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LA FINE DELL'EURO E' VICINA: I TITOLI TEDESCHI VENDUTI A INTERESSI NEGATIVI!

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17 settembre - Nuovo minimo storico per i rendimenti dei titoli di stato tedeschi a 2 anni scesi in territorio negativo (-0,07%). La Germania ha raccolto 3,3 miliardi con l'emissione di Schatz, cedola zero, scadenza 2016. La domanda degli investitori e' stata pari a 2,3 volte l'importo offerto rispetto a 2 volte della precedente asta. Dunque Berlino per finanziarie il proprio debito pubblico a due anni, invece di pagare si fara' pagare, riconoscendo agli investitori un rendimento negativo pari a -0,07%.
 

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Il disastro che dura da 14 anni in Italia coincide con l’adesione all’Uem», l’unione monetaria europea

16 settembre – Eugenio Scalfari, fondatore di “Repubblica” e leader dell’establishment pro-euro, propone a Renzi di sacrificare l’Italia (cioè gli italiani) per salvare la moneta unica? Il premier non gli dia retta e faccia esattamente il contrario: salvi l’Italia e lasci affondare l’euro. Come? Tornando alla lira, e di corsa, scrive il prestigioso giornalista economico inglese Ambrose Evans-Pritchard. In fondo, osserva, Renzi era ancora minorenne all’epoca del “peccato originale”, lo sciagurato Trattato di Maastricht.
Finora ha sbagliato tutto: prima ha promesso di contrastare l’austerity Ue, poi si è sottomesso a Bruxelles confidando nei suoi cattivi consiglieri, che parlavano di ripresa imminente. Ora ci siamo: l’Italia sta crollando e il debito pubblico rischia di arrivare al 150% del Pil, con l’incubo di tagli miliardari in autunno o, peggio, l’arrivo della Troika. Renzi, dice Pritchard, è ancora in tempo: può salvare l’Italia, uscendo dall’euro. Possibile: perché i conti dell’Italia – quelli veri – sono meno peggio di quelli di tanti altri paesi, inclusi Francia, Gran Bretagna, Giappone, Olanda e Stati Uniti.
«E’ un fatto incontrovertibile – scrive Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte” – che il disastro che dura da 14 anni in Italia coincide con l’adesione all’Uem», l’unione monetaria europea. «L’Italia è in depressione da quasi sei anni». Un crollo «costellato da false riprese, sopraffatte ogni volta dai dilettanti monetari responsabili della politica Uem». L’ultima “ripresa” è svanita dopo un solo trimestre, e l’economia è di nuovo in recessione tecnica: la produzione crollata del 9,1% dal suo picco, «indietro a livelli di 14 anni fa», l’industria italiana «scesa a livelli del 1980». Incredibile: «Ci vogliono errori di politica economica madornali per realizzare un tale risultato, in una economia moderna». Basti pensare che l’Italia non aveva subito niente di simile neppure durante la Grande Depressione, «facendo segnare una crescita del 16% tra il 1929 e il 1939». Nemmeno Mussolini, aggiunge Pritchard, era così maniacale da perseguire i suoi deliri sul “gold standard”. Le autorità italiane che oggi intravvedono segnali di ripresa? Sono «come le guardie della fortezza nel “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati», ingannate «dalle illusioni ottiche dell’orizzonte senza vita».
Bollettino della catastrofe: i prestiti bancari alle imprese sono ancora in calo, “Moody’s” dice che quest’anno l’economia si contrarrà dello 0,1%, “Société Génerale” dello 0,2 Il crollo del settore immobiliare non ha ancora toccato il fondo: se l’anno scorso per vendere una casa occorreva attendere in media 8,8 mesi, ora l’attesa è salita a 9,4 mesi. Precipita l’indice del peggioramento delle condizioni di mercato: in soli tre mesi è passato da 19,6 a 34,7%.
«Non possiamo andare avanti più a lungo», protesta la filiale di Taranto di Confindustria, in una lettera aperta al presidente della Repubblica in cui segnala che la Puglia sta diventando un «deserto industriale», con le piccole imprese sull’orlo della chiusura e dei licenziamenti di massa. «Il mix letale di contrazione economica e inflazione zero sta portando la traiettoria del debito in Italia a crescere in maniera esponenziale, nonostante l’austerità e un avanzo primario del 2% del Pil», aggiunge Pritchard. Nel primo trimestre 2014 il debito è salito al 135,6%, dal 130,2% dell’anno prima. E si può arrivare al 140% entro fine anno, «in acque inesplorate per un paese che in realtà si indebita in D-Marks».
