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L’incompatibilità manifesta tra una Banca Centrale indipendente e la Costituzione

Pubblicato su 14 Settembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in POLITICA
Fin dal trattato di Maastricht del 1992 il cuore pulsante dell’Europa voluta dalla finanza neoliberista era il SEBC, ovvero il sistema Europeo delle banche centrali.
La banca centrale europea (BCE) e’ l’unico organo con il potere di emettere denaro (senza alcun limite quantitativo) e deciderne il suo costo all’interno dell’unione europea, autorizzando in tal senso anche le banche centrali dei paesi membri. Le stesse sono per la stragrande maggioranza società per azioni (talvolta di fatto in contrasto con il proprio statuto come avviene per la Banca d’Italia) le cui decisioni vengono prese in board nei quali sono le banche private commerciali, per mezzo dei loro rappresentati, a determinare le scelte di politica economica secondo i propri esclusivi interessi.
BCE, come riconfermato anche nel successivo Trattato di Lisbona, e’ organo completamente indipendente e sovrano: “Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente trattato e dallo statuto SEBC, né la BCE né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli stati membri si impegnano a rispettare questo principio e non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti”.
Una simile norma non ha alcuna legittimazione sotto il profilo Costituzionale e dunque le leggi di ratifica dei trattati UE sono palesemente illecite e dovrebbero essere espunte dall’ordinamento.
In primo luogo il SEBC non e’ compatibile con l’art. 1 Cost. il quale prevede che la sovranità spetti al popolo. Dunque il riferimento costituzionale e’ ad ogni sovranità e pertanto anche alla sovranità monetaria che invece e’ stata ceduta al SEBC e conseguentemente alle determinazioni unilaterali delle banche commerciali che, votando nei board delle rispettive banche centrali, decidono le politiche monetarie UE.
Occorre rammentare che l’art. 1 Cost. prevede la possibilità di limitare la sovranità popolare con i vincoli del successivo art. 11 che testualmente recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Dunque la Costituzione consente unicamente limitazioni della sovranità e non le cessioni integrali come avvenuto con la sovranità monetaria. Inoltre non e’ rispettato neppure il secondo requisito, ovvero quello relativo alla reciprocità di queste cessioni. Oggi per l’Italia non disporre della sovranità monetaria comporta un costo maggiore per il proprio finanziamento sui mercati rispetto ad altri paesi UE e dunque, questa cessione, non pone gli Stati in condizioni di parità ma in una situazione di forte diseguaglianza che fomenta peraltro tensioni internazionali evidenti. Si finisce per fare esattamente l’opposto che favorire la pace tra le nazioni come vorrebbe il precetto costituzionale.
Altrettanto palese e’ poi l’incompatibilità del SEBC con l’art. 47 Cost. che dispone: “La Repubblica (omissis…) disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Ovvio che una Banca centrale indipendente, che non può ricevere neppure semplici istruzioni o consigli dalle Nazioni, non e’ affatto controllata o coordinata dalla Repubblica. Anzi e’ vero il contrario, ovvero che e’ il SEBC a controllare gli Stati e determinarne le politiche anche per mezzo di veri e propri ordini. Ciò e’ ad esempio avvenuto in Italia nel 2011, con la nota e vergognosa lettera di imposizione delle politiche di austerità salita alla ribalta nella cronache di allora.
Siamo dunque riusciti nella mirabolante impresa di creare e codificare l’Europa della banche anziché quella dei popoli con le conseguenze economiche che purtroppo vediamo. Oggi i profitti delle lobby prevalgono sul pubblico interesse. Peraltro la sovranità moneteria non e’ l’unica ceduta in violazione di legge avendo l’Italia rinunciato (anche per conseguenza a quanto detto) anche alla sovranità economica, politica e legislativa e di questo si dirà in altri articoli.
Di: Marco Mori - Tratto da: Avv. Marco Mori - Studio Legale
 

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Un déjà vu chiamato Maastricht
Pubblicato su 11 Settembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in ECONOMIA
1992-2014: uno stesso schema consolidato per cedere al “vincolo esterno”


di Cesare Sacchetti
Coordinatore Roma Movimento base Italia

Esiste forse un legame tra il 1992 e il 2014, un ricorso storico che lega queste due date? Nel 1992 il Paese si trovava sull’orlo di un grande stravolgimento politico e si consumò una lacerazione di cui ancora oggi portiamo il segno. Sul banco degli imputati della crisi istituzionale sistemica, finirono la corruzione della classe politica e l’eccessivo debito pubblico. Uno schema che vediamo ripetersi anche oggi, quando l’attenzione dei media è concentrata esclusivamente su questi due fenomeni, rappresentandoli come se l’uno fosse la conseguenza dell’altra e infondendo nella pubblica opinione quel senso di colpa per essere andati oltre i propri limiti, per “aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità” come se tutto ciò che abbiamo vissuto in passato fosse stato un lusso che non potevamo più permetterci. Perciò, buoni e tranquilli, seguimmo le indicazioni che ci diedero i tecnici e non ci siamo chiesti perché mai un Paese che aveva toccato le vette dell’eccellenza a livello mondiale, precipitò in quell’abisso. Può essere ancora valida l’equazione corruzione uguale debito pubblico, propinata pedissequamente da media e giornalisti?

