Unicredit (UCG) USURAunicredit (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
L’incredibile storia dell’imprenditore che ha sfidato Unicredit

15 gennaio 2016, di ROBERTO COSSU, IMPRENDITORE
Sono un imprenditore pugliese di 42 anni e scrivo da Taranto. La mia storia qualcuno la definisce incredibile ma aldilà di questo penso che sia giusto renderla pubblica anche per aiutare tanti imprenditori che come me si sono trovati in situazioni simili.
I fatti

Nell’ aprile 2013 denunciai UniCredit per usura ed estorsione presso la Guardia di Finanza di Bari, le indagine vennero avviate presso la procura competente e sono ancora in corso. In pratica lamentavo come molti imprenditori ormai negli ultimi tempi, la usurarieta’ di mutuo e fido di cc attraverso cui la mia impresa realizzó delle ville sul mare a vendersi……oltre al comportamento assolutamente ed inequivocabilmente ostruzionistico di alcuni funzionari della Banca. Nel frattempo la mia impresa era stata costretta a pagare alle stesse persone una
Moto vespa vintage;
Un viaggio per intera famiglia sul mare dello Jonio;
Un incarico tecnico a figlio di funzionario come coordinatore della sicurezza;
Vantaggi e regalie concesse nelle more di ottenere mutuo e quanto altro dalla banca, richieste velatamente con comportamenti a metà strada tra l’ estorsione e le minacce.
Ma aldilà di questa vicenda la beffa arriva recentemente quando apprendo attraverso la notifica presso il mio domicilio di un procedimento penale a mio carico promosso dalla stessa Banca che lamentava di aver subito per mia opera Sia la diffamazione che la tentata estorsione. Procedimento per cui il PM competente ha richiesto archiviazione a cui è succeduta una opposizione alla stessa ma che si è tradotta anche essa in un nulla di fatto tanto e’ che alcune settimane fa ho ottenuto il totale proscioglimento. La novità nella mia storia Anziché strapparmi i capelli, dimenarmi, piangere ai quattro venti ecc successivamente alla mia denuncia lo scrivente ha pensato bene di aprire una Pagina Facebook che si chiama “Usuraunicredit” oltre ad un dominio. La pagina è ancora attiva ed ogni giorno pubblica pensieri, riflessioni, notizie, verità scomode sulla” banca del Made in Italy”. Il sito invece è stato acquisito da UniCredit che avviò lo scorso anno una pratica dinanzi alla Wipo (l’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale con sede a Ginevra) dando vita ad un autentico arbitrato a cui mi sono doverosamente sottratto. Giudizio arbitrale conclusosi con l’accaparramento da parte di UniCredit del sito (oggi ovviamente spento) legittimando di fatto la proprietà intellettuale dell’usura. Ma la notizia è degna di rilevanza proprio per le motivazioni che il Gip di Bari dott Abbattista ha addotto a conforto dell’archiviazione, cioè a dire:
Il giudice afferma un principio ovvio quanto storico per la sua specificità e cioè che la Banca, in questo caso UniCredit in quanto soggetto di interesse pubblico e di proporzioni tali da svolgere un ruolo essenziale per la comunità, deve accettare le critiche anche se pungenti purché non travalichino i limiti della continenza pertanto un cliente, un imprenditore può esercitare questa critica dando vita ad una sorta di media Attraverso social come Facebook all’interno del quale esprimere idee e giudizi critici anche severi purché non si sconfini nella offesa gratuita e quindi nella rilevanza penale.
Il secondo principio è da ascrivere alle ottime capacità del mio avvocato, che è stato senza ombra di dubbio il primo a livello nazionale a smontare la procura attraverso cui la banca conferiva ad un suo dirigente la possibilità di denunciarmi. Procura dichiarata appunto dal giudice eccessivamente generica quindi invalida. Un errore alquanto grossolano da parte della banca nonostante abbia osato scomodare in questa occasione uno rinominato studio legale del bolognese.