«Nessuno sa quando i mercati reagiranno», dicono i banchieri italiani. La recessione, intanto, sta erodendo le entrate fiscali così gravemente che Renzi «dovrà venirsene fuori con nuovi tagli, dai 20 ai 25 miliardi di euro, per soddisfare gli obiettivi di disavanzo dell’Ue, perpetuando il circolo vizioso».
Il compito, dice Pritchard, è senza speranza, come confermano tutti gli studi. Secondo il think-tank “Bruegel”, l’Italia dovrebbe realizzare un avanzo primario del 5% del Pil per stabilizzare il debito con un’inflazione al 2%. Avanzo che salirebbe al 7,8% a inflazione zero. «Qualsiasi tentativo di raggiungere questo obiettivo porterebbe ad una implosione autodistruttiva dell’economia italiana», avverte Pritchard. Ashoka Mody, già alto funzionario del Fmi in Europa, dice che è impossibile realizzare avanzi primari così abnormi, cioè tagli spaventosi alla spesa pubblica. E consiglia alle autorità italiane di «cominciare a consultare dei bravi avvocati, per garantire una ristrutturazione ordinata del debito sovrano». Avverte: «Non deve essere un cataclisma, ci sono modi di dilazionare gli obblighi di pagamento nel corso del tempo. Ma non c’è nessuna ragione di attendere fino a che il rapporto giunga al 150% del Pil. Dovrebbero andare avanti in questo senso da subito».
Tutt’altra musica quella che suona Eugenio Scalfari, secondo cui l’Italia dovrebbe «mettersi sotto il controllo della Troika», cioè del boia. «Scalfari sembra pensare che la democrazia in Italia dovrebbe essere sospesa per salvare l’euro – replica Pritchard – e che il paese dovrebbe raddoppiare le politiche di terra bruciata, imbarcandosi in uno sforzo ancora più draconiano per recuperare competitività attraverso un svalutazione interna», cioè tagliando i salari e il welfare. Renzi di rifletta, insiste Pritchard: pensi a salvare gli italiani, non l’euro. Sono 14 anni che il paese è in sofferenza, ovvero da quando è nell’Eurozona, che «ha messo in moto una dinamica molto distruttiva per le particolari condizioni dell’Italia». Ed è altrettanto chiaro che ora l’Uem «impedisce al paese di uscire dalla trappola». Ci dimentichiamo, aggiunge Pritchard, che l’Italia registrava abitualmente un surplus commerciale nei confronti della Germania, prima dell’euro: «Le industrie italiane del nord erano viste come concorrenti formidabili, quando la lira era debole». Antonio Guglielmi, di Mediobanca, dice che l’Italia“teneva” benissimo, prima di agganciare la lira al marco nel 1996. Solo allora è entrata in una «spirale negativa della produttività».
In un rapporto che è una condanna, Guglielmi mostra come negli ultimi 40 anni la crescita della produttività e della competitività in Italia abbia vacillato ogni volta che la valuta nazionale è stata agganciata a quella tedesca, mentre si è ripresa dopo ogni svalutazione. Ennesima conferma dell’avvertimento lanciato da storici e antropologi: economie profondamente differenti non avrebbero mai potuto convergere felicemente nell’Eurozona.
E ora siamo arrivati al capolinea: «L’Italia è sopravvalutata del 30% rispetto alla Germania e non può recuperare attraverso la deflazione, in quanto la stessa Germania è vicina alla deflazione». Le élite dellunità monetaria, aggiunge Pritchard, esortano l’Italia a “fare le riforme”, «un termine che viene buttato là liberamente». Tutte storie: «Le metriche del mercato del lavoro per la Germania e l’Italia non sembrano così diverse», precisa Modi, già direttore del Fmi a Berlino. «Non è più facile assumere e licenziare in Germania». Il problema, semmai, è la mancanza in investimento in capitale umano, denuncia il professor Giuseppe Ragusa, della Luiss “Guido Carli” di Roma: «Ciò che veramente colpisce è quanto siamo indietro nell’istruzione».