Viene spesso omesso che negli anni precedenti alla crisi del ‘92 ci fu lo smantellamento degli strumenti economici che lo Stato aveva a disposizione per controllare la propria economia. Si cominciò nel 1979 limitando la flessibilità valutaria della Lira con lo SME (Sistema Monetario Europeo) padre dell’Euro, un accordo di cambi fissi che permetteva agli speculatori di attaccare costantemente la Lira, e si proseguì nel 1981 con il divorzio tra Bankitalia e Tesoro, che come ammisero i loro stessi protagonisti Ciampi e Andreatta in uno scambio epistolare, fece schizzare il debito pubblico oltre il 100% del PIL in pochi anni impedendo la monetizzazione dei titoli di Stato che permetteva di mantenere i livelli dei tassi di interesse a basse percentuali. La bolla del debito era così nata, e si era messo in moto il meccanismo per il quale gli stessi artefici del problema trovano la soluzione, quella di iniettare massicce dosi di austerità e tagli alla spesa sopprimendo le politiche dello Stato sociale. Le conseguenze di questa operazione sono taciute da media, stampa e economisti mainstream all’opinione pubblica convinta che il problema scaturisca esclusivamente dalla corruzione e dal malaffare. Il terreno per agganciare il Paese al vincolo esterno e privarlo definitivamente della sua sovranità era così spianato e si iniziò con la firma del Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, con la cessione della sovranità monetaria e legislativa e la previsione di limiti all’indebitamento statale con il famigerato 3% di deficit sul PIL e il tetto del 60% di debito pubblico/PIL, disinnescando la leva dell’indebitamento statale prevista in Costituzione e creando un vulnus tra i Trattati e la Costituzione ancora irrisolto. A distanza di dieci giorni dalla firma venne arrestato Mario Chiesa ed è l’inizio di un’ondata giudiziaria che avrebbe spazzato via l’intera classe dirigente, fortemente indebolita dagli arresti e dai processi e che approverà in quel clima di confusione e orgia moralizzatrice la ratifica di Maastricht, senza che l’opinione pubblica avesse la minima idea delle conseguenze dell’integrazione forzata europea. Mentre eravamo impegnati a rincorrere lo scippatore, lasciavamo la porta di casa aperta e i ladri indisturbati si appropriavano dei gioielli di famiglia. Volevamo castigare la classe politica per le sue malefatte indiscutibili, ma nello stesso istante inconsciamente abbiamo spalancato le porte della sovranità nazionale e permesso che la clava del vincolo esterno ci governasse definitivamente convinti di essere irredimibili e che fosse meglio farci governare da apparati di potere esteri.Perché mai solamente in quell’anno la magistratura si mosse per colpire la corruzione della classe politica, sancendo quello che in realtà era un segreto di Pulcinella da decenni? Il Pool di Mani Pulite divenne l’emblema dell’Italia giusta e retta e la questione morale fu agitata come un panno rosso davanti agli italiani che caricarono con tutta la loro furia i politici dell’epoca, fino ad arrivare al famigerato lancio di monetine contro Craxi all’Hotel Raphael. Il potere fu dissacrato e il popolo volle umiliare e maramaldeggiare i cadaveri della Prima Repubblica e nel terremoto giudiziario che sconquassava la Penisola riuscirono a sopravvivere solo i dirigenti dell’ex partito comunista che salirono al Governo nella seconda metà degli anni’90, quegli stessi dirigenti che ci trascinarono nell’unione monetaria senza una consultazione popolare e importatori del liberismo economico fino ad allora ignoto nel nostro ordinamento, facendosi vanto della privatizzazione di aziende in attivo poi spolpate da capitalisti di ventura. E’ in questo clima di caccia alle streghe, tra gli arresti di Mario Chiesa, il suicidio di Sergio Moroni e gli attentati terroristici paramilitari contro i giudici Falcone e Borsellino che lo Stato Imprenditore protagonista del Miracolo Economico viene soppresso dall’allora Governo Amato, tra i pochi superstiti del Partito Socialista travolto dagli arresti, e dall’attuale presidente della BCE Mario Draghi allora direttore generale del Tesoro, svendendo gioielli come la Nuovo Pignone, la Lebole, il polo chimico e l’IRI, quel gruppo industriale in grado di realizzare utili da capogiro che il mondo ci invidiava. Allora come oggi, gli speculatori stranieri, Goldman Sachs in testa, si giocavano le vesti dell’Italia ai dadi e la parola d’ordine è sempre la stessa: abbattere il debito pubblico creato dalla corruzione e instillare negli italiani quel senso di colpa e quel disprezzo verso se stessi che un popolo esterofilo come il nostro poteva facilmente accogliere. Ad oggi non esiste un solo caso di Stato a moneta sovrana con cambi flessibili che sia imploso per il debito pubblico e l’arma utilizzata dai finanzieri speculatori come George Soros per attaccare la nostra economia fu proprio lo SME, e in questi giorni stiamo assistendo a una situazione analoga a quella del’92, ma certamente peggiore sotto il profilo economico, perché agli inizi degli anni’90 venivamo da 40 anni di crescita costante con un tasso medio del 4,36% di PIL, piazzandoci al primo posto in Europa. Sì, la nostra economia era leader in Europa. Francia e Germania ci guardavano con timore, perché sapevano che occorreva eliminare questo pericoloso concorrente. L’aggressione riuscì grazie anche al vuoto politico e dirigenziale innescato da Mani Pulite, che lasciò il Paese sguarnito di una classe politica certamente macchiatasi di gravi responsabilità e odiose ruberie, ma che aveva permesso all’Italia di toccare l’apice del benessere economico.

A distanza di anni ci sembra più facile ricordare politici del calibro di Giulio Andreotti, di Luigi Spaventa, di Aldo Moro e di Bettino Craxi che annunciò e predisse l’inferno europeo in una memorabile intervista del 1997, denunciando l’assurdità dei parametri economici di Maastricht. Per colpire l’Italia era necessario abbattere quel muro maestro rappresentato dalla classe politica della Prima Repubblica. Oggi l’Eurozona rappresenta la tomba delle costituzioni democratiche dei Paesi europei posti sotto schiaffo dalle direttive di una Commissione Europea non eletta democraticamente e simbolo di un sistema “robotizzato”,come definito puntualmente dal Professor Guarino e che prosegue su questa linea direttrice senza guardare indietro, distruggendo tutto ciò che si frappone sul suo cammino. Nella situazione odierna la finanza ha una potenza di fuoco ancora maggiore di quella che aveva nel 1992, con Stati privi di una moneta sovrana e succubi dei mercati di capitali e con strumenti finanziari come i derivati che rappresentano bombe a orologeria innescate nel sistema che aspettano solo di detonare. Nel 2014, dopo 5 anni consecutivi di recessione economica, e un PIL che ha registrato un calo complessivo di 6 punti percentuali e con l’Eurozona che ci ha sottratto del tutto la sovranità monetaria e la leva della spesa pubblica, ci sono analogie con quell’epoca ma non avendo più alle spalle quel benessere economico che è stato il nostro scudo, e soprattutto privi di una classe politica, sostituita da figurine la cui caratteristica principale è la parlata svelta con termini anglosassoni mal pronunciati, dalle maniche di camicia arrotolate e dal tacco 12 svettante di una dilettante che cita a sproposito Fanfani. I ministri di oggi sono anonimi e privi di identità politica, sono controfigure che non rispondono al popolo italiano, ma hanno i loro referenti negli speculatori finanziari d’oltremanica e d’oltreoceano ai quali stanno svendendo il Paese e il suo patrimonio culturale,sociale e industriale, fedeli al culto dei capitalisti delocalizzatori sempre pronti a maledire lo Stato quando si mette tra i piedi e non avalla i loro piani di deflazione salariale, ma subito pronti a invocarlo per ripianare i buchi di bilancio delle loro dissennate gestioni. Le perdite, si sa, sono collettive e i profitti privati, con tanti saluti al libero mercato del Paese delle Meraviglie. Il futuro che ci attende è cupo e incerto in questi giorni di saldi dei nostri beni pubblici, ma il faro a cui dobbiamo rivolgerci è quello che ci donarono i padri costituenti nel 1948: la Costituzione e gli articoli della parte economica che prevedono un intervento diretto dello Stato per arrestare la crisi indotta dalla finanziarizzazione del sistema economico e abbandonare quella zona grigia governata dalle corporation che si sono sostituite ai governi eletti democraticamente e soffocano il libero sviluppo sociale, culturale ed economico della nazione.

Tratto da:L'Antidiplomatico




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giovedì 31 luglio 2014

L'INUTILE MASSACRO DEL PARLAMENTO PER...LA GOVERNABILITA' QUANDO GIA' SIAMO UN PROTETTORATO (presto privato dell'indipendenza oltre che della sovranità democratica)




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Non preoccupatevi dell'Argentina.
Anche se registra il secondo default in 12 anni, anche se ha sbagliato nuovamente a voler mantenere uno "strisciante" aggancio col dollaro, che nascondeva l'andamento effettivo dei rispettivi REER (facendo però politiche espansive oltre i limiti ragionevoli che avrebbe consigliato, ai livelli di crescita e di spesa pubblica tenuti dopo il primo default, una linea ortodossa rigorosamente keynesiana), ebbene, nonostante ciò - e nonostante la scandalosa sentenza USA che ha dato ragione ai fondi-avvoltoio e minato alla base l'efficacia di ogni futuro accordo coi creditori post default-, l'Argentina rimane un paese sovrano e, quindi, può riprendersi.
Cioè, faticando e soffrendo, può comunque uscire da una crisi per la quale dispone di tutti i mezzi monetari e di correzione delle politiche fiscali ed economiche che possono rendere semplicemente ciclica la difficoltà conseguente a questo nuovo default.


