News, Dati, Eventi finanziari sara' vero................ (1 Viewer)

mototopo

Forumer storico
Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest

Fact Checking alle argomentazioni PRO-EURO: smontate una per una





euro-break.jpg








PREMESSA: LE ARGOMENTAZIONI A FAVORE DELL’USCITA DELL’EURO
Da tempo scrivo sulla questione Euro, ed irrimediabilmente, a valle di articoli argomentati di analisi e numeri, mi ritrovo contestazioni sulla questione. Si badi bene che non ho scoperto l’acqua calda, ma semplicemente ho visto le tesi ed il dibattito internazionale, ed interpretandoli, li ho condivisi coi lettori. Le tesi che la crisi che attanaglia l’Euro-zona e’ una crisi che nasce dal fatto che s’e’ introdotta una Valuta unica (Euro) senza fare prima tutte le cose necessarie a far funzionare il meccanismo (armonizzazione mercati del lavoro e sistemi fiscali, meccanismo trasferimenti interno, unione politica) e che portano inevistabilmente a squilibri legati ad una crisi di bilancia dei pagamenti e’ opinione condivisa da Krugman, Roubini, Manchau, Bagnai, etc.
Qui gli articoli sul tema piu’ importanti:
Capire la Crisi dell’Europa in 9 slides (per Super-Dummies)(clicca sul titolo per aprirlo)
Esclusiva – L’Intervista in forma integrale all’economista Alberto Bagnai – Euro e Crisi (clicca sul titolo per aprirlo)
Esclusiva Analisi: simulazione di cosa accadrebbe con e senza EURO. (clicca sul titolo per aprirlo)
EURO: Analisi di dettaglio del perche’ all’Italia conviene uscire (clicca sul titolo per aprirlo)
Analisi della Svalutazione del 1992-1995 (clicca sul titolo per aprirlo)
LE ARGOMENTAZIONI DEL RIMANERE NELL’EURO
Le argomentazioni a favore del restare nell’Euro che ho avuto modo di leggere sui Media nazionali ed internazionali, non sono MAI numeriche ed analitiche, ma tendenzialmente sprezzanti e senza alcun background storico. Generalmente si basano su 2 concetti:
a) Introdurre il concetto di PAURA attraverso falsita’ o verita’ parziali (ripeto MAI supportate da dati)
b) Demolire le tesi altrui con argomentazioni MORALI
Ovviamente sono le stesse tesi che il Potere, attraverso i media vuole che passino nelle masse, e guarda caso ci riesce benissimo. Comunque, ipotizziamo che siano in buona fede ed analizziamole, e lo facciamo come di consueto non con Filosofia o Leviatani, ma con Dati, Numeri e Logica, nella speranza di vedere sulla questione un Dibattito onesto ed analitico:
1) LA CRISI EUROPEA E’ LEGATA AI DEBITI ED AGLI SPRECHI DEI PAESI PERIFERICI
FALSO terroristico. Nell’epoca euro nei periferici i conti pubblici dei periferici hanno avuto andamenti migliori rispetto a quelli Tedeschi (in Germania e Francia il Debito pubblico e’ salito, mentre nei periferici in genere e’ sceso). Gli squilibri sono stati nel settore privato e nei debiti esteri. I periferici hanno senza dubbio problemi (che vanno affrontati) ma la crisi ha evidentemente cause diverse.


gpg1-107-Copy-Copy.jpg


2) IL RITORNO ALLE VALUTE NAZIONALI E’ UN SALTO NEL BUIO
FALSO ideologico. Le valute nazionali sono la norma da secoli, mentre le Valute Sovrannazionali (o l’aggancio a Valute estere, adottandole o fissando cambi fissi) e’ l’eccezione, ed ha sempre portato alla disgregazione del sistema, per la creazione di squilibri non governabili.

gpg1-109-Copy-Copy.jpg


3) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE VI SAREBBE UNA SVALUTAZIONE PAUROSA, DEL 40, 50 O 60%
FALSO storico. Quando vi sono state svalutazioni (conseguenza di rottura di sistemi a cambi fissi), l’entita’ delle svalutazioni e’ generalmente pari, a parte oscillazioni iniziali, al differenziale di inflazione accumulato nel periodo a cambi fissi con la nazione piu’ forte cui si e’ adottato il cambio. Non lo dico io, lo dice la storia economica mondiale.

gpg1-110-Copy-Copy.jpg


4) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE VI SAREBBE UN’INFLAZIONE GALOPPANTE, un litro di latte o di benzina costerebbe 5.000 Lire
FALSO storico. Quando vi sono state svalutazioni (conseguenza di rottura di sistemi a cambi fissi), l’inflazione e’ sempre stata pari ad una frazione dell’entita’ della svalutazione. L’abbiamo spiegato con dati in svariati articoli, ma repetita juvant. Anche qui lo dice la storia.

gpg1-111-Copy-Copy.jpg


5) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE I TASSI SAREBBERO GALOPPANTI
FALSO storico. Quando vi sono state svalutazioni (conseguenza di rottura di sistemi a cambi fissi), i tassi salgono prima delle svalutazione (proprio perche’ anticipano l’evento). Dopo la svalutazione immancabilmente, storicamente scendono. Qui l’Italia nel 1992.

ITALIA_tassi-di-interesse_1992_1993.jpg


6) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE l’ECONOMIA REALE SAREBBE MENO COMPETITIVA
FALSISSIMO. E’ vero il contrario e qui TUTTI gli indicatori dell’economia reale lo confermano. Ne allego uno per tutti: la produzione industriale della Germania e dell’Italia. Si vede chiaramente che l’Italia ha fatto decisamente meglio in coincidenza della svalutazione, mentre la Germania ha fatto meglio in regime di cambi semi-fissi (anni 80 fino al 1991) e con l’Euro (specie dopo il 2000). La cosa e’ riscontrabile su tutti gli indicatori e va estesa a tutti i paesi dell’euro. Vale comunque SEMPRE, in ogni esperienza storica a cambi fissi.

germany.jpg


7) LA MONETA E’ UN FALSO PROBLEMA, VISTO CHE IL MONDO E’ CAMBIATO E C’E’ LA CINA
FALSO da ignoranza. Non ci perdo troppo tempo visto che feci un’ampia analisi a riguardo che vi ripropongo: Analisi della Competitivita’ dell’Export di Italia, Germania e Cina: l’Italia resta piu’ temibile del Dragone per l’export tedesco

italia-germaniacina-2-by-gpg.jpg


8) PERCHE’ ATTACCHI L’EFFICIENTE E LAVORATRICE GERMANIA E DIFENDI GLI INEFFICIENTI ED IMMORALI PAESI PERIFERICI? LA GERMANIA STA ALL’EUROPA COME LA LOMBARDIA STA ALL’ITALIA.
FALSO macro-economico. Il paragone non regge per niente, perche’ la Lombardia da’ al resto l’Italia TRASFERIMENTI pari al 12% del suo PIL, la Germania un misero 0,3%. Questo numero da solo dice tutto.
Come ripetuto 1000 volte un unione valutaria fuziona se ci sono delle precondizioni: A) forti trasferimenti interni in sussidiarieta’ B) un mercato del lavoro ed un sistema legislativo e fiscale comuni C) Un centro politico unitari.
In Italia vi sono tutti e 3 questi fattori (sia pure con enormi storture), in Europa no. Qui trovate l’analisi completa: Lombardia sta ad Italia, come Germania sta ad Unione Europea? Non proprio….

germania-lombardia-300x127.jpg


9) SE USCIAMO DALL’EURO, LE ALTRE NAZIONI EUROPEE CI FANNO A FETTINE E METTONO BARRIERE.
FALSO terroristico. Anche qui c’e’ un evidente mancanza di logica e conoscenza della storia. L’affermazione sopra e’ insostenibile per 2 ragioni:
a) Se l’Italia esce dall’Euro, e’ evidente che ne uscirebbero almeno meta’ delle nazioni (nel caso minore) o tutte (piu’ realisticamente). Per esempio la sola uscita dell’Italia dall’EURO costerebbe alla Francia, restando questa ancorata alla Germania ed alla valuta unica, il passare da un Deficit Commerciale abnorme, ad uno immenso, con banali conseguenze. Se escono tutti o quasi, non vedo perche’ tutti debbano prendersela con l’Italia.
b) Storicamente, nelle varie crisi dove una valuta s’e’ sganciata da altre, non s’e' MAI verificato l’ingabbiamento commerciale del paese stesso, semplicemente perche’ impossibile da fare e perche’ sarebbe sconveniente nel medio periodo a chi lo attua. Avverra’ parimenti in Europa
10) SE USCIAMO DALL’EURO, PERDIAMO I TRASFERIMENTI DALL’UNIONE EUROPEA.
ECCHISSENEFREGA!!! L’Italia inspiegabilmente regala quasi lo 0,4% del suo PIL (piu’ della Germania), circa 6 miliardi all’anno di euro, al resto d’europa. Durante le crisi degli stati ha generano decine di migliardi di nuovo debito pubblico a favore di altri. Se usciamo dall’euro da questo punto di vista non potremo che guadagnarci.
11) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE SAREMO TUTTI PIU’ POVERI ED I CONTI PUBBLICI PEGGIOREREBBERO
FALSISSIMO. E’ vero unicamente se uno percepisce redditi in Italia e li spende all’estero. Ma per la quasi totalita’ dei residenti italiani accadrebbe il contrario. Tutte le simulazioni numeriche fatte all’estero dicono il contrario. Oggi siamo nell’EURO e stiamo conoscendo una depressione economica impressionante e mai l’economia italiana e’ andata peggio. Qui la nostra simulazione del PIL nominale restando ed uscendo dall’euro, sia del PIL nominale che del Debito.