I dati dell’Ocse mostrano che l’Italia spende solo il 4,7% del Pil per l’istruzione, rispetto al 6.3% di tutta l’Ocse. La quota di giovani che hanno completato gli studi superiori è del 21%, rispetto ad una media del 39%. Gli insegnanti sono pagati una miseria. «Questo è davvero un grosso problema strutturale, ma non può essere risolto dalle “riforme”, figuriamoci dall’austerità». Ciò di cui l’Italia ha davvero bisogno, dice Pritchard, è di «un New Deal, un massiccio investimento in infrastrutture e competenze, sostenuto da uno stimolo monetario per sollevare il paese dalla sua soffocante tristezza cosmica». Renzi? «Deve ormai aver capito che questo non può essere fatto sotto l’attuale regime dell’Uem». Improvvisamente, il premier italiano «si ritrova nella stessa situazione terribile di François Hollande in Francia: etrambi si ritrovano con il cappio al collo». La differenza «è che Hollande è oltre ogni possibilità di salvarsi», perché «il regime depressivo dell’Uem ha distrutto la sua presidenza». “Le Figaro” sta pubblicando una fiction estiva in cui si esplora la possibilità di dimissioni anticipate. Renzi invece «non ha ancora bruciato il suo capitale politico, ed è un giocatore d’azzardo per natura», scrive Pritchard.
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Attenzione: «Non c’è più alcuna possibilità che Italia e Francia conducano una rivolta dei paesi latini, mettendo insieme una maggioranza in seno al Consiglio Europeo e alla Banca Centrale per imporre una strategia di rilancio a livello dell’Uem che cambi completamente il panorama economico». Con l’adesione alla Germania a tutti i costi, «la forza politica di Hollande è bruciata». E gli spagnoli pensano – sbagliando – di essere fuori dal guado, e di non avere bisogno di un “patto del Sud” con Italia e Francia. Così, «Renzi è solo». E si trova davanti una Bce «che ha sostanzialmente violato il suo contratto con l’Italia, lasciando cadere l’inflazione a 0,4% sapendo che questo avrebbe fatto andare in metastasi la crisi italiana». Poi c’è Juncker, a capo di una Commissione «che promette di attuare le stesse disastrose politiche economiche che si sono già dimostrate rovinose». In altre parole, «non vi è alcuno spazio di negoziazione», perché le istituzioni di Bruxelles non ammettono le loro responsabili nella catastrofe: «Sostenendo solo la volontà dei creditori, hanno messo a terra l’unione monetaria: non hanno più alcuna legittimità».
«L’Italia deve badare a se stessa», conclude Pritchard. «Si può riprendere solo se si libera dalla trappola Uem, riprende il controllo dei suoi strumenti di politica economica e ridenomina i suoi debiti in lire, con controlli dei capitali fino a quando le acque si calmano». Missione tutt’altro che impossibile, precisa l’economista inglese: «L’Italia non si troverebbe ad affrontare una crisi immediata di finanziamento, dal momento che ha un avanzo primario di bilancio». La sua posizione patrimoniale netta sull’estero, inoltre, è al -32% del Pil, a fronte di un -92% della Spagna e -100% del Portogallo. «Il paese non soffre di eccesso di debito da un punto di vista fondamentale», dal momento che il debito ipotecario è molto basso, e che il debito aggregato (pubblico e privato) è circa il 270% del Pil, cioè «molto inferiore a quello di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone, Stati Uniti, Svezia e Paesi Bassi».