L'Italia no: l'Italia non è in default ma è nella diversa situazione di un paese dai conti pubblici sanissimi, i più sani dell'eurozona, considerato lo spaventoso calo del suo PIL post crisi del 2007-2008, e certamente non le si può imputare di aver tenuto politiche espansive e di aver lasciato mano libera all'inflazione. Ma solo, semmai, di aver agganciato il suo cambio alla Germania e di considerare questa realtà come incontestabile, anzi da mantenere ad ogni costo, e persino indifferente sulla sua stessa struttura sociale ed industriale, (le due cose ormai vanno considerate inscindibilmente).
Solo che, ormai, l'Italia non è più un paese sovrano.
Ed è nella diversa condizione di essere assoggettata all'influenza sovranazionale colonizzatrice, che rende la modifica del suo assetto socio-economico, e del suo stesso status nella comunità internazionale (come comprovano le bizzarre vicende della trattativa sulle cariche europee, in cui il governo attuale dimostra di non aver minimamente colto questa ormai irreversibile situazione) una decisione sottratta ad ogni benchè minima interferenza del suo corpo elettorale (ammesso che questo sia ancora in grado di percepire se stesso al di fuori del condizionamento della grancassa mediatica ordoliberista).
In questa situazione, l'Italia è quindi oggetto di una pseudo-crisi che in realtà è LA CONSEGUENZA, ARTIFICIALE, cioè intenzionalmente costruita con attenta pervicacia in nome del "vincolo esterno", DI UN NUOVO ASSETTO DI DOMINIO con FINI STRUTTURALI, dettato dall'assoggettamento a FORZE ESTERE (di natura in ultima analisi privata e finanziaria), che non si fermerà finchè, con ogni mezzo, non avrà raggiunto il suo obiettivo finale di colonizzazione.


Quindi, a fronte della situazione di gratuito suicidio cui si sta sottoponendo, per complice insipienza di un'intera e incontestata classe politica e dirigente auto-colonizzatrice, adesso dovrà prendere atto dello scontato fallimento- annunciato e anzi perseguito con fiera ostinazione- delle politiche economico-fiscali che sono state irreversibilmente stabilite persino in Costituzione.


Mentre, quella stessa Costituzione, è persino sottoposta a un nuovo programma di devastazione teso esclusivamente a minare ogni resistenza parlamentare, cioè democratica, alla prosecuzione del suicidio: ma l'€uropa non considera rilevante e neppure prioritario questo massacro!
Semplicemente perchè, nella sua follia tecnocratica, APPLICATA SU MISURA PRINCIPALMENTE ALL'ITALIA, - che si conferma con ciò la vera posta in gioco dell'intera manovra dell'euro (e nonostante il backfire del disegno si sia rivoltato, in parte, sul socio "Francia" ed a principale vantaggio della Germania)- l'€uropa ha già i mezzi per rendere irrilevante il fastidioso parlamentarismo italiano. E ogni traccia della sua democrazia costituzionale. OGNITRACCIA.


Infatti, già ora, vigente il twopacks, che fissa l'assoggettamento della manovra di bilancio attuale all'approvazione della Commissione UE, e rende una semplice formalità ogni tipo di dibattito parlamentare in sede di sua approvazione, inscenato in guisa di illusoria facciata per un'opinione pubblica, neurologicamente sterilizzata dai media, e quindi senza capacità di comprendere e di reagire.
Se infatti il parlamento intervenisse a mitigare, - peraltro per disorganiche esigenze clientelari, e dando spettacolo di semi-assalto alla diligenza, (per di più da parte degli stessi soggetti politici che hanno trionfalmente appoggiato Monti, la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e lo stesso twopacks)-, i "saldi" della manovra di "stabilità" (ma nulla porta più instabilità socio-economica che il seguire l'€uronomics ad ogni costo per favorire i paesi creditori-concorrenti), poi l'€uropa (id est. "i mercati") può imporre non solo interventi correttivi ulteriori, MA BEN ALTRE SANZIONI MANIFESTAZIONE DI UNA SOVRANITA' ESTERNA ORMAI CONCLAMATA.




E lo può fare in base ad uno strapotere che non si nutre delle procedure di infrazione e della defatigante applicazione delle sanzioni nei termini previsti dai trattati.
I trattati, infatti, sono ormai un canovaccio, neppure troppo rammentato nelle sue formulazioni originarie, che ha lasciato il posto al vero nuovo ordine antiitaliano a cui, sostanzialmente, si può oggi ridurre l'€uropa.
Questa infatti, a livello di sanzione effettiva e imposta de facto al di fuori di ogni ratifica ed esecuzione di trattato "di secondo grado" (e normalmente illegittimo o nullo per violazione del TUE-TFUE) ha il potere di decidere, attraverso vie nascoste, o meglio occulte, rispetto ad ogni procedimento democratico-costituzionale, ogni eventuale cambio di governo italiano per garantire, con la massima sanzione politica possibile (cioè il controllo extraordinem della sovranità nella sua più delicata espressione democratica), che la colonia Italia non dia segni di ribellione.
E che sia prontamente passibile di (auto)rappresaglia.


Questo potere dell'istituzione ordoliberista sovranazionale è così evidente, come sanno Letta e prima ancora Berlusconi, eppure così compattamente ignorato.


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Questo ci fa capire qualcosa sulla giustificazione della "governabilità" data alla riforma del Senato: si vuole stabilizzare il governo che la propone, ponendolo al riparo dalla rappresaglia della ghost institution ordoliberista €uropea, credendo che ciò sia sufficiente per dimostrarsi preventivamente più realisti del Re, cioè spingendo, per via interna, verso la pratica sterilizzazione della funzione parlamentare.
Risultato, come abbiamo visto, certamente perseguito dalla governance UEM e senza alcun dubbio ed equivoco.


Ma, ripetiamo, è un calcolo sbagliato.
L'€uropa questo risultato l'ha già ottenuto per vie ben più efficaci: e quindi dell'obolo della distruzione del Senato ci fa ben poco.
Non si può garantire la propria posizione rispetto al creditore che ha già posto in vendita i beni pignorati dicendo che li venderai tu stesso; per di più, a un creditore che ha già accumulato il titolo per estendere il pignoramento e che può dare per scontato quanto già ottenuto.