gpg1-87-Copy-Copy-638x1024.jpg


12) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE L’ITALIA VEDREBBE ESPLODERE IMMEDIATAMENTE IL DEBITO PERCHE’ I DEBITO SONO IN EURO.
FALSO. Lo Stato onorerebbe il debito in valuta locale, non in euro (Lex Monetae). L’onere del debito non aumenterebbe; i creditori esteri hanno gia’ incorporato la svalutazione nello spread, ed anzi il tasso diminuirebbe. Inoltre come visto aumenterebbe il PIL nominale, comprimendo il debito stesso.
gpg1-89-Copy-Copy-588x1024.jpg

13) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE LA BANCA CENTRALE EUROPEA NON FINANZIEREBBE PIU’ IL NOSTRO SISTEMA BANCARIO, SI BLOCCHEREBBE QUALUNQUE PAGAMENTO E ESPORTAZIONE E CROLLEREBBE TUTTO
FANTASIOSO. Chiariamo il punto di vista secondo logica:
a) Se a svalutazione avvenuta i paesi CREDITORI bloccassero il nostro sistema bancario spingendo l’Italia al Default (ammesso che riescano nell’intento), altro non farebbero che spingere l’Italia a non ripagare i debiti verso essi stessi. Se facessero cosi’ sarebbero degli auto-lesionisti. Tra l’altro l’Italia ha un SALDO PRIMARIO ATTIVO e non avrebbe in caso di default necessita’ di finanziarsi all’estero.
b) Se torna la Valuta Nazionale, torna anche la Banca Centrale Nazionale, e quindi qualcosa che quasi certamente svanirebbe (la BCE), non si sa bene quali minaccie potrebbe compiere.
c) Le minaccie da che mondo e mondo si fanno per “evitare†un evento. Ad evento successo, la minaccia e’ un non senso.
d) Nornalmente i DEFAULT avvengono quando si esaurisce la CASSA. L’Italia ha una CASSA pari al 21% del PIL (oltre 300 miliardi di Euro) in Oro, Valute, Riserve, etc.
Direi che non c’e’ molto altro da aggiungere. Sull’ipotesi di blocco di ogni pagamento ed esportazione in europa, e’ un po’ come commentare l’ipotesi del ritorno della Peste Nera e delle 7 piaghe d’Egitto, per cui evito.
14) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE DILAGHEREBBE LA CORRUZIONE E LA BUROCRAZIA
FALSO Morale. Tutte le statistiche ed indicatori dicono che la posizione dell’ITALIA in tema di corruzione ed efficienza dei servizi pubblici (connessa con la burocrazia ed efficienza pubblica) durante l’era EURO e’ peggiorata.
15) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE SVANIREBBE LA DEMOCRAZIA, IL LIBERO SCAMBIO ED IL SOGNO EUROPEO
ROMANTICISMO ISTERICO. La struttura che muove le decisioni dell’Eurogruppo non ha niente di democratico.
L’imporre cicli di austerita’-recessione-poverta’-tracollo conti pubblici non ha niente di razionale ed UCCIDE IL MERCATO interno.
Il peggior nemico dell’Integrazione europea e’ proprio l’EURO, la costruzione folle che c’e’ alle spalle a governarlo e la follia della gestione della crisi che porta la crisi stessa ad essere eterna ed a perpetuare se’ stessa, ampliando le forze anti-europee e seminando le basi per la distruzione dell’Eurozona.
Tornare alle valute nazionali, con un mercato unico e’ la sola possibilita’ per l’Europa per ricominciare un percorso di unione politica, la cui unione valutaria sia l’ultimo anello della catena, e non il primo.
16) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE CI SAREBBE IL CAOS, MENTRE L’EURO DA’ STABILITA’.
FALSO EVIDENTE ANCHE AD UN CIECO. Il caos c’e’ adesso, da ormai 4 anni, grazie a questo ESPERIMENTO chiamato EURO. L’EURO ha introdotto RIGIDITA’ e non ha un sistema in grado GESTIRE GLI SQUILIBRI INTERNI. Coi cambi e le valute nazionali, queste avrebbero una forza conseguente alla forza degli stati stessi. In sintesi l’EURO e’ una costruzione artificiale che spinge ad una perenne crisi interna ed a contrasti in cui alla fine la spunta sempre il piu’ forte (cioe’ non l’Italia). TUTTI gli esperimenti di CAMBIO FISSO sono finiti in malomodo, SEMPRE (a meno di non aver fatto PRIMA un unione politica, dei mercati del lavoro, dei sistemi fiscali, etc).
17) IL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE E’ IMPOSSIBILE, PERCHE’ NON CI CONSENTIRANNO DI USCIRE. L’EURO E’ IRREVERSIBILE.
FALSO RELIGIOSO. La STORIA offre centinaia di casi di Imperi e situazioni irreversibile che immancabilmente sono crollati, a causa in primis delle proprie contraddizioni interne. E’ comunque ovvio che tecnicamente l’uscita non sia affatto cosa semplice, ma se c’e’ la volonta’ di fa.
18) L’EURO E’ UNA COSA BUONA PERCHE’ CI DA’ IL “FATTORE DIMENSIONALE PER COMPETERE†MENTRE CON LA VALUTA NAZIONALE SAREMO DEI NANETTI.
CONFUSI. Qui chi dice cio’ fa confusione tra l’UNIONE POLITICA EUROPEA (che non c’e') e l’EURO.
L’EURO in se’ non vuol dire niente di niente. Certamente, c’e’ chi ha l’ambizione di vedere l’EURO prendere il posto del DOLLARO come valuta di riserva e scambio mondiale, ed essere cosi’ in grado di imporre condizioni al resto del mondo, ma per fare cio’ oltre all’Unione Politica, Fiscale, Valutaria e dei mercati del Lavoro, bisognerebbe pure investire massicciamente in armamenti. Oggi tra l’altro l’EURO pesa nelle riserve delle banche centrali meno di quanto pesavano 15 anni fa le varie valute nazionali.
Vicino casa abbiamo la SVIZZERA ed in giro per il mondo tanti esempi di piccole nazioni che competono benissimo col resto del mondo. Quanto all’egemonia Mondiale, direi che l’Europa per una serie di ragioni (anche demografiche) puo’ tranquillamente scordarsela.
L’Europa, Euro o non Euro, puo’ tranquillamente continuare ad essere un area di libero scambio, e se vi fosse maggior coordinamento (e non certo la valuta unica) potrebbe andare in giro per il mondo cogliendo determinate opportunita’ che effettivamente il fattore scala puo’ facilitare.

doll.bmp


19) L’EURO CONSENTE A TUTTE LE NAZIONI PERIFERICHE DI ALLINEARSI ALLE NAZIONI PIU’ EVOLUTE, DIVENTARE PIU’ EFFICIENTI, SERIE, RESPONSABILI.
RISATA!!! Con l’EURO e’ accaduto OVUNQUE in Europa esattamente l’Opposto. E la cosa e’ ovvia: l’EURO deresponsabilizza proprio le nazioni piu’ deboli (la cosa e’ avvenuta grazie all’afflusso di capitali dal cuore d’europa alimentando l’economia reale).
20) COL RITORNO ALLA VALUTA NAZIONALE E’ VERO CHE L’ECONOMIA SI RIPRENDEREBBE, MA LA PRESENZA DI UNA CLASSE POLITICA IRRESPONSABILE POTREBBE VANIFICARNE I VANTAGGI
VERO. Questa e’ l’unica argomentazione che dal mio punto di vista regge, anche se siamo nel campo delle opinioni. Cio’ pero’ non spingerebbe nessuno, lucido di mente, a non tornare alla valuta nazionale. Non tornare alla valuta nazionale sta impoverendo l’Italia e mezza Europa ad una velocita’ mai vista, ed interompere tale processo e’ perfettamente razionale e logico.
CONCLUSIONI:
Il ritorno alla Valuta Nazionale, non risolve i problemi dell’Italia (di cui ho parlato tante volte e fatto proposte operative specifiche). Ma e’ altrettanto certo a mio avviso che una permanenza nell’euro non puo’ che spingere l’Italia verso un impoverimento complessivo nazionale, che non ha niente di taumaturgico. Per cui non c’e’ alcuna ragione razionale per non tornare alla Valuta Nazionale, preparandosi a tale evento (che personalmente ritengo inevitabile, come insegna la storia).
Il dibattito sull’EURO in Italia e’ assolutamente avvilente, perche’ come detto in calce, basato su pregiudizi morali e non su analisi, ricerche, dati e studio della storia. Mi auguro questo articolo spinga i lettori non tanto ad essere a favore o contro l’euro, quanto ad affrontare questi argomenti in modo serio, logico ed analitico, supportando le proprie tesi in modo dovuto, come abbiamo cercato di fare in questo lungo articolo.
__________________
 

mototopo

Forumer storico
#



Sovranità monetaria, cosa ne pensava la Banca d’Italia nel lontano 1973 →
Come si finanziava l’Italia prima del divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia (Parte 5)