Non c’è un modo “facile” di uscire dall’euro, perché «le strutture a incastro dell’unione monetaria sono andate ben oltre un aggancio di cambio fisso», e inoltre «gli interessi costituiti», quelli che hanno trasformato l’Eurozona in una sorta di lager economico cronicamente depresso, «sono potenti e spietati». Eppure non è impossibile, insiste Pritchard, secondo cui «la faccenda sicuramente precipiterà quando la traiettoria del debito italiano entrerà nella zona di pericolo». A quel punto, tutto sarà chiaro: restare nell’euro sarà il suicidio, uscirne sarà obbligatorio. Di fronte a una crisi molto forte, in autunno, «potrebbe non essere così evidente che il paese vuole essere salvato alle condizioni europee». Quindi, «Renzi può giustamente concludere che l’unico modo possibile per adempiere al suo compito», il famoso “Rinascimento” per l’Italia, «è quello di scommettere tutto sulla lira». LIBREIDEE
 

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DIE WELT: ''L'ITALIA HA TUTTI MEZZI PER CREARE LA SUA NUOVA MONETA''

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18 settembre - BERLINO - L’Italia, con le sue risorse naturali, le sue 2.451 tonnellate d’oro (pari a circa il 67 per cento delle riserve di valuta estera di Roma oggi) e altri beni geo-strategici, può creare le basi per la sua nuova moneta. E per tutti i nostalgici: no, la nuova moneta non si chiamerà certamente Lira. (TRATTO DA UN ARTICOLO DEL QUOTIDIANO TEDESCO DIE WELT
 

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In inseguito ho letto questo articolo in data 11/08/2014:
India, Banca Centrale: soldi ai poveri anziché nei servizi pubblici
NEW YORK (WSI) - Il governatore della Banca Centrale indiana, Raghuram Rajan, ha esortato il governo a trasferire direttamente denaro ai poveri invece di offrirlo ai servizi pubblici, essendo certo che risulterebbe molto più utile, evitando in questo modo che finisca in mano ad intermediari e politici corrotti.
I soldi, come riporta Bloomberg, responsabilizzerebbero i poveri a scegliere dove acquistare le merci, offrendo un'alternativa ai monopoli gestiti dal governo e creando così concorrenza nel settore privato: "Uno dei maggiori pericoli per la crescita dei Paesi in via di sviluppo è la trappola del reddito medio, dove il capitalismo crea oligarchie che rallentano la crescita", ha detto Rajan, "per evitare questa trappola e per rafforzare la nostra democrazia, dobbiamo migliorare i servizi pubblici, soprattutto quelli indirizzati alle persone più povere".
L'India l'anno scorso ha investito 1.250 miliardi di rupie (20,4 miliardi dollari) per un programma di distribuzione di derrate alimentari, il più grande al mondo. Il problema però è che gli sprechi e i furti hanno impedito di raggiungere le persone più affamate.
Più di due terzi degli indiani infatti mangiano meno dell'obiettivo minimo fissato dal governo, portando l'India ad essere uno dei Paesi al mondo con il più alto tasso di bambini malnutriti.
Il nuovo piano prevede ora l'identificazione dei poveri, la creazione quindi di identificatori biometrici univoci, e l'apertura di conti bancari collegati.
"La corruzione ha rovinato il Paese" ha dichiarato il primo ministro indiano Modi, "prometto che lotteremo con piena forza per risolvere questo problema".


L’ILLUMINAZIONE di questo governatore della BANCA CENTRALE, che personalmente non mi è affatto sconosciuto ma lo ritengo tra i migliori al MONDO, e paragonabile alla folgorazione di SAN PAOLO sulla VIA DI DAMASCO. Forse egli ha potuto avere tale folgorazione per il fatto che VIVE in un PAESE dove la povertà è ancora molto preponderante e la corruzione del SETTORE PUBBLICO cresce in modo proporzionale alla INDUSTRIALIZZAZIONE del suo PAESE. E qui ci saranno le famose frasi “TUTTO IL MONDO E’ PAESE2” “ SE LO FANNO TUTTI CHE C’E’ DA MERAVIGLIARSI” “E’ LOBULO CHE SI DEVE PAGARE ALLA CORRUZIONE, NESSUNA NOVITA”, ma la migliore rimane “FA GIRARE L’ECONOMIA, POICHE’ CHI LO ESEGUE FA GIRARE L’ECONOMIA” .
Ma chi paga questo tributo . Di certo il SETTORE PRIVATO, tranne quello colluso, che lo SUBISCE. A forza di subire qualcosa può accadere. Non essendo più CITTADINI, ma SUDDITI.
Il continuare a perseverare in questa suddivisione porterà a qualcosa di irrimediabile e grave. Dividere i CITTADINI in serie A e serie B prima o poi provocherà la RIBELLIONE che non sarà forse violenta, ma ECONIMICA di sicuro.
 

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Luigi Di Stefano
Pubblicato mercoledì 25 Febbraio 2009


Ovvero: come centinaia di migliaia di cittadini italiani, in gran parte ancora ignari, verranno chiamati dai Tribunali italiani a pagare le perdite PLURIMILIARDARI e degli squali di WALL STRET.