Per questo, il tempo che ci separa dalla presentazione della nota di aggiornamento del DEF, entro il 20 settembre 2015, e dalla conseguente "vera" approvazione della manovra da parte di Bruxelles, entro il 15 ottobre, si prospetta come il più drammatico della Storia della Repubblica italiana.
Perchè preannuncia di segnarne non solo la fine in termini di sovranità democratica, ma di vera e propria indipendenza politica da quella "tutela" sovranazionale che, ormai, è solo il velo per nascondere i giochi di due contendenti - USA E GERMANIA- che, però, sono concordi con lo smantellamento degli artt.1 e 4 Cost.(a carico nostro, perchè, specialmente gli USA, a casa loro, un gioco equivalente non lo farebbero mai).
Per i loro interessi di capofila degli investitori stranieri e PER LA IMPERANTE RELIGIONE DEGLI IDE (il gran argomento dell'unanimità di espertoni e media autorazzisti), rispetto ad un paese che "deve" essere ridotto al rango di "emergente", cioè a fabbrica cacciavite e hub turistico estero-controllati.
Per sempre.




Pubblicato da Quarantotto a 13:06







26 commenti:
 

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L’eccezione tedesca nel collocamento dei titoli di stato :D:rolleyes::rolleyes::rolleyes::D:D:D


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29 marzo 2013 |
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Autore Redazione | Stampa articolo
Bisogna tenere conto di due cose per capire questo articolo, che non ha specificato
1. i titoli di stato sono considerati altamente liquidi nelle operazioni tra banche cioè alla stregua di moneta, sono moneta
2. la differenza tra mercato primario e mercato secondario è unicamente che il primo è l’oligopolio delle banche dealer che vanno alle aste pubbliche del debito con una sorta di diritto di prelazione sui titoli e un monopolio effettivo sugli stessi e sul loro tasso di rendimento (http://www.stampalibera.com/?p=59366)
Semmai dall’articolo sotto appare chiaramente che:
1. E’ la BUBA a stampare i TDS E NON LO STATO, a riprova dello scippo totale di sovranità degli Stati.
2. La BUBA, ma anche tutte le BC ivi compresa la BCE, si comporta come una vera e propria banca di investimento, o fondo avvoltoio secondo le parole della Kirchner: cioè specula in borsa, emette strumenti derivati e altri certificati strutturati e lo fa con i nostri TDS, che utilizza come moneta, ma i cui interessi sono “spalmati” dal verbo “to spread” sui popoli, di preferenza i cosiddetti PIIGS. E lo fa grazie ai differenziali di rendimento dei TDS e ai vari trucchi e sotterfugi che i paesi cosiddetti ‘forti’ utilizzano per derubare i cosiddetti paesi deboli o PIIGS.
Chiaro?
Nicoletta Forcheri
1/4/2013


Fonte: http://www.economiaepolitica.it/?s=la+bundesbank+compra+i+bund+tedeschi&x=9&y=8