Pubblicato il 15 settembre 2013 di memmttoscana
Quinta puntata della serie dedicata all’analisi storica e politica del mercato del lavoro in Italia (qui trovate la Parte 1; Parte 2; Parte 3 e Parte 4) e alla sua relazione con i vari shock di politica economica occorsi a partire dall’inizio degli anni ottanta: dal divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia, all’indomani dell’entrata italiana nello Sistema Monetario Europeo (SME), fino alle politiche fiscali intraprese dai governi che si sono succeduti; per chiudere poi con lunga fase di crescente liberalizzazione del mercato del lavoro.
Oggi parleremo di come si finanziava il governo (cioè di come il Tesoro finanziava la propria spesa) prima del divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia.
Prima del divorzio i canali di finanziamento del Tesoro presso la Banca d’Italia erano sostanzialmente due. Il primo era il cosiddetto “Conto corrente di Tesoreria”. Esso era un vero e proprio conto corrente bancario detenuto dal Tesoro presso la Banca d’Italia già a partire dal dopoguerra, nel quale come spiega questo documento pubblicato dalla Banca d’Italia (La Banca d’Italia e la Tesoreria dello Stato di Giuseppe Mulone, 2006, p.33):
confluivano giornalmente gli introiti e gli esiti in contanti eseguiti da tutte le sezioni di tesoreria. In un primo tempo, lo sbilancio del conto a debito del Tesoro fu fissato, in cifra fissa, nell’ammontare massimo di 50 miliardi di lire; successivamente (D.lgs. 544/48) la misura massima di indebitamento venne rapportata al 15 per cento del complessivo importo degli originari stati di previsione della spesa approvata dal Parlamento e delle successive variazioni di bilancio. In seguito, la L. 13/12/1964, n. 1333, in relazione alla mutata classificazione delle spese, ridusse tale percentuale al 14 per cento. I provvedimenti del 1948 prevedevano che ogni qual volta dalla situazione mensile della Banca d’Italia risultasse uno sbilancio a debito del Tesoro superiore al limite prestabilito la Banca stessa ne desse comunicazione immediata al Ministro del Tesoro per gli opportuni provvedimenti. Qualora l’indebitamento al Tesoro non fosse rientrato nei limiti di legge entro 20 giorni dalla suddetta comunicazione, la Banca d’Italia non doveva dare corso a ulteriori pagamenti di tesoreria fino a quando, a seguito di introiti o versamenti fatti dallo stesso Tesoro, lo sbilancio del conto corrente non fosse rientrato nel limite. Il meccanismo non mirava in teoria a facilitare il finanziamento della Banca d’Italia al Tesoro, ma solo ad assicurare a quest’ultimo una elasticità di cassa, attraverso la creazione di uno strumento di carattere temporaneo come una linea di credito e che non costituisse un vero e proprio finanziamento.
In pratica, come ricorda l’attuale Presidente della Bce, Mario Draghi, il Tesoro aveva la possibilità di “attingere a un’apertura di credito di conto corrente presso la Banca per il 14 per cento delle spese iscritte in bilancio” (Fonte: L’autonomia della politica monetaria. Una riflessione a trent’anni dalla lettera del Ministro Andreatta al Governatore Ciampi che avviò il “divorzio” tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, 2011, p. 2-3)
Ossia, “il Tesoro poteva spendere sopra le proprie entrate utilizzando un ‘diritto di scoperto’ sul conto accentrato presso l’Istituto di emissione; diritto consentito fino al 14 per cento della spesa di bilancio” (Fonte: L’indipendenza della Banca d’Italia dal Governo negli anni Ottanta: cause interne e internazionali di Maria Luisa Marinelli, 2011, p. 148)
Il Tesoro quindi poteva cioè finanziare tramite la Banca d’Italia le spese iscritte nel suo bilancio preventivo (quindi non ancora materialmente effettuate) per un ammontare pari al 14 per cento del loro totale. Facciamo un esempio per capire meglio: supponiamo che il Tesoro decidesse di effettuare una spesa per un ammontare totale di 100, iscrivendo questa spesa nel suo bilancio preventivo, la Banca d’Italia a quel punto avrebbe dovuto garantire al Tesoro uno scoperto di conto pari a 14.
Il secondo canale di finanziamento del Tesoro presso la Banca d’Italia fu introdotto con la riforma del mercato dei Bot (Buoni ordinari del Tesoro) del 1975. A partire da quella data, come ricorda il solito Draghi, la Banca d’Italia si era “impegnata ad acquistare alle aste tutti i titoli non collocati presso il pubblico, finanziando quindi gli ampi disavanzi del Tesoro con emissione di base monetaria”. Anche Draghi, dunque, conferma quello che ci ha già detto Andreatta: la Banca d’Italia si impegnava a “garantire in asta il collocamento integrale dei titoli offerti dal primo” (Fonte). E questo era un fatto di enorme importanza per il Tesoro, dal momento che “gli interventi della Banca centrale alle aste dei titoli servivano a mantenere il tasso d’interesse a un livello stabilito, compatibile con l’esigenza del Tesoro di finanziarsi relativamente a buon mercato: semplicemente se il mercato non voleva i titoli al tasso stabilito dal Tesoro, la Banca d’Italia li acquistava, immettendo così moneta fresca nel sistema. Il Tesoro, certo, le pagava interessi, ma la Banca d’Italia poi glieli restituiva, e quindi per il Tesoro questo era debito a costo zero, equivalente al finanziamento di una parte del fabbisogno con moneta, la cosiddetta ‘base monetaria creata dal canale del tesoro’” (Il Tramonto dell’Euro di Alberto Bagnai, 2012, p. 184).
Facciamo un esempio: il Tesoro decide di offrire al mercato l’equivalente di 100 in titoli di Stato a un tasso d’interesse fissato del 3 per cento (faccio notare che il tasso veniva fissato dal Tesoro stesso, non dal mercato come avviene oggi). Ipotizziamo adesso che il mercato avesse deciso di acquistare solamente 80 di questi titoli. Cosa sarebbe successo a questo punto? Si sarebbe scatenato il panico perché non ci sarebbero stati sono i soldi per finanziare la spesa per scuole, ospedali, infrastrutture? Niente affatto. A quel punto la Banca d’Italia sarebbe intervenuta, acquistando gli altri titoli, equivalenti a un controvalore di 20. “E la Banca d’Italia – si chiederà qualcuno – dove prendeva questi soldi?”. Semplice: li creava dal nulla, trasferendoli poi sul conto corrente detenuto dal Tesoro presso di essa. Come conseguenza la Banca avrebbe poi registrato i titoli acquistati alla voce attivi sul suo bilancio e l’incremento equivalente operato sul conto del Tesoro fra i passivi. A questo punto, il Tesoro avrebbe potuto tranquillamente spendere quel denaro, che indovinate un po’ a chi finiva? Ai privati. Sotto forma di reddito diretto (lo stipendio di un impiegato comunale, di un insegnate, di un medico…) o di reddito da interesse percepito dai detentori dei titoli del debito pubblico (parleremo della differenza nella distribuzione di questa spesa).
“Sì, ma in questo modo – si potrebbe obiettare – il Tesoro non si sarebbe indebitato con la Banca d’Italia?”. La risposta è no, dal momento che la vendita di titoli da parte del Tesoro alla propria Banca Centrale, a differenza di quanto erroneamente pensano in molti (ogni riferimento ai signoraggisti è puramente voluto), non costituisce affatto un indebitamento reale verso essa. Come spiega l’economista francese Alain Parguez, infatti, tale procedura costituisce una semplice operazione contabile “fittizia”: “la quota di disavanzo che non è assorbita dalla vendita di obbligazioni [presso il mercato, nda] viene assorbita dalla vendita fittizia di tali obbligazioni alla Banca Centrale. Si tratta della cosiddetta componente ‘monetaria’ del vincolo di bilancio” (Parguez A., The Tragedy of Disciplinary Fiscal Economics or Back to the Ancien Régime, 29th Annual Conference of the Eastern Economic Association, New York, 2003)
Tesoro e Banca d’Italia agiscono, in questo caso, di concerto, ma è il primo a indirizzare l’operato della seconda, stabilendo l’ammontare della spesa, la quantità di titoli da emettere e il tasso d’interesse al quale offrire quei titoli. In quest’ottica, dice sempre Parguez, bisogna considerare “l’esistenza della Banca Centrale come ramo bancario dello Stato. Nel bilancio della Banca Centrale, la controparte del deficit [pubblico, nda] si traduce nell’accumulo sul lato delle attività di titoli del debito pubblico ad un tasso di rendimento fissato dal Tesoro. In questo caso il debito pubblico non è altro che un debito che lo Stato ha con sé stesso” (Parguez A., The true rules of a good management of public finance, mimeo, 2010).
E anche Luigi Spaventa, per citare un noto ed eminente economista italiano, riconosceva candidamente questo fatto già nel lontano 1984. Leggete cosa scriveva: “lo stock di base monetaria creata tramite il canale del Tesoro può essere considerato un debito solo convenzionalmente. Ciò si vede bene qualora si consolidi il Tesoro con la Banca Centrale: in questo caso manca un vero e proprio debito corrispondente alla base monetaria creata dalla Banca d’Italia per conto del Tesoro, e in ciò consiste l’essenza del potere del signoraggio” (Spaventa L., La crescita del debito pubblico in Italia: evoluzione, prospettive e problemi di politica economica, Moneta e Credito, Volume n. 37 , Fascicolo n. 147, 1984).
Il punto fondamentale da capire è che anche governi che dispongono della piena sovranità monetaria tendono a creare assetti istituzionali che (operativamente parlando) separano l’azione svolta dal Tesoro e dalla Banca Centrale (i motivi possono essere molteplici e sicuramente il principale è l’incomprensione di fondo di come funzionano i sistemi monetari, oltre a un preciso orientamento ideologico di fondo contro lo Stato e la sua inefficienza, la spesa pubblica…). Ma, nella sostanza, questa divisione di ruolo non intacca il fatto che il potere di emissione di monetaria, essendo emanazione del potere che Parlamento e Governo esercitano in nome del popolo sovrano, sia nelle mani del Tesoro. E l’Italia prima del divorzio ne era un esempio lampante.