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Oggi Usuraunicredit non è più soltanto una pagina, perché racchiude in se le esperienze, le vicissitudini , le battaglie di oltre 50 imprenditori sparsi per tutta Italia che sostengono la nostra missione. Un esercito invisibile di uomini a cui simpaticamente ho attribuito dei nomignoli d’arte che compaiono a più riprese nei nostri Post (Gigi Pallina, Gioacchino delle Birre, soldato caprone ecc solo per fare degli esempi).
Un aiuto alle piccole e medie imprese italiane

Oggi UsuraUnicredit rappresenta inoltre la sintesi di un percorso intrapreso anche attraverso la costituzione di un associazione da me fondata insieme ad amici e professionisti, l’OSSERVATORIO CIBERNETICO, il cui scopo essenziale è quello di salvaguardare e promuovere il Made in Italy nel mondo, non solo, anche aiutare le piccole e medie imprese Italiane a difendersi contro il crimine invisibile messo in atto da banche come UniCredit che stringono nella propria morsa piccole realtà ignare di politiche di sistema che le banche mettono in atto per assecondare logiche di profitto e di strategia che affossano la vera economia del paese.
Non amiamo i protagonismi ma personalmente sarei contento se la mia storia, la nostra storia sia di monito a tanti imprenditori che hanno perso la strada maestra e che credono oramai di non avere più alcuna possibilità di rinascita.

L’accanimento di UniCredit nei miei confronti, una pulce, un piccolissimo imprenditore che nulla poteva contro un colosso di proporzioni immani, risulta essere uno scandalo quanto scontato laddove la banca ha visto nella mia persona e nella mia organizzazione un pericolo, proprio perché abbiamo rappresentato in sintesi la reazione atipica e asistemica che gli esperti non riescono a decifrare.

Il manuale comportamentale che ogni imprenditore dovrebbe adottare per non abbassare la testa e restare in superficie…




L'incredibile storia dell'imprenditore che ha sfidato Unicredit | Wall Street Italia
 

tontolina

Forumer storico
Riflessione nell'accingerci alla data del 29 luglio, ovvero alla data di presentazione dei risultati degli stress test condotti su circa il 70% delle banche europee, e nel caso specifico dell' Italia: Intesa Sanpaolo, UniCredit, Monte dei Paschi, Ubi e Banco Popolare.
Mi piacerebbe anzitutto fare alcune precisazioni doverose. Il procedimento di stress test, rientra nel più ampio procedimento di Comprehensive Assestment (letteralmente "valutazione globale") introdotto con la costituzione dello stesso Sevif (Sistema europeo di vigilanza sugli intermediari finanziari). Il Comprehensive Assestment a sua volta si compone di due "sottofasi". La prima è quella relativa ad una valutazione retrospettiva della qualità degli attivi delle banche, mediante il c.d. procedimento AQR (Asset Quality Review), sul quale non mi soffermo. La seconda fase, che viene svolta a partire dei risultati post-AQR, prevede invece delle simulazioni di scenario, ovvero "stress test", volte a testare come una determinata banca si comporterebbe sotto determinate condizioni di mercato, a seconda della propria struttura finanziaria/patrimoniale, e sulla base delle attuali regole di vigilanza stabilite dai diversi Accordi di Basilea. Più precisamente lo stress test (effettuato sulla base delle regole stabile nel "single rule book" dell'Eba), viene effettuato su due scenari (le cui condizioni macro di scenario sono formulate/ipotizzate da parte dell'ERSB) , denominati rispettivamente "baseline" e "adverse", e su un orizzonte temporale di 3 anni. In entrambi i casi, l'obiettivo è quello di valutare la "tenuta" del c.d. CET 1 RATIO, determinato sulla base degli accordi di Basilea 3. Quest'ultimo dovrà essere pari ad almeno l'8% in TUTTI gli anni dello scenario baseline, ed almeno al 5.5% in TUTTI gli anni dello scenario "adverse".
A test completato, gli istituti che presenteranno eventuali "shortfall" patrimoniali hanno tempo 6 mesi (9 mesi nel caso dello scenario adverse) dalla pubblicazione dei risultati, per porre in essere incrementi del Common Equity Tier, e "risanare" la loro situazione. In altre parole per farlo, gli istituti possono porre in essere misure quali: aumenti di capitali, cessione di asset, e tutte le altre cose che ben sappiamo.
Infine, un elemento nuovo rispetto ai precedenti stress test effettuati in passaro riguarderà la c.d. «capital guidance», una metrica che non appariva nei precedenti test e che si pone al di là dei requisiti obbligatori e non costituisce in nessun modo parte dei requisiti minimi. L’Eba ha sottolineato che l’introduzione della «capital guidance» non potrà far scattare in modo automatico limitazioni sulla distribuzione di dividendi o sui bonus. Un elemento aggiuntivo, dunque, ma ininfluente sul cosiddetto MDA , maximum distributable amount. In seno ai regolatori si sta valutando se farlo diventare parte integrante dei capital plan, e al tempo stesso se comunicare la "capital guidance" al mercato. Certo è che, qualora sia fatta disclosure al mercato, è difficile che agli occhi degli investitori la “capital guidance” non diventi da subito un riferimento a cui guardare.