Scritto da Manfredi De Leo il 07 Dicembre 2011
1. L’esito della recente asta dei titoli pubblici tedeschi ha sollevato un interessante dibattito intorno alle specificità del meccanismo di collocamento dei titoli pubblici che sembrano distinguere la Germania dagli altri paesi dell’eurozona. Il dibattito prende spunto dai dettagli presenti nel resoconto ufficiale della procedura d’asta, laddove si comunica che sono stati emessi tutti i 6 miliardi di euro di titoli inizialmente previsti dal governo, ma al contempo si afferma che – di questi – solamente 3,6 sono stati collocati presso investitori privati. Si tratta dunque di capire esattamente cosa è successo a quei 2,4 miliardi di euro di titoli residui, che sono stati dichiarati emessi, ma non sono stati sottoscritti dai partecipanti all’asta.​
Il resoconto ufficiale dell’asta definisce quella particolare quota dell’emissione come “Ammontare messo da parte per operazioni sul mercato secondario”. Dunque il 40% dei titoli emessi è stato trattenuto con lo scopo di essere successivamente venduto sul mercato secondario: una quota consistente dei titoli è stata, in altri termini, emessa ma non collocata presso gli investitori privati. Una simile operazione sembra possibile solamente qualora si ammetta l’intervento della Bundesbank, che avrebbe sottoscritto una parte della nuova emissione – come suggeriscono numerosi commentatori[1].​
Ciò significherebbe che la Germania opera al di fuori delle regole comuni dell’eurozona[2], ossia in deroga a quegli stessi principi che hanno impedito, ad esempio, alla Banca Centrale Greca di intervenire a sostegno dei titoli pubblici ellenici tra il Dicembre 2009 ed il Maggio 2010, quando la spirale nei tassi di interesse pretesi dai mercati finanziari internazionali in sede d’asta ha di fatto costretto Atene a ricorrere ad un prestito istituzionale, vincolato all’adozione delle cosiddette misure di austerità. L’“eccezione tedesca” alle regole europee sull’emissione di titoli del debito pubblico appare ancora più significativa se si considera che la pratica di trattenere una quota (anche consistente) dell’emissione “per operazioni sul mercato secondario” non costituisce affatto un’anomalia nelle ordinarie operazioni di collocamento dei bund, ma ne rappresenta piuttosto il regolare funzionamento: come illustrato dal seguente grafico, la Germania trattiene regolarmente una quota delle emissioni, esattamente come accaduto in quest’ultima, discussa, asta di bund decennali.​
Cercheremo di dimostrare che la Bundesbank sostiene attivamente il collocamento dei titoli pubblici tedeschi, esercitando un’influenza dominante sul prezzo dei titoli di nuova emissione, senza però ricorrere alla sottoscrizione degli stessi sul mercato primario, ma articolando il proprio intervento in modo tale da aggirare i divieti imposti dal Trattato di Maastricht, e praticare di fatto il finanziamento diretto del debito pubblico tedesco.​
2.Iniziamo col dire che il dibattito sull’asta dei titoli tedeschi ha il grande pregio di restituire il meccanismo di emissione dei titoli pubblici – fatto di regolamenti, prassi e rapporti di forza tra governi, banche private nazionali e internazionali – ad un contesto istituzionale più complesso di quella ‘forma di mercato’ che gli viene attribuita dalle istituzioni europee, e che giustifica il divieto di acquisto dei titoli pubblici imposto alle banche centrali, chiamate appunto a non interferire con il regolare funzionamento del mercato del credito.​
Vogliamo capire come sia possibile che un titolo pubblico venga emesso, ma non collocato. Precisiamo innanzitutto cosa si intende per collocamento: un titolo si definisce collocato quando viene sottoscritto per la prima volta. L’ufficio governativo responsabile dell’emissione dei titoli del debito pubblico tedesco è l’Agenzia per il debito (Finanzagentur), la quale gestisce le procedure d’asta e poi trattiene i titoli non collocati presso quella platea di investitori privati che hanno l’accesso riservato al mercato primario, platea costituita da una quarantina di banche e società finanziarie tedesche ed internazionali. L’idea, suggerita da molti commentatori, che i titoli non collocati vengano di fatto sottoscritti dalla banca centrale tedesca è stata immediatamente contestata, poiché sembra scaturire da una errata interpretazione del particolare ruolo svolto da quest’ultima all’interno del processo di emissione dei titoli. Come vedremo, sebbene sia effettivamente possibile confutare la tesi secondo cui la Bundesbank sottoscrive i titoli pubblici tedeschi direttamente sul mercato primario, la banca centrale tedesca può contare su altri e diversi canali per intervenire sui titoli di nuova emissione, con risultati assolutamente equivalenti all’azione diretta sul mercato primario.​
La Bundesbank agisce per conto dell’Agenzia per il debito tedesca in qualità di “banca custode e non di prestatore di ultima istanza”, come sostiene Isabella Bufacchi sul Sole 24 Ore del 26 Novembre 2011: i titoli trattenuti risultano in sostanza congelati presso la banca centrale tedesca, senza che questa corrisponda al governo alcuna somma di denaro in cambio, ossia senza che quei titoli risultino effettivamente sottoscritti. Spiega ancora la Bufacchi: “L`agenzia del debito tedesco riprende poi quei titoli invenduti e li ricolloca in tranche sul secondario, nell`arco di qualche giorno o in casi di mercati ostici di qualche settimana.” Dunque sembra, a prima vista, che la Germania non stia procedendo alla cosiddetta ‘monetizzazione’ del debito pubblico. A confermare questa interpretazione interviene anche la prestigiosa rivista The Economist, pubblicando sul proprio sito l’articolo Fun with bunds in cui, “per evitare che i bloggers passino molto tempo immersi nei meccanismi d’asta delle obbligazioni europee”, si affida la soluzione al dilemma alle parole di un rappresentate della PIMCO, una delle più importanti società private di investimento a livello internazionale: “La Finanzagentur ha emesso solamente 3,6 miliardi in cambio di liquidità. Loro hanno collocato 3,6 miliardi sul mercato ed hanno trattenuto 2,4 miliardi sui loro libri contabili. In futuro potranno vendere l’ammontare trattenuto sul mercato secondario, ottenendo la corrispondente liquidità. Potreste aver letto che la Bundesbank ha acquistato la quota dell’emissione che non è stata collocata in asta; ciò non è corretto. La Bundesbank non sta finanziando la Germania; opera semplicemente come un’agenzia per la Finanzagentur.”​
La pratica dell’Agenzia tedesca per il debito, consistente nel trattenere una quota dell’emissione, viene dunque presentata, molto semplicemente, come un metodo per procrastinare il collocamento di quei titoli, in attesa di più favorevoli condizioni sui mercati finanziari: una mera questione di tempo, poiché i titoli emessi ma non anche collocati saranno, prima o poi, effettivamente collocati.​
3. Dopo aver “passato molto tempo immersi nei meccanismi d’asta delle obbligazioni europee”, è forse possibile mettere in discussione la validità di questa lettura del problema, ed incentrare l’interpretazione del particolare meccanismo di emissione dei titoli pubblici tedeschi non tanto sul ‘quando’ i titoli trattenuti verranno sottoscritti, quanto piuttosto sul ‘dove’ quei titoli verranno poi, effettivamente, collocati.​
La struttura istituzionale conferita generalmente agli odierni processi di emissione dei titoli del debito pubblico si fonda su una netta distinzione tra il mercato primario, dove i governi collocano i titoli di nuova emissione, ed il mercato secondario, dove i titoli già emessi possono essere liberamente scambiati. Tale distinzione è rilevante, all’interno della cornice istituzionale dell’eurozona, poiché il Trattato di Maastricht (comma 1 art. 101[2]) vieta esplicitamente alle banche centrali dell’eurozona l’acquisto di titoli del debito pubblico dei paesi membri solamente sul mercato primario: la BCE e le banche centrali dei paesi membri sono dunque lasciate libere di acquistare titoli del debito pubblico dei paesi membri dell’eurozona sul mercato secondario, e siamo certi che stiano operando in questo senso quantomeno a partire dal Maggio 2010, nel contesto del Securities Markets Programme[4]. Si noti come la chiara distinzione tra mercato primario e mercato secondario, ovvero la regola per cui sul mercato secondario possono essere scambiati solamente titoli già emessi sul mercato primario, sia il presupposto della logica seguita dalle istituzioni europee, le quali prevedono contemporaneamente il divieto imposto da Maastricht, che si riferisce al mercato primario, ed il Securities Markets Programme, che limita al mercato secondario la libertà di intervento delle banche centrali. Nelle parole dell’allora Governatore della BCE Trichet: “le nostre azioni sono pienamente conformi al divieto di finanziamento monetario [del debito pubblico] e dunque alla nostra indipendenza finanziaria. Il Trattato vieta l’acquisto diretto, da parte della BCE, dei titoli del debito emessi dai governi. Noi stiamo acquistando quei titoli solamente sul mercato secondario, e dunque restiamo ancorati ai principi del Trattato”.[5]
Alla luce di quanto detto circa la pratica – operata negli anni dalla Germania – di destinare una quota rilevante delle emissione ad operazioni sul mercato secondario, risulta evidente che, quando consideriamo il mercato dei titoli pubblici tedeschi, la distinzione tra mercato primario e mercato secondario si fa quantomeno labile: tramite la quota di titoli di nuova emissione regolarmente trattenuta dall’Agenzia del debito, infatti, la Germania è in grado di collocare i propri titoli del debito pubblico direttamente sul mercato secondario. Ciò è rilevante perché se il mercato primario dei titoli pubblici è esplicitamente riservato, in tutti i paesi dell’eurozona, ad un gruppo di investitori privati, sul mercato secondario operano – accanto agli investitori privati – anche le banche centrali dei paesi membri. Questo significa che il tasso di interesse che si determina sul mercato primario può essere spinto al rialzo da una carenza di domanda di titoli che non ha ragione di esistere sul mercato secondario, laddove l’azione della banca centrale implica una domanda potenzialmente infinita per i titoli pubblici: sul mercato primario, dove non operano le banche centrali, può sussistere una situazione di eccesso di offerta di titoli che conduce ad un rialzo nei tassi di interesse, quale quello osservato in Grecia nei primi mesi del 2010, ed in Italia a partire dall’Agosto 2011, mentre sul mercato secondario l’intervento della banca centrale ha il potere di creare tutta la domanda necessaria a spingere al ribasso il rendimento dei titoli pubblici. Pertanto, il semplice fatto che il collocamento dei bund di nuova emissione avvenga, in parte, direttamente sul mercato secondario ha un impatto significativo sul tasso di interesse dei titoli pubblici tedeschi, garantendo alla Germania un minor costo dell’indebitamento pubblico, a prescindere dalla possibilità (pure presente) che i titoli di nuova emissione collocati sul mercato secondario vengano sottoscritti direttamente dalla Bundesbank. La particolare struttura istituzionale del processo di emissione dei titoli pubblici tedeschi sopprime di fatto la distinzione tra mercato primario e mercato secondario, aprendo lo spazio per il finanziamento del debito pubblico tramite la banca centrale – spazio negato agli altri paesi membri dell’eurozona.​
Il complesso meccanismo di emissione dei titoli pubblici appena descritto consente alla Germania di proporre, in asta, un tasso dell’interesse molto basso, come avvenuto il 23 Novembre: se gli investitori privati si rifiutano di sottoscrivere i titoli del debito pubblico tedeschi a quei tassi, giudicati poco remunerativi, lo Stato trattiene la quota dell’emissione non collocata e procede, successivamente, al collocamento di quei titoli sul mercato secondario, dove l’azione della banca centrale è in grado di orientare i livelli del tasso dell’interesse vigente, o addirittura di tradursi in un intervento diretto, con la Bundesbank che sottoscrive i titoli del debito non collocati sul mercato primario. In assenza di un simile meccanismo, i governi sono costretti ad accettare il tasso di interesse che gli investitori privati pretendono sul mercato primario, laddove la loro disponibilità a sottoscrivere i titoli pubblici rappresenta l’unica possibilità che lo stato ha di finanziare il proprio debito. L’“eccezione tedesca” può essere concepita come un metodo che permette di aggirare i divieti imposti dal Trattato di Maastricht, e viene da chiedersi per quale motivo gli altri paesi dell’eurozona non si siano dotati di un simile dispositivo, capace di arginare le pretese dei mercati finanziari internazionali sui rendimenti dei propri titoli pubblici.​
[1] Alesina e Giavazzi sul Corriere dela Sera del 24 Novembre 2011 affermano che “l’asta dei Bund è stata sottoscritta solo grazie alla Bundesbank che ha acquistato il 40% dei titoli offerti da Berlino.”. Lo stesso giorno, simili affermazioni compaiono sui più importanti quotidiani. Sul Sole 24 Ore Bufacchi sostiene che: “va scartata la maxi-quota, pari al 39% dei 6 miliardi, che è stata sottoscritta dalla Buba [Bundesbank] per essere rivenduta sul secondario per via del peculiare meccanismo usato fin dagli anni 70 nelle aste dei titoli di Stato tedeschi.”; Quadrio Curzio commenta che “senza l’intervento della Bundesbank poteva andare anche peggio” sul Messaggero; Tabellini afferma, sul Sole 24 Ore, che: “la Bundesbank di fatto continua ad agire come prestatore di ultima istanza quanto meno in via temporanea nei confronti dello Stato tedesco. I titoli non venduti in asta infatti sono stati assorbiti dalla Bundesbank, che da sempre svolge questo ruolo per garantire la liquidità dei titoli tedeschi.”
[2] “La banca centrale tedesca ha subito assorbito tutti i titoli invenduti. È esattamente ciò che la Bundesbank stessa non vuole che la BCE faccia con Italia e Spagna. […] ha comprato direttamente dal governo, un comportamento in apparenza illegale ai termini del trattato: finanziamento monetario del deficit.” Fubini, Corriere della Sera del 24 Novembre 2011.
[3] “È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o da parte delle Banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “Banche centrali nazionali”), a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali.” (Cfr. Versione consolidata del Trattato che istituisce la Comunità Europea, Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, 24/12/2002, corsivo nostro).
[4] “Nei termini definiti in questa Decisione, le banche centrali dell’Eurosistema possono acquistare […] sul mercato secondario titoli di debito […] emessi dai governi centrali o da enti pubblici dei Paesi Membri e denominati in euro.” (Cfr. Decision of the European Central Bank of 14 May 2010 establishing a securities markets programme, Official Journal of the European Union, 20/05/2010, corsivo nostro).
[5] Cfr. Speech by Jean-Claude Trichet, President of the ECB, at the 38th Economic Conference of the Oesterreichische Nationalbank, Vienna, 31 May 2010.