Per capirlo, vediamo passo dopo passo cosa avveniva durante il processo di vendita di titoli di Stato da parte del Tesoro alla Banca d’Italia. Dunque, ipotizziamo che la Banca d’Italia acquistasse dal Tesoro un ammontare di titoli di Stato pari a 100. Questa sarebbe stata la situazione nei rispettivi bilanci: la Banca d’Italia registra fra le attività i titoli di Stato acquistati e fra le passività l’incremento equivalente messo a disposizione sul conto corrente del Tesoro; specularmente il Tesoro metterà al passivo i titoli di Stato venduti alla propria Banca Centrale e all’attivo l’incremento equivalente del suo conto. Ecco un’immagine per esemplificare il tutto:
Notate subito una cosa: se consolidiamo i bilanci di Tesoro e Banca d’Italia di fatto non esiste un indebitamento del Tesoro (come scriveva lo stesso Spaventa), passività e attività si compensano a vicenda; ma, questa semplice operazione contabile “fittizia” (Parguez) permette al Tesoro di creare dal nulla i fondi necessari a finanziare la sua spesa.
Il Tesoro dunque effettua la sua spesa: ipotizziamo che sia equivalente a 100 per costruire una scuola; paga le aziende incaricate di realizzare l’opera accreditando i loro conti correnti detenuti presso le varie banche private (per semplicità ipotizziamo che ci sia una sola banca commerciale che rappresenta di fatto l’aggregato di tutte le banche commerciali esistenti). Ecco la nuova situazione (vi consiglio di aprire l’immagine in una nuova scheda, basta cliccarci sopra):
Andiamo con ordine: il Tesoro ha effettuato la sua spesa e dunque il saldo del suo conto corrente presso la Banca Centrale diventa zero; i soldi spesi dal Tesoro sono finiti ad aziende e famiglie che hanno lavorato per costruire la scuola, che (per ora) decidono di lasciarli in banca sotto forma di depositi; la banca commerciale registra fra le passività il denaro che famiglie e aziende detengono presso di essa, dal momento che quelli sono soldi che la banca “deve” ai propri clienti; allo stesso tempo, però, contemporaneamente all’aumento dei depositi la banca commerciale vede crescere in egual misura anche le sue riserve detenute presso la Banca Centrale (utilizzate per regolare i pagamenti con le altre banche e per far fronte alla riserva obbligatoria).
Facciamo un ulteriore passo avanti: ipotizziamo (realisticamente) che famiglie e imprese non detengano tutte le loro attività sotto forma di depositi ma che decidano di detenere una quota delle loro attività sotto forma dei contanti (circolante), per esempio 10. In questo caso avremo una variazione che coinvolge i bilanci della banca commerciale e della Banca Centrale. Ecco come:
Adesso, arriviamo a un punto cruciale (attenzione: capire questo significa capire uno snodo importante del funzionamento delle operazioni effettuate dalla Banca Centrale!): ipotizziamo che la Banca Centrale imponga un obbligo di riserva alle banche commerciali pari al 10 per cento dei loro depositi. Nel nostro esempio i depositi delle banche commerciali ammontano complessivamente a 90, dunque le banche commerciali saranno obbligate a detenere a riserva obbligatoria 9 di questi 90. La domanda fondamentale a questo punto è: cosa faranno le banche con le riserve in eccesso, quelle che non sono obbligate a detenere presso la Banca Centrale, nel nostro caso 81? Le possibilità sono solamente tre:
1) Le banche commerciali possono mantenere le riserve in eccesso presso la Banca Centrale e percepire un interesse piuttosto modesto su di esse (oggi, per esempio, nell’Eurosistema questo tasso d’interesse, chiamato deposit facility, è pari a zero).
2) Le banche che hanno un eccesso di riserve possono prestarle (sul mercato interbancario) a quelle che hanno carenza di riserve e devono far fronte alla riserva obbligatoria. Ma, come avviene nel nostro esempio, se in aggregato le banche commerciali hanno un eccesso di riserve significa che complessivamente una volta che tutte le banche sono in grado di far fronte all’obbligo di riserva permarrà una situazione di eccesso di liquidità; quindi le banche cercheranno di piazzare queste riserve in eccesso in vista di guadagni maggiori. E qual è la loro unica opzione?
3) Nel momento in cui il rendimento dei titoli di Stato si colloca anche leggermente al di sopra del tasso d’interesse percepito sulle riserve in eccesso detenute presso la Banca Centrale e del tasso d’interesse interbancario (quello al quale le banche si prestano denaro fra di loro), è nell’interesse delle banche commerciali liberarsi di quelle riserve in modo da ottenere un’attività sicura, facilmente scambiabile ed estremamente liquida, con un rendimento maggiore. Ecco quindi che esse saranno ben liete di acquistare dalla Banca Centrale i titoli di Stato (sul perché la Banca decida di venderli parleremo in uno dei prossimo post in cui vedremo come la Banca Centrale fissa il tasso d’interesse di riferimento).
Ecco quindi la nuova situazione che si viene a creare:
Dunque, riepilogando, questa è tutta le sequenza che abbiamo visto:
1) Il Tesoro emette dei titoli di Stato, li vende alla propria Banca Centrale sul cosiddetto mercato primario (la Banca d’Italia fino al 1981 era obbligata ad acquistare tutti quelli non venduti in sede d’asta).
2) Il Tesoro effettua così la propria spesa a favore dei privati (costruzione di ospedali, scuole….) e accredita i conti correnti delle aziende e famiglie incaricate di eseguire il lavoro.
3) Il denaro così immesso nel circuito bancario crea un eccesso di riserve bancarie rispetto agli obblighi di riserva. Le banche commerciali avranno quindi tutto l’interesse ad acquistare sul mercato secondario i titoli precedentemente acquistati dalla Banca d’Italia, dal momento che essi garantiscono un tasso d’interesse maggiore di quello che le banche otterrebbero lasciando le riserve in eccesso parcheggiate presso la Banca Centrale.
Questo meccanismo (che io ho esemplificato) trova piena conferma empirica in un paper pubblicato nel 2012 dalla Banca d’Italia (Monetary policy and fiscal dominance in Italy from the early 1970s to the adoption of the euro: a review di Eugenio Gaiotti e Alessandro Secchi) che a pagina 27 mostra l’ammontare netto di titoli di Stato (cioè la differenza fra i titoli acquistati dalla Banca Centrale e quelli ripagati dal Tesoro alla Banca stessa) acquistati dalla Banca d’Italia sul mercato primario (in blu) e di quelli scambiati sul mercato secondario da parte della Banca d’Italia con le banche commerciali (in grigio).
Come scrivono gli autori: “la figura conferma che gli acquisti di titoli di Stato (al netto, nda) sul mercato primario da parte della Banca d’Italia sono progressivamente aumentati durante gli anni settanta, raggiungendo il picco nel 1981, poi si sono rapidamente ridotti dopo il “divorzio” (cioè da quando la Banca d’Italia non era più costretta a garantire in asta il collocamento integrale dei titoli emessi dal Tesoro, ma poteva intervenire in via facoltativa, nda), sebbene siano rimasti positivi per il resto del decennio. [...] Negli anni novanta, dal momento che gli acquisti lordi sul mercato primario scesero a zero, il canale Tesoro distruggeva liquidità per un’ammontare pari ai titoli in scadenza detenuti in portafoglio dalla Banca d’Italia, mentre le operazioni sul mercato aperto creavano liquidità per fini di controllo monetario”.
In sostanza il grafico ci dice che nel momento in cui i titoli detenuti dalla Banca d’Italia giungevano a maturazione il Tesoro emetteva altri titoli, per un ammontare maggiore di quelli a scadenza e li vendeva alla Banca d’Italia. In sostanza il debito veniva ripagato emettendo altro debito che veniva venduto alla Banca d’Italia (ricordiamo che si tratta di una vendita “fittizia”, Parguez) e questo per tutti gli anni settanta e ottanta. Poi, con l’entrata in vigore il primo novembre 1993 del Tratto di Maastricht, viene vietata la “concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle Banche centrali degli Stati membri [..] a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle Banche centrali nazionali”. Il Trattato, inoltre, sancisce anche l’abolizione del Conto corrente di Tesoreria.
Come conferma il professore della Bocconi, Luca Fantacci: “Nessuno stato è in grado di ripagare i propri debiti. D’altro canto, gli stati non sono nemmeno tenuti a ripagare i loro debiti. I debiti degli stati, da quando hanno preso la forma di titoli negoziabili sul mercato, ossia da poco più di trecent’anni, non sono più fatti per essere ripagati, bensì per essere continuamente rinnovati e per circolare indefinitamente. I titoli di stato sono emessi, sono acquistati e rivenduti ripetutamente sul mercato e, quando giungono a scadenza, sono rimborsati con i proventi dell’emissione di nuovi titoli” (fonte).
Quindi, fino al 1981 il Tesoro aveva la possibilità di finanziare la propria spesa utilizzando (oltre alla vendita di titoli presso privati) denaro fresco, creato dal nulla dalla Banca d’Italia tramite l’acquisto “fittizio” di titoli emessi dal Tesoro; questo denaro veniva immesso all’interno del settore privato (famiglie e aziende) all’atto della spesa pubblica. In pratica, a livello operativo, la Banca d’Italia “consentiva” semplicemente al Tesoro di monetizzare il proprio disavanzo.
Capite bene che, in un contesto di questo tipo, il potere monetario non era affatto indipendente e sovraordinato agli altri; al contrario, il suo controllo era ben saldo nelle mani del Tesoro, che a sua volta rispondeva al governo, al parlamento e al controllo della magistratura. In altre parole, il suo esercizio avveniva, nonostante tutti i limiti che potesse avere (la corruzione, la casta, i favori al cugino, le ostriche e lo champagne), all’interno del circuito democratico.
Daniele Della Bona