Tutti abbiamo saputo dei cosiddetti “MUTUI SUBPRIME” americani, che sono stati una delle basi della crisi finanziaria planetaria dovuta alla finanza tossica.
Le banche e le società finanziarie americane concedevano un mutuo per la casa a soggetti che difficilmente potevano poi pagarlo, ma in questo modo creavano un credito certo ed esigibile, coperto da una garanzia immobiliare.
Questo “credito certo” veniva poi utilizzato come base per emettere altri titoli di credito (i famosi Derivati o Hedge Fund) che con le cosiddette prassi dell’ingegneria finanziaria veniva moltiplicato all’infinito.
A dire che su un “credito certo” ad esempio di 100.000$ (il mutuo) si garantivano cinquanta e cento volte tanto di Derivati ed Hedge Fund.
Quando il castello finanziario è cominciato a franare, e si andati dal povero cristo a cui avevano fatto il mutuo, tutto è crollato.
Tranquilli, ci dice il governo italiano. Le banche italiane sono solide e giudiziose, non hanno fatto MUTUI SUBPRIME e “finanza creativa”. E’ vero che per salvarle dal disastro della crisi planetaria lo Stato gli ha regalato miliardi di Euro dei contribuenti (sulla cifra vera c’è il segreto di Stato), è vero che le banche si sono incamerati questi soldi e stanno strozzando l’economia reale negando il credito alle imprese, ma sono quisquilie, pinzellacchere.
Voi state tranquilli.
Tutto prende le mosse dalla legge 130/1999 fatta dal governo D’Alema, quella delle “cartolarizzazioni”. Le banche nel loro complesso avevano, dopo la crisi del 1992 (uscita dallo SME per le operazioni speculative contro la lira organizzate dal celebre finanziere SOROS attraverso il “Quantum Fund”, con conseguente svalutazione della lira, crisi economica ecc ) avevano migliaia di miliardi di crediti ipotecari e chirografari di difficile se non impossibile esigibilità. Con la legge 130/1999 gli si consentiva di vendere questi crediti a terzi (appunto la “cartolarizzazione”) e di mettere in perdita la differenza fra il credito vantato (ad esempio 100.000€) e il prezzo di cessione del credito (ad esempio 40.000€), defalcando dall’imponibile fiscale i 60.000€.
Mentre prima il credito “certo e libero” andava dimostrato in tribunale per poter agire contro il debitore ora diventava “certo e libero” su semplice dichiarazione della Banca. Mentre prima era vietato cedere un credito a terzi senza il consenso del debitore ora si poteva cedere questo credito all’insaputa del debitore (con un semplice annuncio in Gazzetta Ufficiale (la Banca X ha ceduto i suoi crediti alla Società Y). E a chi li vendevano questi crediti “certi e liberi” le banche? A se stesse.
Tutte le banche crearono delle SRL con capitale di venti milioni alle quali vendettero crediti per migliaia di miliardi di lire, gli ipotecari al 40% del loro valore nominale, i chirografari al 10% del loro valore nominale. E come pagarono questi crediti le SRL ? Con delle “obbligazioni”, cioè con delle “promesse di pagamento”, cioè con delle “cambiali” (nobilitate anche col nome di Derivati ed Hedge Fund, appunto). Cambiali che erano garantite dal credito acquistato e che rimaneva al 100% nei riguardi dell’ignaro debitore.
Capito il meccanismo?
Le banche vendettero a se stesse i crediti sottraendo al fisco il 40% o il 90% dell’imponibile, ma il credito rimaneva al 100% “certo e libero” in quota a una società di proprietà della stessa banca, che però non ci pagava le tasse perché a bilancio questo “attivo” si sottraeva il “passivo” delle obbligazioni emesse. Ma attenzione: le banche avevano già recuperato fiscalmente questi crediti poiché aveva già conseguito il beneficio degli ammortamenti attraverso il dispositivo degli accantonamenti annuali al fondo di svalutazione crediti e al fondo di rischio. Di quanto? Diciamo mediamente del 70% (accantonamento del 5% annuo sul Fondo Svalutazione Crediti (FSV) e di un altro 5% annuo sul Fondo Rischio Crediti (FRC).
E, di che cifre stiamo parlando?