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27-10-2013, 09:53 #34 (permalink) mototopo
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Fonte: Giornale - Lun, 28/01/2013 –
 

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Come anticipato dal Giornale, con lo scoop (leggi l’articolo) di Paolo Bracalini eGian Marco Chiocci pubblicato domenica 27 gennaio, al centro delle inchiesta della Procura di Siena ci sono otto bonifici usciti dalle casse del Monte dei Paschi con destinazione Amsterdam, Madrid e Londra.

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Otto bonifici, effettuati in undici mesi, che hanno spostato un fiume di soldi: 17 miliardi di euro. L’elenco è agli atti dell’inchiesta sull’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps ed è uno degli elementi sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti. Dal documento emerge che il primo bonifico, da 9 miliardi e 267 milioni (dunque superiore al prezzo pattuito di 9 miliardi e 230 milioni), venne effettuato il 30 maggio 2008 a favore di Abn Amro Bank con sede ad Amsterdam, nominata – si legge nel documento informativo relativo all’acquisizione di Antonveneta inviato da Mps alla Consob – dal Banco Santander “soggetto venditore titolare di diritti e obblighi derivanti dall’ accordo”.

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Il secondo bonifico parte sempre il 30 maggio ed è indirizzato al Banco Santander di Madrid, per un importo complessivo di 2.5 miliardi. Il 31 marzo 2009 partono altri due bonifici, uno da un miliardo e mezzo e l’altro da 67 milioni, entrambi a favore del Banco Santander di Madrid. I restanti quattro bonifici vengono disposti da Mps il mese successivo, il 30 aprile. I primi due, ancora una volta, sono a favore del Banco Santander e riportano uno l’importo di un miliardo e l’altro di 49 milioni. Gli ultimi due, da 2,5 miliardi e da 123,3 milioni, sono a favore di Abbey National Treasury Service Plc di Londra
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LA STAMPA TEDESCA: ''L'ITALIA USCIRA' DALL'EUROZONA PERCHE' SARA' COSTRETTA A FARLO. LA BCE HA PERSO LA PARTITA'' (BOOM!)

lunedì 15 settembre 2014
BERLINO - L'Italia non ha alcun motivo valido per rimanere all'interno dell'unione monetaria, e non l'ha mai avuto. Da sei anni - scrive il quotidiano tedesco "Die Welt" - l'economia italiana si trova in una profonda depressione: dal suo apice del 2007, la produzione economica e' crollata drasticamente al livello di 14 anni fa. La produzione industriale e' ai livelli degli anni '80. L'industria e le attivita' produttive continuano a morire: la disoccupazione giovanile e' al 42 per cento.
In molte regioni del Belpaese il mercato immobiliare e' in caduta libera,complice una tassazione asfissiante: piu' del 90 per cento della popolazione e' scontento del suo paese, una percentuale piu' alta di quelle registrate in Palestina o in Ucraina.
L'indebitamento italiano e' al 135 per cento del Pil e quest'anno potrebbe arrivare addirittura al 140 per cento.
L'anno scorso era ancora al 130 per cento.
L'obiettivo concordato ai negoziati sull'unione monetaria tra il 1996 e il 1999 e' di un rapporto debito-pil del 60 per cento. In caso di inflazione zero, l'Italia dovra' raggiungere un avanzo primario del 7,8 per cento per riuscire a sopravvivere affinche' interessi, ammortamenti e titoli di stato possano essere utilizzati.
Secondo l'analista di finanza e politica del gruppo Epm di Berlino, Erwin Grandinger, si tratta di una pura illusione.
L'Italia - arriva a scrivere il quotidiano tedesco - e' uno dei motivi per cui la Bce ha gia' perso la partita per la salvezza dell'eurozona, e si trova ora nel panico.
L'Italia quindi "uscira' dall'unione monetaria perche' sara' costretta a farlo".
La democrazia e la politica italiana sono di fronte ad un banco di prova storico, paragonabile a quello tra l'inizio (1861) e la fine (1946) della monarchia italiana, inclusi gli intermezzi del fascismo. E il rischio e' addirittura quello di una frammentazione dello Stato, se e' vero che "a tenere ancora unita l'Italia sono solo pochi elementi: tassi di interesse storicamente bassi, carta bianca concessa irrazionalmente da Berlino all'Italia e a tutti gli stati membri, con la garanzia fiscale del fondo Esm e il tentativo spericolato della Bce di comprare titoli in contraddizione con il sistema cosi' come la distribuzione dei rischi sui contribuenti europei e tedeschi".