__________________
Vedere quello che hai davanti al naso richiede una lotta costante”. (George Orwell;)
__________________
 

mototopo

Forumer storico
http://www.ilnord.it/index.php?id_art_argomento=2
ECONOMICS
FORSE È SCIENZA
C'ERA UNA VOLTA
LA NERA
SEI SICURO?
EDITORIALI
TARGET
GERMANIA: ''VIGILANZA BANCARIA ALLA BCE? SOLO TEMPORANEA!'' (ADDIO, SIGNOR DRAGHI)

[URL="http://www.ilnord.it/#"]0[/URL] Share on facebook Share on twitter Share on email Share on print Share on gmail Share on stumbleupon More Sharing Services

21 novembre - Mettere la vigilanza bancaria unica europea sotto il tetto della Bce ''è una soluzione temporanea'' e l'unica possibile in assenza di una modifica dei trattati. Lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. Secondo Schaeuble ''non si possono negare i potenziali conflitti di interesse'' in assenza di separazioni delle funzioni con la creazione di una nuova Autorità. Schaeuble ha detto governo e Bundesbank ''non si stancheranno che serve cambiare i trattati''. La Bce è avvisata...
 

mototopo

Forumer storico
La trappola dell’oro del Gran Maestro Putin

novembre 19, 2014 4 commenti

Dmitrij Kalinichenko, Investcafe.ru, 18 novembre 2014 – Fort Russ Le accuse dell’occidente verso Putin tradizionalmente si basano sul fatto che lavorava nel KGB, e che perciò sia crudele e immorale. Putin è colpevole di tutto, ma nessuno l’ha mai accusato di mancanza d’intelligenza. Tutte le accuse contro quest’uomo ne risaltano solo la capacità di pensiero analitico e come rapidamente prenda decisioni politiche ed economiche chiare ed equilibrate. Spesso i media occidentali confrontano questa capacità con l’abilità di un grande maestro che partecipa a partite di scacchi simultanee. I recenti sviluppi economici di Stati Uniti e occidente in generale, ci permettono di concludere che qui la valutazione dei media occidentali della personalità di Putin è perfetta. Nonostante le numerose segnalazioni dei successi, nello stile di Fox News e CNN, oggi l’economia occidentale, guidata dagli Stati Uniti, è caduta nella trappola di Putin, la cui via d’uscita non viene vista da nessuno in occidente. E quanto più l’occidente cerca di uscire da questa trappola, più sprofonda. Qual è la vera tragica situazione dell’occidente e degli Stati Uniti? E perché tutti i media occidentali e i principali economisti occidentali ne tacciono, come fosse un segreto militare ben custodito? Cerchiamo di capire l’essenza degli eventi economici attuali, nel contesto dell’economia, mettendo da parte moralità, etica e geopolitica. Dopo aver compreso di aver fallito in Ucraina, l’occidente, guidato dagli Stati Uniti, si proponeva di distruggere l’economia russa con la riduzione del prezzo del petrolio e del gas quali principali proventi dalle esportazioni del bilancio della Russia e della ricostituzione delle riserve auree russe. Va notato che il fallimento principale occidentale in Ucraina non è militare o politico, ma il rifiuto di Putin di finanziare i piani occidentali per l’Ucraina a carico della Federazione Russa. Ciò rende il piano occidentale irrealizzabile nel futuro prossimo.
L’ultima volta, sotto la presidenza Reagan, tali azioni occidentali per abbassare i prezzi del petrolio ebbero ‘successo’ facendo crollare l’URSS. Ma la storia non si ripete sempre. Questa volta le cose sono diverse per l’occidente. La risposta di Putin verso l’occidente assomiglia agli scacchi e al judo, quando la potenza utilizzata dal nemico viene usata contro di esso ma a costi minimi per la forza e le risorse del difensore. La vera politica di Putin non è pubblica. Pertanto, la politica di Putin in gran parte si concentra non sull’effetto, ma sull’efficienza. Pochissimi capiscono cosa fa Putin oggi. E quasi nessuno capisce cosa farà in futuro. Non importa quanto strano possa sembrare, ma oggi Putin vende petrolio e gas russi solo in oro. Putin non lo grida ai quattro venti. E naturalmente accetta ancora il dollaro come mezzo di pagamento, ma cambia immediatamente tutti i dollari ottenuti dalla vendita di petrolio e gas con l’oro fisico! Per capirlo è sufficiente osservare le dinamiche della crescita delle riserve auree della Russia e confrontarle con le entrate in valuta estera della Federazione Russa dovute alla vendita di petrolio e gas nello stesso periodo. Inoltre, nel terzo trimestre gli acquisti da parte della Russia di oro fisico sono i più alti di tutti i tempi, a livelli record. Nel terzo trimestre di quest’anno, la Russia aveva acquistato la quantità incredibile di 55 tonnellate di oro. Più delle banche centrali di tutti i Paesi del mondo messi insieme (secondo i dati ufficiali)! In totale, le banche centrali di tutti i Paesi del mondo hanno acquistato 93 tonnellate del metallo prezioso nel terzo trimestre del 2014. Il 15° trimestre consecutivo di acquisti netti di oro da parte delle banche centrali. Delle 93 tonnellate di oro acquistato dalle banche centrali di tutto il mondo, in questo periodo, l’impressionante volume di 55 tonnellate acquistate appartiene alla Russia. Non molto tempo fa, scienziati inglesi giunsero alla stessa conclusione, secondo l’indagine dell’US Geological di pochi anni fa: l’Europa non potrà sopravvivere senza l’energia dalla Russia. Tradotto dall’inglese in qualsiasi altra lingua, vuol dire: “Il mondo non sopravviverà se petrolio e gas della Russia scompaiono dall’approvvigionamento energetico globale”. Così, il mondo occidentale, basato sull’egemonia dei petrodollari, si trova in una situazione catastrofica non potendo sopravvivere senza petrolio e gas dalla Russia. E la Russia è pronta a vendere petrolio e gas all’occidente solo in cambio dell’oro! La svolta del gioco di Putin è il meccanismo della vendita di energia russa all’occidente solo con l’oro, agendo indipendentemente dal fatto che l’occidente sia d’accordo o meno nel pagare petrolio e gas russi con il suo oro artificialmente a buon mercato. Perché la Russia, con un flusso regolare di dollari dalla vendita di petrolio e gas, in ogni caso potrà convertirli in oro ai prezzi attuali, depressi con ogni mezzo dall’occidente. Cioè al prezzo dell’oro, artificialmente e meticolosamente abbassato varie volte da FED e EFS, contro un dollaro dal potere d’acquisto artificialmente gonfiato dalle manipolazioni nel mercato. Fatto interessante: la compressione dei prezzi dell’oro da parte del reparto speciale del governo degli Stati Uniti, l’ESF (Exchange Stabilization Fund), per stabilizzare il dollaro, è una legge degli Stati Uniti.
Nel mondo finanziario è accettato come un fatto che l’oro sia l’anti-dollaro:
• Nel 1971, il presidente statunitense Richard Nixon chiuse la ‘finestra d’oro’, ponendo fine al libero scambio tra dollari e oro, garantito dagli Stati Uniti nel 1944 a Bretton Woods.
• Nel 2014, il presidente russo Vladimir Putin ha riaperto la ‘finestra d’oro’, senza chiederne il permesso a Washington.
In questo momento l’occidente spende gran parte di sforzi e risorse nel comprimere i prezzi di oro e petrolio. In tal modo, da un lato distorce la realtà economica esistente a favore del dollaro statunitense e d’altra parte vuole distruggere l’economia russa che si rifiuta di svolgere il ruolo di vassallo obbediente dell’occidente. Risorse come oro e petrolio sono proporzionalmente indebolite ed eccessivamente sottovalutate rispetto al dollaro USA; conseguenza dell’enorme sforzo economico occidentale. E ora Putin vende risorse energetiche russe in cambio di quei dollari artificialmente gonfiati dagli sforzi occidentali, e con cui compra oro artificialmente svalutato rispetto al dollaro USA dagli stessi sforzi occidentali! C’è un altro elemento interessante nel gioco di Putin. L’uranio russo. Una di ogni sei lampadine negli USA ne dipende. La Russia lo vende agli Stati Uniti sempre in dollari. Così, in cambio di petrolio, gas e uranio russi, l’occidente paga la Russia in dollari, il cui potere di acquisto è artificialmente gonfiato verso petrolio e oro dagli sforzi occidentali. Ma Putin usa questi dollari solo per ritirare oro fisico dall’occidente dal prezzo denominato in dollari USA e quindi artificialmente abbassato dallo stesso occidente. Questa veramente geniale combinazione economica di Putin mette l’occidente, guidato dagli Stati Uniti, nella posizione aggressiva e diligente del serpente che divora la propria coda. L’idea di questa trappola economica dell’oro tesa all’occidente, probabilmente non è di Putin molto del consigliere per gli affari economici, dottor Sergej Glazev. In caso contrario, perché il dichiarato burocrate Glazev, insieme a molti uomini d’affari russi, è stato incluso da Washington nella lista dei sanzionati? L’idea dell’economista dottor Glazev è stata brillantemente attuata da Putin, con il pieno appoggio del collega cinese Xi Jinping. Particolarmente interessante in questo contesto sembra la dichiarazione a novembre della Prima Vicepresidentessa della Banca centrale della Russia Ksenia Judaeva, che sottolineava come la BCR può utilizzare l’oro delle sue riserve per pagare le importazioni, se necessario. E’ ovvio che date le sanzioni occidentali, tale dichiarazione sia destinata ai Paesi BRICS, e prima di tutto la Cina. Per la Cina, la volontà della Russia di pagare le merci con l’oro occidentale è molto conveniente. Ed ecco perché: la Cina ha recentemente annunciato che cesserà di aumentare le riserve auree e valutarie denominate in dollari USA. Considerando il crescente deficit commerciale tra Stati Uniti e Cina (la differenza attuale è cinque volte a favore della Cina), questa dichiarazione tradotta dal linguaggio finanziario, dice: “La Cina non vende più i suoi prodotti in cambio dei dollari”. I media mondiali hanno scelto di non far notare questo storico passaggio monetario. Il problema non è che la Cina si rifiuta letteralmente di vendere i propri prodotti in dollari USA. La Cina, ovviamente, continuerà ad accettare i dollari come mezzo di pagamento intermedio per i propri prodotti. Ma appena presi se ne sbarazzerà immediatamente, sostituendoli con qualcosa di diverso nella struttura delle sue riserve auree e valutarie. In caso contrario, la dichiarazione delle autorità monetarie della Cina non ha senso: “Fermiamo l’aumento delle nostre riserve auree e valutarie denominate in dollari USA“. Cioè, la Cina non acquisterà più titoli del Tesoro degli Stati Uniti con i dollari guadagnati dal commercio mondiale, come ha fatto finora. Così, la Cina sostituirà i dollari che riceverà per i suoi prodotti non solo dagli Stati Uniti ma da tutto il mondo, con qualcos’altro per non aumentare le riserve valutarie in oro denominate in dollari USA. E qui si pone una domanda interessante: con cosa la Cina sostituirà i dollari guadagnati con il commercio? Con quale valuta o bene? L’analisi dell’attuale politica monetaria della Cina dimostra che molto probabilmente i dollari commerciali, o una parte sostanziale, la Cina li sostituirà e di fatto li ha già sostituiti, con l’oro fisico. Pertanto, il solitario delle relazioni russo-cinesi è un grande successo di Mosca e Pechino. La Russia acquista merce direttamente dalla Cina con l’oro al prezzo attuale. Mentre la Cina compra risorse energetiche russe con l’oro al prezzo attuale. In questo festival russo-cinese della vita c’è un posto per ogni cosa: merci cinesi, risorse energetiche russe e oro quale mezzo di pagamento reciproco. Solo il dollaro non vi trova posto e non sorprende, perché il dollaro USA non è un prodotto cinese, né una risorsa energetica russa. E’ solo uno strumento finanziario intermedio di liquidazione, un intermediario inutile. Ed è consuetudine escludere gli intermediari inutili dall’interazione di due partner commerciali indipendenti. Va notato che il mercato globale dell’oro fisico è estremamente ristretto rispetto al mercato mondiale del petrolio. E soprattutto il mercato mondiale dell’oro fisico è microscopico rispetto alla totalità dei mercati mondiali di petrolio gas, uranio e merci.
L’enfasi sulla frase “oro fisico” è fatta perché in cambio delle sue risorse energetiche fisiche, non di ‘carta’, la Russia ritira oro dall’occidente, ma solo nella sua forma fisica, non di carta. Così anche la Cina, acquisendo oro fisico occidentale artificialmente svalutato per pagare prodotti reali inviati all’occidente. Le speranze occidentali che Russia e Cina accettino in pagamento per le loro risorse energetiche e beni “shitcoin” o cosiddetto “oro cartaceo” di vario genere, non si sono concretizzate. Russia e Cina sono interessate solo all’oro, metallo fisico, come mezzo di pagamento finale. Per riferimento: il fatturato del mercato dell’oro di carta, i futures sull’oro, è stimato a 360 miliardi di dollari al mese. Ma le transizioni di oro fisico sono pari solo a 280 milioni di dollari al mese. Il che rende il rapporto tra commercio di oro di carta contro oro fisico, pari a 1000 a 1. Utilizzando il meccanismo di recesso attivo dal mercato artificialmente ribassato dall’attività finanziaria occidentale (oro) in cambio di un altro artificialmente gonfiato dall’attività finanziaria occidentale (USD), Putin ha così iniziato il conto alla rovescia della fine dell’egemonia mondiale dei petrodollari. Così, Putin ha messo l’occidente in una situazione di stallo priva di prospettive economiche positive. L’occidente può usare la maggior parte dei suoi sforzi e risorse per aumentare artificialmente il potere d’acquisto del dollaro, ridurre artificialmente i prezzi del petrolio e il potere d’acquisto dell’oro. Il problema dell’occidente è che le scorte di oro fisico in suo possesso non sono illimitate. Pertanto, più l’occidente svaluta petrolio e oro contro dollaro statunitense, più velocemente svaluterà l’oro dalle sue non infinite riserve. In questa combinazione economica brillantemente interpretata da Putin, l’oro fisico dalle riserve occidentali finisce rapidamente in Russia, Cina, Brasile, Kazakhstan e India, Paesi BRICS. Al ritmo attuale di riduzione delle riserve di oro fisico, l’occidente semplicemente non avrà tempo di fare nulla contro la Russia di Putin, fino al crollo dei petrodollari mondiali occidentali. Negli scacchi la situazione in cui Putin ha messo l’occidente, guidato dagli Stati Uniti, si chiama “tempi bui”. Il mondo occidentale non ha mai affrontato eventi e fenomeni economici come quelli attuali. L’URSS vendette rapidamente oro durante la caduta dei prezzi del petrolio. La Russia acquista rapidamente oro durante la caduta dei prezzi del petrolio. In tal modo, la Russia rappresenta una vera minaccia al modello di dominio mondiale dei petrodollari statunitensi. Il principio fondamentale del modello mondiale dei petrodollari permette che i Paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti vivano a spese del lavoro e delle risorse di altri Paesi e popoli grazie al ruolo della moneta statunitense, dominante nel sistema monetario globale (GMS). Il ruolo del dollaro USA nel GMS è essere il mezzo ultimo di pagamento. Ciò significa che la moneta nazionale degli Stati Uniti, nella struttura del GMS, è l’ultimo bene di accumulazione, e scambiarlo con qualsiasi altro bene non avrebbe senso. Ciò che i Paesi BRICS, guidati da Russia e Cina, fanno ora è effettivamente cambiare ruolo e status del dollaro nel sistema monetario globale. Da ultimo mezzo di pagamento e costituzione del patrimonio, la moneta nazionale degli Stati Uniti, nelle azioni congiunte di Mosca e Pechino viene trasformato in un mero mezzo di pagamento intermedio, destinato solo allo scambio con un’altra attività finanziaria ultima, l’oro. Così, il dollaro USA in realtà perde il ruolo di mezzo ultimo di pagamento e costituzione del patrimonio, cedendo entrambi i ruoli a un altro riconosciuto, denazionalizzato e depoliticizzato patrimonio monetario, l’oro.
Tradizionalmente, l’occidente utilizza due metodi per eliminare la minaccia all’egemonia mondiale dei petrodollari e ai conseguenti privilegi eccessivi occidentali. Uno di tali metodi sono le rivoluzioni colorate. Il secondo metodo, di solito applicato dall’occidente se il primo fallisce, sono le aggressioni militari e i bombardamenti. Ma nel caso della Russia entrambi tali metodi sono impossibili o inaccettabili per l’occidente. Perché, in primo luogo, la popolazione della Russia, a differenza dei popoli di molti altri Paesi, non ha intenzione di scambiare la propria libertà e il futuro dei propri figli per salsicce occidentali. Questo è evidente dal supporto record per Putin, regolarmente pubblicato dalle principali agenzie di sondaggi occidentali. L’amicizia personale del protetto di Washington Navalnij con il senatore McCain è negativa per lui e Washington. Dopo aver appreso questo fatto dai media, il 98% della popolazione russa ora vede Navalnij solo come un vassallo di Washington e traditore degli interessi nazionali della Russia. Pertanto i professionisti occidentali, che non hanno ancora perso la testa, non possono sognarsi una qualche rivoluzione colorata in Russia. Sul secondo metodo tradizionale occidentale di aggressione militare diretta, la Russia non è certamente la Jugoslavia, l’Iraq o la Libia. In ogni operazione militare non nucleare contro la Russia, sul territorio della Russia, l’occidente guidato dagli Stati Uniti è destinato alla sconfitta. E i generali del Pentagono che guidano le forze della NATO ne sono consapevoli. Sarebbe egualmente senza speranza una guerra nucleare contro la Russia, con il concetto del cosiddetto “attacco nucleare disarmante preventivo”. La NATO non solo tecnicamente non può infliggere il colpo che disarmerebbe completamente la Russia del potenziale nucleare, in tutte i molteplici aspetti, ma il massiccio attacco di rappresaglia nucleare contro il nemico o gruppo di nemici sarebbe inevitabile. E la sua potenza sarà sufficiente affinché i sopravvissuti invidino i morti. Cioè, una guerra nucleare con un Paese come la Russia non è la soluzione al problema incombente del crollo dei petrodollari mondiali. Nel migliore dei casi, sarebbe la conclusione finale della Storia. Nel peggiore dei casi, l’inverno nucleare e la fine della vita sul pianeta, fatta eccezione per i batteri mutati dalle radiazioni. La struttura economica occidentale può vedere e capire l’essenza della situazione. I principali economisti occidentali sono certamente consapevoli della gravità della situazione e della situazione disperata in cui si trova l’occidente, caduto nella trappola economica dell’oro di Putin. Dopo tutto, dagli accordi di Bretton Woods conosciamo la regola d’oro: “Chi ha l’oro detta le regole”, ma in occidente stanno zitti. Sono silenziosi perché nessuno sa come uscire da tale situazione. Se si spiegano al pubblico occidentale i dettagli del disastro economico incombente, porrà ai sostenitori dei petrodollari mondiali le domande peggiori, come:
- Per quanto l’occidente potrà acquistare petrolio e gas dalla Russia in cambio di oro fisico? E cosa accadrà ai petrodollari degli Stati Uniti quando l’occidente esaurirà l’oro fisico per pagare petrolio, gas e uranio russi e le merci cinesi? Nessuno in occidente oggi può rispondere a queste semplici domande. Ciò si chiama “Scacco matto”, signore e signori. Il gioco è finito.
 