Le operazioni di cartolarizzazione a partire dal 1999 sono state attuate dalle maggiori banche nazionali, per un ammontare stimato di oltre 300 miliardi di euro, pari a circa 580.000 miliardi di lire, con elusione fiscale derivata che ha aperto una voragine nei conti pubblici di almeno 150 miliardi di euro, pari a 290.000 miliardi di lire. Prima fra tante, la Banca di Roma spa che nel 1999 ha cartolarizzato oltre 20.000 miliardi di crediti con i multipli delle società da essa controllate Trevi Finance spa - Trevi 1 e Trevi 2, seguita a ruota dalla Banca Nazionale del Lavoro, che ha ceduto i propri crediti alla S.V.P. Venezia spa e alla AERES FINANCE, che insieme al Banco di Napoli, hanno ceduto i propri crediti alla S.G.C., dal Monte Paschi di Siena che ha ceduto alle varie società satelliti; Banca Intesa che ebbe a cedere decine di migliaia di milioni di euro prima a Intesa Gestione Crediti, operazioni proseguite anche dopo la fusione in Intesa-San Paolo, con la cessione da Intesa Gestione Crediti a Castello Finance, che ha travasato i suoi crediti in ITALFONDIARIO, divenuta la più ricca finanziaria, con un portafoglio da recuperare di oltre 26 miliardi di euro. Un’operazione degna di nota è quella compiuta nel 2008 da Unicredit Banca di Roma che ha cartolarizzato un miliardo e passa di crediti con la Aspra Finance.
Capito che roba?
Crediti incagliati, già portati in ammortamento per il 70/80% (e quindi sottratti al fisco), sono ridiventati “veri e liberi” e contemporaneamente sottraendo al fisco la stratosferica cifra di altri 150 miliardi di € (quattro di cinque leggi finanziarie). 150 miliardi di € che per “risanare i conti pubblici” lo Stato deve richiedere ai cittadini, pagati coi nostri stipendiucci, le nostre miserabili paghe orarie (e mi riferisco ai giovani) di 4 o 5 € l’ora. Vogliamo ringraziare il Presidente del Consiglio (e il governo, pure di sinistra (beh, è da ridere no?) che hanno avuto la bella pensata di fare la legge 130/1999?
Ed ora che abbiamo descritto il prologo, vediamo come, oltre a rimettere 150 miliardi di € nei conti pubblici, ne dovremo dare altri 300 miliardi agli squali di WALL STREET, su sentenza dei tribunali della Repubblica Italiana. E quindi dove stanno realmente i nostri “MUTUI SUBPRIME”
Abbiamo spiegato all’inizio che i mutui sub prime erano in realtà crediti inesigibili trasformati in crediti “veri e liberi” per costruirci Castelli Finanziari. E abbiamo citato una serie di società finanziarie italiane (Trevi Finance Spa - Trevi 1 e Trevi 2, S.V.P., Venezia spa, AERES Finance, S.G.C, Intesa Gestione Crediti, Castello Finance, ITALFONDIARIO) che hanno ricevuto centinaia di miliardi di € di crediti che “erano incagliati e inesigibili”, ma sono stati trasformati in “veri e liberi” su semplice dichiarazione delle rispettive banche. 300 miliardi di € di crediti diventati “veri e liberi” che si sono venduti a WALL STREET per costruire titoli tossici, ecco i nostri MUTUI SUBPRIME
 

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La democrazia e i politici italiani dovranno affrontare una epocale “prova di resistenza”. Sarà radicale più o meno come l’inizio (1861) e la fine (1946) della monarchia italiana, incluso l’intermezzo fascista.

Per l’Italia non c’è nessuna solida ragione per rimanere nell’unione monetaria. E non c’è mai stata. L’impero di Carlo Magno era sussidiario e decentrato. Oggi si proseguirà, passando attraverso il deserto economico dell’unità monetaria, per creare con brutale violenza politica gli “Stati Uniti d’Europa”. In fin dei conti è l’unica sottostante logica per l’unione monetaria, che nessun politico potrebbe esprimere nella sua mostruosa radicalità.