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LA RUSSIA TAGLIA IL GAS ALL'AUSTRIA! LA SITUAZIONE ENERGETICA DELLA UE SI FA SEMPRE PIU' PRECARIA (E L'INVERNO ARRIVA)

martedì 16 settembre 2014
VIENNA - Dopo la Polonia, anche l’Austria e la Slovacchia hanno constatato cali del volume del gas proveniente dalla Russia.
Settimana scorsa il monopolio del gas polacco PGNiG aveva indicato che la compagnia russa Gazprom aveva ridotto del 20% i flussi di gas consegnati lunedì e del 24% quelli consegnati martedì.
In Austria, l’operatore energetico E-Control afferma che l’11 settembre la fornitura di gas è stata ridotta del 15%. In Slovacchia la riduzione è del 10%. Gazprom non ha rilasciato commenti e al momento non si può dire con certezza se si tratti di cali dovuti a motivi tecnici o politici.
Secondo politici austriaci e polacchi, le motivazioni di Gazprom sono politiche. Secondo loro il presidente russo Putin usa le forniture di gas verso i paesi dell’Europa centrale e orientale come un mezzo di pressione. In particolare, le consegne di gas russo all’Ucraina sono state sospese da giugno, a causa del conflitto regionale con i separatisti pro-russi nell’est del paese e una serie di fatture non pagate.
Per compensare il gas che non riceve più dalla Russia, l’Ucraina ha cercato rifornimenti fra i paesi dell’UE, facendosi anche consegnare parte del gas russo acquistato dalla Polonia, dall’Ungheria e dalla Slovacchia. Una manovra contro la quale Gazprom ha protestato, qualificandola di “meccanismo semi-fraudolento” e minacciando di ridurre i volumi di gas forniti a questi tre paesi.
Quando ha constatato che dalla Russia stava ricevendo meno gas del previsto, la Polonia ha interrotto le consegne all’Ucraina.
La Commissione europea ha invitato per settimana prossima a Berlino i ministri russi e ucraini dell’energia, per un incontro atto a risolvere la questione. La Russia non ha ancora accettato di partecipare.
Fonte notizia: Express.be - che ringraziamo.

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Una bomba dal Cfr: “… le Banche Centrali … dovrebbero consegnare denaro contante direttamente ai consumatori.”

Paolo Maleddu 11/09/2014 Moneta,Spiritualità
Questo articolo, segnalatomi da un Marco Saba sempre attento a monitorare tutto ciò che succede nel sistema monetario internazionale, è appena apparso sul numero di Settembre-Ottobre della rivista Foreign Affairs. E’ una autentica bomba a tempo: perciò ho voluto immediatamente tradurlo e metterlo in circolazione nel web. Foreign Affairs è la rivista del Council of Foreign Relations, probabilmente il think-tank internazionale più prestigioso tra quelli visibili, una associazione indipendente (dicono loro) che fa parte della cupola del Governo Mondiale (diciamo in tanti). Pertanto, l’articolo che segue, firmato da Mark Blyth e Eric Lonergan, provenendo dal Cfr, assume una rilevanza fuori dall’ordinario. E’ il vertice del Potere mondiale che suggerisce di consegnare direttamente ai consumatori il denaro contante: non potrà non avere ripercussioni importanti in un futuro molto prossimo. E’ un segnale importante, visto la provenienza. E’ un documento da esaminare per bene per poter cogliere ed interpretare i numerosi segnali che contiene. Ci sono suggerimenti e commenti che somigliano molto a veri e propri ordini o avvertimenti per i governanti. Nonostante la ben giustificata diffidenza che nutriamo nei confronti della classe dominante dei banchieri, numerosi messaggi e la frase che nel finale dice Il tempo è giunto per tale tipo di innovazione” , ci incoraggiano a essere ottimisti. Sarà l’inizio di una svolta tanto attesa? Speriamo bene …