aquilarealeatapple

Forumer attivo
ehila moto , apprezzo sempre i molti post che fai .. ho visto i salari del grillo , gli han fatto i conti pure a lui .. 250 euroni netti al dì , oltre 6 paghe al mese .. persone che guadagnano tanto non possono risolvere i problemi dei popoli , ci son dentro fino al collo con gli interessi personali del sistema ! molte case , diverse auto di lusso , tenore di vita alto , cibi raffinati , purtroppo , quasi sempre , tutti questi lustrini .. cambiano le persone .. purtroppo .. la famosa cruna d'ago nella paglia da cercare e l'elefante che prova a passare quella porta mentre non può e non potrà mai passare attraverso la porta perchè troppo ... pesante ..
le persone che governano vogliono i soldi dei popoli attraverso le tasse , parafrasando [ te ass .. ossia ....... ].. carpiscono il tempo che il popolo impiega nel lavoro trasformato in soldi per non dover essi stessi dedicare tempo nel lavoro .. quindi per la produzione di soldi per mangiare e tutte le altre necessità vitali .. sostanzialmente sono dei ladri di soldi=tempo del lavoro altrui [ del popolo ] ... le bambole [ i popoli ] iniziano ad avere le tasche piene.. e intanto le aziende chiudono .. invece di prendere a modello il meglio che le varie nazioni offrono continuano indistrubati le loro ruberie .. in svizzera non si paga un centesimo di tasse sotto un certo importo di guadagno da lavoro ... pensioni uguali per tutti nell'australia .. 1500 doll.aust. .. sì , effettivamente qui in italia , paese dove tagliano le possibilità di .. splendezza , devono motivare il corrispondere queste pensioni ingrate per molti e grate per i pochi perchè altrimenti non potrebbero tassare alcuna persona .
 