L’economia italiana si trova da sei anni in una durevole depressione. La produttività economia è crollata drammaticamente, dal suo massimo del 2007 al livello di quattordici anni fa. La produzione industriale è nelle condizioni degli Anni ’80. L’industria concorrenziale e le imprese produttrici muoiono: la disoccupazione giovanile si situa all’incirca al 42%. Prima di aver legato la lira al marco, nel 1996, il Nord-Italia produttivo aveva un sano surplus commerciale con la Germania, benché il marco si rivalutasse regolarmente.
In molte regioni oggi il mercato immobiliare è in caduta libera. Più del 90% degli italiani sono scontenti del proprio Paese, fino ad occupare la quartultima posizione nel mondo, peggio perfino dei territori palestinesi o dell’Ucraina. Il livello del debito, in rapporto al prodotto interno lordo, si trova attualmente all’incirca al 135%. La meta da raggiungere, al momento dei negoziati sull’unione monetaria degli anni 1996-1999, era (ed è) per tutti gli Stati dell’euro il 60%/pil. Nessuno Stato si è attenuto a ciò e certamente non il nuovo commissario francese alla Moneta Pierre Moscovici, di recente nominato, che ora rischia di essere considerato il lupo cui si affida la pecora.
Con un’inflazione zero l’Italia deve raggiungere un avanzo primario, senza contare il servizio del debito, del 7,8%, per rimanere capace di sopravvivere, in modo che siano assicurati il pagamento degli interessi, l’ammortamento e le prestazioni necessarie dello Stato. E questa è una pura illusione. L’Italia è una delle ragioni per cui la Banca Centrale Europea ha già perso la partita e si trova nel panico, come mostrano chiaramente le misure dell’ultimo consiglio della Bce.
Sicché l’Italia uscirà dall’unione monetaria, anzi dovrà farlo. La democrazia e i politici italiani dovranno affrontare una epocale “prova di resistenza”. Sarà radicale più o meno come l’inizio (1861) e la fine (1946) della monarchia italiana, incluso l’intermezzo fascista.
Ciò che tiene (ancora) insieme l’Italia sono pochi fattori: tassi d’interesse storicamente bassi, l’assegno in bianco irrazionale di Berlino per proteggere e garantire fiscalmente (Contratto ESM), l’Italia e tutti gli euro-Stati e lo spericolato tentativo della Bce, attraverso l’acquisto di titoli, in contraddizione col sistema, di comprare principalmente e inconfessatamente la carta straccia delle banche italiane (ABS, RMBS) attraverso usufruttuari privati (‘BlackRock’) e di distribuire i rischi ai contribuenti europei e tedeschi (2). Secondo calcoli della banca d’affari italiana Mediobanca la crescita dell’economia italiana dipende per circa il 67% dal valore esterno dell’euro (per la Germania si tratta del 40%). Non fa meraviglia che ora la Bce e Wall Street tentino il miracolo di una svalutazione della moneta per comprimere l’euro fino a portarlo alla parità rispetto al dollaro americano, per stabilizzare l’Italia. Il sistema vacilla e la politica rimane senza parole.
Tutto ciò non salverà l’Italia. Già si preparano nuovi shock esogeni. Per come stanno le cose oggi, Marine Le Pen, la presidente del Front National, dovrebbe vincere in scioltezza le prossime elezioni presidenziali e come primo provvedimento della sua amministrazione annuncerebbe l’uscita dal patto monetario europeo.
Il voto popolare potrebbe strappar via la Scozia da un’Inghilterra molto poco amata. Ciò corrisponderebbe alla logica della ri-regionalizzazione politica attraverso il sorgere del Superstato di Bruxelles, il contromodello di quello di Carlo Magno. I catalani copierebbero immediatamente questo trucco di liberazione dalle catene senza versamento di sangue degno di Houdini e spingerebbero ancora più in alto il rischio politico in Europa in modo che anche l’ultima delle persone partecipanti al mercato se ne accorga, che si rompa l’impero sognato dell’euro e che Berlino non lo protegga e non lo paghi. L’Italia, col suo tesoro di territorio, le sue 2.451 tonnellate d’oro (corrispondenti a circa il 67% delle attuali riserve di valuta di Roma), e altri beni geostrategici può ben sostenere la sua nuova valuta. E per tutti i nostalgici: no, la nuova moneta sicuramente non si chiamerà Lira.
(1)Kolumne : Italien wird Euro-Zone den Rücken kehren - Nachrichten Print - DIE WELT - Finanzen - DIE WELT
 

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