La decisione di non porre un limite netto, una soglia fra banche promosse e banche bocciate, nasce dal fatto – come l’Eba aveva già precisato in febbraio – che l’esercizio non avviene più in un quadro di crisi finanziaria, nonostante le difficoltà del sistema del credito siano ancora evidenti . E potenzialmente ora aggravate dalle ricadute di Brexit.

Ma, spiegazione a parte, viene da chiedersi qual'è allora la situazione patrimonale delle banche italiane che vengono sottoposte a tale procedura. Le elencherò in ordine di CET 1:
1) Intesa San paolo : 13,4 %
2) Ubi Banca ; 13,0 %
3) Banco Popolare : 12,75 %
3) Mps : 11,98 %
4) Unicredit : 10.53 %

Già ad occhio, balza come istituti quali Unicredit e Mps, siano di per sè già molto vicini ai valori "limite" degli scenari sopra indicati. Da qui l'apparente ovvia conclusione che appare poco plausibile il superamento degli stress test di Ucg e Mps, specie per quanto riguarda lo scenario "adverse".

Rientrerebbero pertanto in quest'ottica le recenti decisioni di Unicredit di dismettere il proprio 10% della controllata Fineco (incasso di 350 mln circa) e di un altro 10 % del "gioiellino" polacco di Bank Pekao (incasso circa 730 mln) di cui Ucg controllava circa il 50%), e si ipotizza ora anche un'altra cessione a breve dell'altro "gioiellino" turco di Yapi Kredi (pensate che sia Pekao che Yapi incidono per il 40% sull'utile di Unicredit). Tutte mosse poste in essere dal nuovo a.d. di Unicredit Mustier (che per chi non lo sapesse, è colui che a suo tempo fece fallire, sotto la sua guidance, l'istituto di credito francese Sociètè Generale, sempre a suon di dismissioni e cessioni di asset, dopo aver incagliato la banca in miriadi di sofferenze a seguito di politiche di investimento parecchio discutibili ). Ma si tratta, comunque, di soluzioni che altro non sono che una goccia nell'oceano di problemi dell'Istituto, che si stima dovrebbe varare un adc a breve tra i 5 ed i 9 miliardi


La stessa corsa contro il tempo sembra essere stata intrapresa da Mps, che dovrà in qualche modo risanare 10 miliardi di sofferenze nette irrecuperabili definitivamente (cifra richiesta dalla Bce all’istituto di credito toscano in una lettera di qualche giorno fa). In totale i crediti deteriorati sono 47 miliardi ma quei 10 miliardi sono proprio le sofferenze nette, per le quali non c’è nessuna speranza di rientro. Qui la soluzione sembra voler passare per vie "traverse", con l'ancora ipotetico Antlante Bis, il quale dovrebbe occuparsi "unicamente" dei No performing loans delle banche, in primis Mps. O come seconda ipotesi vi sarebbe in preparazione una sorta di "ricapitalizzazione preventiva" , che vedrebbe la partecipazione del Tesoro o di Cdp. E' di fatto una possibilità prevista dalla direttiva europea sul bail in (BRDB Directive) perché gli altri azionisti si diluiscono, o meglio si accollano parte delle perdite.

Ma veniamo anche a Banco popolare, la quale come noto ha già effettuato l'adc, come richiesto da Bce, in ottica fusione con Bpm. Eppure, alcune banche d'affari come Morgan Stanley ( per quanto io sia il primo a dire di diffidare delle analisi di MS, GS, e compagnia bella) hanno stimato che nello scenario "adverse" Banco Popolare arriverebbe ad avere un Cet 1 Tier addirittura leggermente negativo (-1,5%), anche se recentemente la Banca d'affari Usa ha corretto il tiro ammettendo di essersi sbagliata, commettendo l'errore grossolano, di andare a contabilizzare male costi e proventi d'esercizio. In estrema sintesi, quel Cet1 è stato ottenuto sottraendo ai costi complessivi (tre voci che sommate danno 7.621 miliardi) i proventi operativi della banca, che ammontano a 2.117 miliardi (dato 2014 calcolato con scenario avverso). Il risultato della sottrazione è 5,5 miliardi, ma Morgan Stanley calcola 6,2 miliardi: da qui il Cet1 a -1,6%. Negli ultimi giorni, Ms ha ammesso lo sbaglio, ma pur di non fare mea culpa totale, ha detto che, pur rifacendo i calcoli correttamente, il Cet1 nello scenario adverse sarebbe in ogni caso prossimo quasi allo 0 (0.75 % precisamente), Questo giusto per sottolineare, quanto non ci possa fidare delle loro analisi.