Ultima modifica:

mototopo

Forumer storico
img
lg.php

Quel business da 2 milioni al giorno sulla pelle dei migranti: più ne arrivano più guadagnano
L’inchiesta. Dalle coop alle aziende vicine a Cl, l’accoglienza è un affare. Gare vinte con ribassi del 30%. E se aumentano gli ospiti crescono anche i ricavi
PALERMO - Più ne stipano in una camerata meglio è, più a lungo restano meglio è, e se sono minorenni ancora meglio, lo Stato paga di più. Ad ogni barcone che arriva, i “professionisti dell’accoglienza” mettono mano alla calcolatrice e le cifre hanno sempre molti zeri. Più di 1.800.000 euro al giorno: tanto, nel 2013, ha speso l’Italia per garantire l’accoglienza ai 40.244 migranti sbarcati sulle nostre coste. Un letto, i pasti, il vestiario, i farmaci necessari e un minimo di pocket money: 45 euro al giorno è la spesa media per ogni immigrato che mette piede in uno dei 27 tra centri di accoglienza, centri di identificazione ed espulsione e centri per richiedenti asilo. Una cifra che aumenta fino a 70 euro se si tratta di minori (8.000 quelli arrivati quest’anno) in considerazione della particolare assistenza che dovrebbe essere loro garantita.

È una torta luculliana quella che in Italia si spartiscono ormai da dieci anni veri e propri “colossi” del business dell’accoglienza: dalla Legacoop alle imprese di Comunione e Liberazione, dalle aziende vicine alla Lega alle multinazionali. Le gare bandite dal Viminale, in genere, vengono aggiudicate con un ribasso medio del 30 per cento sulla base d’asta. Peccato che, in ogni centro, si tengano stipati per mesi almeno il doppio o il triplo degli ospiti. A danno delle condizioni di vivibilità di questi centri, da molti definiti lager, ma a tutto vantaggio delle tasche dei gestori. “La ragione per cui questo avviene è che in Italia molti servizi per l’immigrazione vengono affidati sulla base di un solo principio: quello dell’offerta economica più vantaggiosa. C’è un business dell’immigrazione inaccettabile, parliamo di commesse da milioni di euro su cui molti si stanno arricchendo, dove i diritti delle persone scompaiono”, denuncia Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati.

Gli aspiranti allo status di rifugiato costituiscono la fetta più ghiotta della torta. Ecco perché quella che è diventata una vera e propria città di richiedenti asilo, il Cara di Mineo, ospitato nel “Villaggio degli aranci” prima abitato dagli ufficiali americani di stanza a Sigonella, è diventato il motore dell’economia di questa parte della provincia di Catania. Quattromila persone di 50 etnie diverse, il doppio della capienza, fruttano al “Consorzio Calatino Terre di accoglienza” la cifra di 50 milioni di euro all’anno.

Dentro ci sono tutti, da Sisifo (Legacoop) che gestisce il centro di Lampedusa, alla Senis hospes e alla Cascina Global Service (vicina a Cl), la Croce Rossa, il Consorzio Casa Solidale (vicino all’ex Pdl). E non hanno voluto rimanere fuori dall’affare i Pizzarotti di Parma, i proprietari del complesso edilizio requisito nel 2011 ai tempi dell’emergenza Nordafrica dietro pagamento di un canone di 6 milioni di euro annui. Ora che l’emergenza Nordafrica è finita, sono entrati anche loro nel Consorzio gestore. Quello che Berlusconi nel 2011 presentò come un modello di accoglienza europea, adesso – stando alle denunce delle associazioni umanitarie – si è trasformato in una sorta di lager dove, solo qualche giorno fa, si è suicidato un giovane siriano in attesa del permesso di soggiorno da mesi.

Trattenere gli ospiti molto più a lungo del previsto è uno dei “trucchi” utilizzati dai gestori di molti Cara. A Sant’Angelo di Brolo, la procura ha accertato che alcuni ospiti rimasero anche 300 giorni dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno, portando illegittimamente 468.000 euro nelle casse del consorzio Sisifo, lo stesso che si è aggiudicato l’appalto di Elmas Cagliari, del Cara di Foggia e del centro di Lampedusa da dove si calcola siano passati più di 100 mila migranti. Due milioni e mezzo di euro è la cifra dell’appalto per la capienza ufficiale di 250 posti. Per gli ospiti in più, il Viminale paga l’extra. E questo vale per tutti: così l’Auxilium di Potenza degli imprenditori Pietro e Angelo Chiorazzo per il centro di Bari Palese, per Ponte Galeria a Roma o per Pian del Lago a Caltanissetta incassano molto di più dei 40 milioni di euro previsti dai bandi di gara.

Da tempo hanno fiutato l’affare anche i francesi della Gepsa, specialisti delle carceri, e la multinazionale Cofely Italia, che non disdegnano l’associazione con l’Acuarinto di Agrigento o la Synergasia di Roma per gestire il Cara di Castelnuovo di Porto a Roma o al Cie di Gradisca d’Isonzo. E a reclamare la sua fetta di torta c’è anche la Misericordia del prete-manager di Isola Capo Rizzuto che da dieci anni, per 28 milioni di euro all’anno, gestisce un Cara in cui la maggior parte degli ospiti dormono anche in dieci in vecchi container
 

