfue e dalla Convenzione di Vienna, uscire dall'euro restando nell'Ue (vestendo quindi lo status di Stato in deroga) non risolverebbe affatto i nostri problemi in quanto saremmo comunque legati ai vincoli esterni, salvo si decidesse di non rispettarli più, ma in tal caso saremmo comunque esposti a procedure di infrazione da parte di Bruxelles.

Ciò detto, al fine di poter porre in essere tutte le misure necessarie allo scopo di risolvere le gravissime problematiche economiche e occupazionali cui versa il nostro Paese, la strada consigliata sarebbe quella dell'uscita dall'UE facendo leva sull'art. 50 del Tue e della parallela uscita dall'euro per decreto, con necessaria conversione del debito pubblico in nuova moneta nazionale e applicando - nell’interesse nazionale e secondo quanto già previsto dal codice civile – il principio della Lex Monetae.

A tal proposito si precisa che l'eventuale ritorno ad una moneta nazionale non significa tornare alla vecchia lira come l'abbiamo conosciuta, bensì ad una nuova moneta (da convertire 1:1 con l'euro e il cui cambio sarebbe stabilito di volta in volta dal mercato) che può chiamarsi in qualsiasi modo: nuova lira, fiorino, scudo, ducato, grano, eccetera.

A questo punto, una delle argomentazioni che gli euristi contrappongono all’uscita dall’euro è quello che gli italiani si vedrebbero impennare la rata del mutuo. Una sciocchezza che non ha senso.

E vi spiego il perché grazie al principio della Lex Monetae (combinato disposto degli artt. 1277, 1278 e 1281 co. I del codice civile).

Ma leggiamo l’art. 1277 co. I e II c.c.

“I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale. Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima”.

Questo articolo si applicherebbe qualora deflagrasse l’intera Eurozona con la conseguenza che non vi sarebbe più la moneta unica e quindi questa non avrebbe più corso legale in nessuno degli Stati che vi avevano aderito.

In tal caso i pagamenti andrebbero fatti in moneta legale (ad esempio la nuova Lira) ragguagliata per valore all’Euro, e il rapporto di cambio sarebbe uno a uno (il cosiddetto changeover, cioè il cambio “in uscita” e non, come sostengono alcuni sprovveduti, il cambio “in entrata”).

Ciò detto, qualora vi fosse una deflagrazione di tutta l’Eurozona (e quindi la fine dell’Euro), per noi non vi sarebbero eccessivi problemi perché troverebbe applicazione la norma di cui all’art.1277 c.c.!

I problemi sorgerebbero invece – quantomeno in apparenza – qualora ad uscire fosse l’Italia con parallela sopravvivenza dell’Eurozona e quindi della moneta unica.

A tal proposito leggiamo l’art. 1278 c.c. “Se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento”.

In tal caso il debitore potrebbe optare di pagare in Euro (e ciò sarebbe una iattura) oppure in moneta legale (la nuova Lira), con il rischio della svalutazione di questa nuova moneta (svalutazione che in questo preciso caso rappresenterebbe un’ulteriore iattura).

Per dirla con parole povere, ecco un esempio pratico: chi ha acceso un mutuo a tasso variabile, in caso di uscita dell’Italia dall’Euro potrebbe scegliere di pagare in Euro (che però non avrebbe più corso legale in Italia e quindi sarebbe difficile da procurare), oppure potrebbe optare di pagare in nuova moneta nazionale che tuttavia sarebbe soggetta a svalutazione, con conseguenze molto pesanti sull’ammontare delle rate di mutuo.

Ed è proprio qui che trova applicazione un altro dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico, ossia lex specialis derogat generali (la norma speciale deroga quella generale), richiamato espressamente in merito a tale argomento dall’art. 1281 co. I c.c.: “Le norme che precedono si osservano in quanto non siano in contrasto con i principi derivanti da leggi speciali”.

Il che vuol dire che il Governo, con il medesimo decreto di uscita, deve prevedere che i rapporti di debito e credito espressi in euro siano regolati in nuova moneta nazionale al cambio previsto alla data del changeover (1:1), e non a quella della scadenza del debito/credito (che ovviamente incorporerebbe la svalutazione della nuova lira).

Uscire dall’euro è possibile. Basta Volerlo.

E non mi si parli di referendum.

Se qualche forza politica italiana proponesse seriamente un referendum consultivo sull’euro (che al momento non è giuridicamente praticabile), dovremmo sostenere una campagna elettorale sotto il ricatto violento dei mercati, che spingerebbe i cittadini a votare (sotto costrizione) per la permanenza nell’eurozona.

Non credo proprio che gli italiani sarebbero disposti a sopportare un mese di campagna elettorale con lo spread alle stelle e con prelievi limitati agli sportelli bancari.

Per di più, dal punto di vista strettamente giuridico, la nostra Costituzione vieta espressamente referendum abrogativi sui Trattati internazionali, oltre a non prevedere alcuna forma di referendum consultivo.

Quindi quando sento qualcuno parlare di referendum sull’euro mi viene da ridere! Tuttavia, per onestà intellettuale, è bene ammettere che, se la riforma costituzionale renziana superasse la prova referendaria di ottobre, questa introduce referendum popolari propositivi e di indirizzo senza preclusioni su alcuna materia, ma in ogni occorrerebbe una successiva legge costituzionale che ne disciplini sia l’introduzione che la normativa.

In pratica, nelle migliore delle ipotesi, occorrerebbero almeno altri 3-4 anni perché si giunga ad una eventuale consultazione sull’euro come quella proposta ad esempio dal Movimento 5 Stelle, con tutti i problemi sopra richiamati.

Ciò detto, io mi sto impegnando in prima persona perché la riforma non passi il referendum confermativo di ottobre, non perché non voglia l’introduzione di referendum cosiddetti “consultivi”, ma perché si tratta di una riforma pessima che presenta una pericolosa e grave assenza di pesi e contrappesi.

Dall’euro, quindi, si può uscire solo per decreto, da emanarsi un sabato o una domenica, cioè a mercati chiusi. Punto.

Chi afferma il contrario non sa che cosa dice.
 

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