Più rosea invece la situazione per altri istituti come Intesa e Ubi, che come noto sono tra le migliori in italia in termini sia di coefficienti patrimonali, sia in termini di "collateral", ovvero garanzie sugli attuali crediti in sofferenza.
Se ci si pensa, basta guardare i grafici di ciascuna delle suddette banche, per capire come il mercato "prezzi" differentemente i risultati degli stress test da ormai inizio anno. Mps, Ucg, e Banco popolare sono infatti le banche che perdono di più da inizio anno. Al primo posto Banco Popolare con il -75% circa, e a seguire Mps e Ucg rispettivamente con -72% e -57% di perdita da inizio anno. Il mercato, infatti, sconta già da tempo questi scenari. E le perdite associate a tali titoli da inizio anno, vanno, a mio avviso, considerate come la "probabilità" che effettivamente il mercato associa a tali titoli di andare ad incorrere in situazioni poco felici in futuro.

Ovviamente, a questo ci si può aggiungere quello che vuole: speculazione, diffidenza, o semplicemente avversione al rischio. Aggiungiamoci anche l'incapacità del governo nazionale di trovare soluzioni credibili, vuoi per vincoli imposti a monte dalla normativa europea, vuoi per colpa del lasseiz fair della nostra politica, che non ha risolto i problemi degli istituti PRIMA che entrassero in vigore le norme sul divieto di c.d "salvataggi di stato delle banche", come invece hanno pensato di fare invece Germania e Francia.

Insomma, la situazione non è tra le più rosee sicuramente. Si possono fare tutte le ipotesi che si vogliono partendo dalla realtà attuale. Ma soltanto, il 29 luglio si avrà chiarezza. A mio avviso, potremmo assistere a una dissipazione improvvisa della speculazione ribassista su (alcune?) banche, oppure assistere a una sorta di crudele selezione del mercato, che ergerà a sè vinti e vincitori. E come al solito, quelli che ci rimetteranno, saranno sempre coloro che hanno pagato il prezzo della malagestione degli istituti di credito, ovvero gli azionisti, come purtroppo sempre è accaduto.
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Banche sistemiche, Unicredit svetta tra le peggiori
8 luglio 2016, di Mariangela Tessa
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NEW YORK (WSI) – Nubi nere su Unicredit che svetta al primo posto nella classifica delle 20 peggiori banche mondiali. È quanto si legge in un’analisi di Marketwatch ripresa dal Wall Street Journal, dalla quale emerge che, nel primo semestre del 2016, le 20 banche a rilevanza sistemica, quelle il cui collasso determinerebbe una crisi finanziaria mondiale hanno bruciato un quarto del loro valore capitalizzato, pari a 465 miliardi di dollari.

Secondo l’analisi, Unicredit sarebbe l’istituto che ha sofferto di più la volatilità dei mercati, registrando la performance peggiore tra le 20 big con un valore in flessione del 64%, attualmente scambiata al 21% del suo valore libro.


Tutto questo mentre oggi il settimanale inglese The Economist ha dedicata alle banche italiane la copertina, definite “traballanti” e sull’orlo del precipizio. Fra le cause, un debito pubblico al 135% del pil, un tasso di occupazione delle persone adulte ai minimi in Europa esclusa la Grecia, un’economia “moribonda” da anni, soffocata da troppe leggi e una produttività flebile.

Sul fronte opposto, la JP Morgan Chase che sembra essere la banca che ha resistito meglio agli scossoni degli ultimi mesi, causati non solo alla Brexit ma anche alla crisi del petrolio e dei listini cinesi: l’istituto americano ha riportato perdite dell’11% e oggi viaggia a un prezzo vicino al suo book value.

In linea generale, le banche statunitense sono quelle che meno hanno subito batoste da questo periodo di turbolenze se rapportate agli istituti europei. Alle spalle di JP Morgan troviamo, Wells Fargo (-14%), Morgan Stanley (-20%), Goldman Sachs (-20%), Citigroup (-21%) e Bank of America (-24%).

In Europa, oltre a Unicredit hanno riportato perdite significative nelle quotazioni di borsa anche Credit Suisse (-50%), Deutsche Bank (-47%); Barclays (-47%), Ubs (-38%) e Société Générale (-37%).
 

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