mototopo

Forumer storico
Magaldi: super-fratelli d’Italia, élite occulta del vero potere


Scritto il 21/11/14 • nella Categoria: Recensioni



Esistono i massoni e i supermassoni, le logge e le superlogge. Lo rivela Gioele Magaldi, quarantenne “libero muratore” di matrice progressista, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere, editrice che figura tra gli azionisti del “Fatto Quotidiano”. Proprio sul “Fatto”, Gianni Barbacetto e Fabrizio D’Esposito presentano l’operazione editoriale, soffermandosi sul sottititolo dell’opera di Magaldi, basata su documenti custoditi a Londra, Parigi e New York: “La scoperta delle Ur-Lodges”. Magaldi, che anni fa ha fondato in Italia il Grande Oriente Democratico in polemica con il Goi (Grande Oriente d’Italia, la più grande obbedienza massonica del nostro paese), in 656 pagine apre ai profani un mondo segreto e invisibile: «Tutto quello che accade di importante e decisivo nel potere è da ricondurre a una cupola di superlogge sovranazionali, le Ur-Lodges, appunto, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali. Non sfugge nessuno a questi cenacoli. Le Ur-Lodges citate sono 36 e si dividono tra progressiste e conservatrici, e da loro dipendono le associazioni paramassoniche tipo la Trilateral Commission o il Bilderberg Group. Altra cosa infine sono le varie gran logge nazionali, ma queste nel racconto del libro occupano un ruolo marginalissimo. Tranne in un caso, quello della P2 del Venerabile Licio Gelli».
Laura Maragnani, giornalista di “Panorama” che ha collaborato con Magaldi e scrivendo anche una lunga prefazione, spiega che il libro è frutto di un lavoro durato quattro anni, nei quali Magaldi ha consultato gli archivi di varie Ur-Lodges. Tuttavia, come scrive l’editore nella nota iniziale, in caso di “contestazioni” Magaldi si impegna a rendere pubblici gli atti segreti, depositati in studi legali in Europa e negli Usa. «Tra le superlogge progressiste – premette il “Fatto” – la più antica e prestigiosa è la Thomas Paine (cui è stato iniziato lo stesso Magaldi) mentre tra le neoaristocratiche e oligarchiche, vero fulcro del volume, si segnalano la Edmund Burke, la Compass Star-Rose, la Leviathan, la Three Eyes, la White Eagle, la Hathor Pentalpha». Tutto il potere del mondo sarebbe contenuto in queste Ur-Lodges. E persino i vertici della fu Unione Sovietica, da Lenin a Breznev, sarebbero stati superfratelli di una loggia conservatrice, la Joseph de Maistre, creata in Svizzera proprio da Lenin. «Può sembrare una contraddizione, un paradosso, ma nella commedia delle apparenze e dei doppi e tripli giochi dei grembiulini può finire che il più grande rivoluzionario comunista della storia fondi un cenacolo in onore di un caposaldo del pensiero reazionario».
In questo filone, secondo Magaldi, s’inserisce pure l’iniziazione alla Three Eyes, a lungo la più potente Ur-Lodges conservatrice, di Giorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica e per mezzo secolo esponente di punta della destra del Pci: «Tale affiliazione avvenne nello stesso anno il 1978, nel quale divenne apprendista muratore Silvio Berlusconi», scrive Magaldi. «E mentre Berlusconi venne iniziato a Roma in seno alla P2 guidata da Licio Gelli nel gennaio, Napolitano fu cooptato dalla prestigiosa Ur-Lodge sovranazionale denominata Three Architects o Three Eyes appunto nell’aprile del 1978, nel corso del suo primo viaggio negli Stati Uniti». Più tardi, Berlusconi avrebbe poi creato una sua Ur-Lodge, la Loggia del Drago. Altri affiliati eccellenti, sempre secondo Magaldi, sarebbero Papa Giovanni XXIII, Bin Laden e l’Isis, Martin Luther King e i Kennedy. «C’è da aggiungere, dettaglio fondamentale, che nel libro di Magaldi la P2 gelliana è figlia dei progetti della stessa Three Eyes, quando dopo il ‘68 e il doppio assassinio di Martin Luther King e Robert Kennedy, le superlogge conservatrici vanno all’attacco con una strategia universale di destabilizzazione per favorire svolte autoritarie e un controllo più generale delle democrazie», osservano Barbacetto e D’Esposito.
La tesi: il vero potere è massone. E, descritto nelle pagine di Magaldi, «spaventa e fa rizzare i capelli in testa». Dal fascismo al nazismo, dai colonnelli in Grecia alla tecnocrazia dell’Ue, tutto sarebbe venuto fuori dagli esperimenti di questi superlaboratori massonici: persino il “papa buono”, Giovanni XXIII (“il primo papa massone”), Osama Bin Laden e il più recente fenomeno dell’Isis. «In Italia, se abbiamo evitato tre colpi di Stato avallati da Kissinger lo dobbiamo a Schlesinger jr., massone progressista». Nell’elenco di tutti gli italiani attuali spiccano D’Alema, Passera e Padoan. Il capitolo finale è un colloquio tra Magaldi e altri confratelli collaboratori con quattro supermassoni delle Ur-Lodges. Racconta uno di loro, a proposito del patto unitario tra grembiulini per la globalizzazione: «Ma per far inghiottire simili riforme idiote e antipopolari alla cittadinanza, la devi spaventare come si fa con i bambini. Altrimenti gli italiani, se non fossero stati dei bambinoni deficienti, non avrebbero accolto con le fanfare i tre commissari dissimulati che abbiamo inviato loro in successione: il fratello Mario Monti, il parafratello Enrico Letta, l’aspirante fratello Matteo Renzi».
Per non parlare del “venerabilissimo” Mario Draghi, governatore della Bce, affiliato a ben cinque superlogge. Secondo Magaldi, Draghi sarebbe peraltro in ottima compagnia. Le Ur-Lodges, infatti, sarebbero gremite di italiani importanti. Come l’ex banchiere centrale e poi ministro Fabrizio Saccomanni, l’industriale Gianfelice Rocca (Techint), l’economista e già ministro Domenico Siniscalco, Giuseppe Recchi (Eni, Exor, Confindustria), Marta Dassù (Aspen Institute, già sottosegretario agli esteri). E poi l’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il banchiere Enrico Tommaso Cucchiani (Intesa Sanpaolo), Alfredo Ambrosetti (patron del summit di Cernobbio), l’ex presidente confindustriale Emma Marcegaglia. E infine il banchiere Matteo Arpe (Lehman Brothers, Capitalia), l’ex ministro Vittorio Grilli (ora Jp Morgan), l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (marina militare) e Federica Guidi, ministro dello sviluppo economico del governo Renzi. Ma fino a ieri il dominus della vita italiana non era un certo Berlusconi? In attesa di conferme o smentite, se non altro, il libro di Magaldi contribuisce a dare un volto preciso ai componenti dell’élite: un affollatissimo ritratto di famiglia.
(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).
Esistono i massoni e i supermassoni, le logge e le superlogge. Lo rivela Gioele Magaldi, quarantenne “libero muratore” di matrice progressista, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere, editrice che figura tra gli azionisti del “Fatto Quotidiano”. Proprio sul “Fatto”, Gianni Barbacetto e Fabrizio D’Esposito presentano l’operazione editoriale, soffermandosi sul sottititolo dell’opera di Magaldi, basata su documenti custoditi a Londra, Parigi e New York: “La scoperta delle Ur-Lodges”. Magaldi, che anni fa ha fondato in Italia il Grande Oriente Democratico in polemica con il Goi (Grande Oriente d’Italia, la più grande obbedienza massonica del nostro paese), in 656 pagine apre ai profani un mondo segreto e invisibile: «Tutto quello che accade di importante e decisivo nel potere è da ricondurre a una cupola di superlogge sovranazionali, le Ur-Lodges, appunto, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali. Non sfugge nessuno a questi cenacoli. Le Ur-Lodges citate sono 36 e si dividono tra progressiste e conservatrici, e da loro dipendono le associazioni paramassoniche tipo la Trilateral Commission o il Bilderberg Group. Altra cosa infine sono le varie gran logge nazionali, ma queste nel racconto del libro occupano un ruolo marginalissimo. Tranne in un caso, quello della P2 del Venerabile Licio Gelli».
Laura Maragnani, giornalista di “Panorama” che ha collaborato con Magaldi e scrivendo anche una lunga prefazione, spiega che il libro è frutto di un lavoro durato quattro anni, nei quali Magaldi ha consultato gli archivi di varie Ur-Lodges. Tuttavia, come scrive l’editore nella nota iniziale, in caso di “contestazioni” Magaldi si impegna a rendere pubblici gli atti segreti, depositati in studi legali in Europa e negli Usa. «Tra le superlogge progressiste – premette il “Fatto” – la più antica e prestigiosa è la Thomas Paine (cui è stato iniziato lo stesso Magaldi) mentre tra le neoaristocratiche e oligarchiche, vero fulcro del volume, si segnalano la Edmund Burke, la Compass Star-Rose, la Leviathan, la Three Eyes, la White Eagle, la Hathor Pentalpha». Tutto il potere del mondo sarebbe contenuto in queste Ur-Lodges. E persino i vertici della fu Unione Sovietica, da Lenin a Breznev, sarebbero stati superfratelli di una loggia conservatrice, la Joseph de Maistre, creata in Svizzera proprio da Lenin. «Può sembrare una contraddizione, un paradosso, ma nella commedia delle apparenze e dei doppi e tripli giochi dei grembiulini può finire che il più grande rivoluzionario comunista della storia fondi un cenacolo in onore di un caposaldo del pensiero reazionario».
In questo filone, secondo Magaldi, s’inserisce pure l’iniziazione alla Three Eyes, a lungo la più potente Ur-Lodges conservatrice, di Giorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica e per mezzo secolo esponente di punta della destra del Pci: «Tale affiliazione avvenne nello stesso anno il 1978, nel quale divenne apprendista muratore Silvio Berlusconi», scrive Magaldi. «E mentre Berlusconi venne iniziato a Roma in seno alla P2 guidata da Licio Gelli nel gennaio, Napolitano fu cooptato dalla prestigiosa Ur-Lodge sovranazionale denominata Three Architects o Three Eyes appunto nell’aprile del 1978, nel corso del suo primo viaggio negli Stati Uniti». Più tardi, Berlusconi avrebbe poi creato una sua Ur-Lodge, la Loggia del Drago. Altri affiliati eccellenti, sempre secondo Magaldi, sarebbero Papa Giovanni XXIII, Bin Laden e l’Isis, Martin Luther King e i Kennedy. «C’è da aggiungere, dettaglio fondamentale, che nel libro di Magaldi la P2 gelliana è figlia dei progetti della stessa Three Eyes, quando dopo il ‘68 e il doppio assassinio di Martin Luther King e Robert Kennedy, le superlogge conservatrici vanno all’attacco con una strategia universale di destabilizzazione per favorire svolte autoritarie e un controllo più generale delle democrazie», osservano Barbacetto e D’Esposito.
La tesi: il vero potere è massone. E, descritto nelle pagine di Magaldi, «spaventa e fa rizzare i capelli in testa». Dal fascismo al nazismo, dai colonnelli in Grecia alla tecnocrazia dell’Ue, tutto sarebbe venuto fuori dagli esperimenti di questi superlaboratori massonici: persino il “papa buono”, Giovanni XXIII (“il primo papa massone”), Osama Bin Laden e il più recente fenomeno dell’Isis. «In Italia, se abbiamo evitato tre colpi di Stato avallati da Kissinger lo dobbiamo a Schlesinger jr., massone progressista». Nell’elenco di tutti gli italiani attuali spiccano D’Alema, Passera e Padoan. Il capitolo finale è un colloquio tra Magaldi e altri confratelli collaboratori con quattro supermassoni delle Ur-Lodges. Racconta uno di loro, a proposito del patto unitario tra grembiulini per la globalizzazione: «Ma per far inghiottire simili riforme idiote e antipopolari alla cittadinanza, la devi spaventare come si fa con i bambini. Altrimenti gli italiani, se non fossero stati dei bambinoni deficienti, non avrebbero accolto con le fanfare i tre commissari dissimulati che abbiamo inviato loro in successione: il fratello Mario Monti, il parafratello Enrico Letta, l’aspirante fratello Matteo Renzi».
Per non parlare del “venerabilissimo” Mario Draghi, governatore della Bce, affiliato a ben cinque superlogge. Secondo Magaldi, Draghi sarebbe peraltro in ottima compagnia. Le Ur-Lodges, infatti, sarebbero gremite di italiani importanti. Come l’ex banchiere centrale e poi ministro Fabrizio Saccomanni, l’industriale Gianfelice Rocca (Techint), l’economista e già ministro Domenico Siniscalco, Giuseppe Recchi (Eni, Exor, Confindustria), Marta Dassù (Aspen Institute, già sottosegretario agli esteri). E poi l’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il banchiere Enrico Tommaso Cucchiani (Intesa Sanpaolo), Alfredo Ambrosetti (patron del summit di Cernobbio), l’ex presidente confindustriale Emma Marcegaglia. E infine il banchiere Matteo Arpe (Lehman Brothers, Capitalia), l’ex ministro Vittorio Grilli (ora Jp Morgan), l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (marina militare) e Federica Guidi, ministro dello sviluppo economico del governo Renzi. Ma fino a ieri il dominus della vita italiana non era un certo Berlusconi? In attesa di conferme o smentite, se non altro, il libro di Magaldi contribuisce a dare un volto preciso ai componenti dell’élite: un affollatissimo ritratto di famiglia.
(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro
 

Users who are viewing this thread

Alto