Stampare Meno ma Trasferire di Più - Perché le Banche Centrali Dovrebbero Dare Denaro Direttamente alla Gente
Nei decenni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale, l’economia del Giappone crebbe così velocemente e così a lungo che gli esperti descrissero il fenomeno come assolutamente miracoloso. Durante l’ultimo grande boom del Paese, tra il 1986 e il 1991, la sua economia è cresciuta di quasi un trilione di dollari. Ma poi, in una storia con chiare similitudini con quella odierna, la bolla speculativa del Giappone scoppiò, e i suoi mercati azionari andarono giù in picchiata. Il debito pubblico si gonfiò a dismisura, e la crescita annua scese a meno dell’uno per cento. Nel 1998 l’economia si stava contraendo.
In quel Dicembre, un professore di economia di Princeton dichiarò che i banchieri centrali avrebbero ancora potuto porre rimedio. Il Giappone stava essenzialmente soffrendo per una insufficienza di domanda: i tassi di interesse erano già bassi, ma i consumatori non stavano comprando, le aziende non prendevano prestiti, e gli investitori non stavano rischiando. Era una previsione che si realizzava da sé: il pessimismo economico stava impedendo la ripresa. Bernanke disse che la Bank of Japan doveva essere più aggressiva e suggerì di prendere in considerazione un approccio non convenzionale: dare contante direttamente alle famiglie giapponesi. I consumatori avrebbero potuto spendere la manna caduta dal cielo per uscire dalla recessione, alimentando la domanda e facendo salire i prezzi.
Come lo stesso Bernanke chiarì, il concetto non era nuovo: negli anni ’30, l’economista inglese John Maynard Keynes propose di seppellire bottiglie di banconote in vecchie miniere di carbone; una volta riportate alla luce (come l’oro), il contante avrebbe creato nuova ricchezza e stimolato la spesa. Anche l’economista conservatore Milton Friedman vide l’attrattiva del trasferimento diretto del denaro, che paragonò ad un lancio di denaro dall’elicottero. Il Giappone comunque non tentò queste soluzioni, e l’economia del Paese non si è mai ripresa completamente. Tra il 1993 e il 2003, la crescita annuale media del Giappone era meno dell’uno per cento.
Oggi la maggior parte degli economisti sono d’accordo che, come il Giappone nella seconda parte degli anni ’90, l’economia globale sta soffrendo a causa di una spesa insufficiente, un problema che deriva da un più grave difetto di governance. Le Banche Centrali, inclusa la U.S. Federal Reserve, hanno intrapreso azioni aggressive, abbassando consistentemente i tassi d’interesse in misura tale che oggi si aggirano intorno allo zero. Hanno anche pompato un valore di trilioni di dollari di denaro fresco dentro il sistema finanziario. Ciononostante tali politiche hanno solo alimentato un dannoso ciclo di boom e crisi, annullando gli incentivi e distorcendo i prezzi degli assets, e ora la crescita economica ristagna mentre peggiora la disuguaglianza. E’ giunto il tempo, quindi, per i responsabili politici americani, così come le loro controparti in altri paesi sviluppati, di prendere in considerazione una qualche versione dei lanci di denaro dall’elicottero di Friedman. A breve termine, questi trasferimenti di contante potrebbero far ripartire di scatto l’economia. Sul lungo periodo, potrebbero ridurre la dipendenza dal sistema bancario per la crescita e invertire il trend della disuguaglianza. I trasferimenti non provocherebbero dannosa inflazione, e pochi mettono in dubbio che funzionerebbero. L’unica domanda è perché nessun governo li abbia provati.
Invece di trascinare verso il basso la parte alta, i governi dovrebbero spingere verso l’alto la parte inferiore.
DENARO FACILE
In teoria, i governi possono incrementare la spesa in due modi: attraverso politiche fiscali (come abbassando le tasse o aumentando la spesa del governo) o attraverso politiche monetarie ( come riducendo i tassi d’interesse o aumentando l’offerta di denaro). Ma negli ultimi decenni, i governi si sono affidati quasi esclusivamente alla seconda opzione. Il cambio è avvenuto per svariate ragioni. Soprattutto negli Stati Uniti, le divisioni sulla politica fiscale sono cresciute troppo per poter essere ricucite, in quanto destra e sinistra hanno dato inizio a dure lotte per scegliere tra l’incremento della spesa del governo o il taglio delle tasse. Generalmente, sgravi fiscali e incentivi di stimolo tendono ad avere più grossi ostacoli politici che i cambiamenti di politica monetaria. Presidenti e primi ministri hanno bisogno dell’approvazione delle loro assemblee legislative per passare un budget; ciò richiede tempo, e le agevolazioni fiscali e gli investimenti pubblici spesso beneficiano potentati privati piuttosto che l’economia nel suo insieme. Molte banche centrali, al contrario, sono politicamente indipendenti e possono tagliare i tassi d’interesse con un unica teleconferenza. Inoltre, semplicemente non c’è un reale consenso sul come usare le tasse o la spesa per stimolare in maniera efficiente l’economia.
La crescita continua dagli ultimi anni ’80 ai primi anni di questo secolo sembravano giustificare questa enfasi sulla politica monetaria. L’approccio presentava gravi inconvenienti, tuttavia. A differenza della politica fiscale, che agisce direttamente sulla spesa, la politica monetaria opera in maniera indiretta. I bassi tassi d’interesse riducono i costi dei prestiti e portano su i costi di azioni, obbligazioni e delle case. Ma stimolare in questo modo l’economia è caro e non efficiente, e può creare pericolose bolle – per esempio nel mercato immobiliare – e incoraggiare aziende e famiglie ad avventurarsi in pericolosi indebitamenti.
Ciò è precisamente cosa accadde durante la presidenza della Fed di Alan Greenspan dal 1997 al 2006: Washington fece troppo affidamento sulla politica monetaria per incrementare la spesa. I commentatori spesso biasimano Greenspan di aver preparato il terreno per la crisi finanziaria del 2008, tenendo gli interessi troppo bassi nei primi anni di questo secolo. Ma l’impostazione di Greenspan era solo una reazione alla mancanza di volontà del Congresso di usare i propri strumenti fiscali. Inoltre, Greenspan era in completa buona fede nel suo agire. Nella testimonianza al Congresso nel 2002, spiegò come la politica della Fed influenzasse l’americano medio: “Particolarmente importanti nel sostenere la spesa sono i tassi molto bassi di interesse sui mutui, che incoraggiano le famiglie ad acquistare case, rifinanziare il debito e abbassare gli oneri del servizio del debito, ed estrarre valore dalle case per finanziare la spesa. I tassi d’interesse fissi rimangono ad un livello storicamente basso e dovrebbe quindi alimentare una richiesta abbastanza forte di abitazioni e, per mezzo dell’estrazione di valore, sostenere anche la spesa dei consumatori”.
Naturalmente, il modello di Greenspan si schiantò e si bruciò in maniera spettacolare quando il mercato immobiliare delle case implose nel 2008. Ancora niente è in realtà cambiato da allora. Gli Stati Uniti hanno a malapena rimesso insieme il loro sistema finanziario e riesumato le stesse politiche che crearono 30 anni di bolle finanziarie. Considerate ciò che Bernanke, che venne fuori dall’accademia per servire come successore di Greenspan, fece con la sua politica di “quantitative easing” , col quale la Fed incrementò la disponibilità di denaro acquistando miliardi di dollari di titoli garantiti da ipoteca e titoli di Stato. Bernake puntò ad incrementare i prezzi di azioni e obbligazioni nello stesso modo con cui Greenspan aveva tirato su i prezzi delle case. I loro obiettivi erano sostanzialmente gli stessi: incrementare la spesa al consumo.
Gli effetti complessivi delle politiche di Bernanke sono stati simili a quelli di Greenspan. I più alti prezzi degli assets hanno incoraggiato una modesta ripresa della spesa, ma con gravi rischi per il sistema finanziario e ad un enorme costo per i contribuenti. Ciò nonostante altri governi hanno continuato a seguire il cammino di Bernanke. La Banca Centrale del Giappone, per esempio, ha tentato di usare la propria politica di quantitative easing per sollevare il mercato azionario. Sino ad ora, comunque, gli sforzi di Tokyo non sono riusciti a contrastare il sottoconsumo cronico del Paese. Nell’eurozona, la Banca Centrale Europea ha tentato di incrementare gli incentivi di spesa rendendo negativi i tassi d’interesse, addebitando lo 0,1 per cento alle banche commerciali per il deposito di contante. Ma non si nota che questa politica abbia incrementato la spesa.
La Cina sta già lottando per far fronte alle conseguenze di politiche simili, adottate sulla scia della crisi finanziaria del 2008. Per tenere a galla l’economia nazionale, Pechino tagliò decisamente i tassi d’interesse e diede alle banche il permesso di rilasciare un numero senza precedenti di prestiti. Il risultato è stato un drammatico incremento nei prezzi dei beni e sostanziale nuovo indebitamento da parte di individui e società finanziarie, che portò a una pericolosa instabilità. I responsabili politici cinesi stanno ora tentando di sostenere la spesa complessiva riducendo il debito e rendendo i prezzi più stabili. Allo stesso modo di altri governi, a Pechino mancano le idee sul da farsi. Non vuole continuare ad allentare la politica monetaria. Ma non ha ancora trovato un’altra strada per andare avanti.
La più ampia economia globale può essere già entrata, nel frattempo, in una bolla obbligazionaria e potrebbe presto assistere ad una bolla azionaria. Il mercato immobiliare delle case nel mondo, da Tel Aviv a Toronto, è surriscaldato. Nel settore privato, molti non vogliono contrarre nuovi prestiti; pensano che il loro livello di debiti sia già troppo alto. Queste sono notizie estremamente negative per i banchieri centrali: quando famiglie e investitori rifiutano di aumentare rapidamente i prestiti, la politica monetaria non può fare molto per incrementare la loro spesa. Negli ultimi 15 anni le maggiori banche centrali del mondo hanno ampliato i loro bilanci di circa 6 trilioni, principalmente attraverso quantitative easing e altre così chiamate operazioni di liquidità. Ciò nonostante, nella gran parte del mondo sviluppato, l’inflazione si è appena mossa.
In qualche misura, l’inflazione bassa riflette una intensa competitività in una economia sempre più globalizzata. Ma succede anche quando la popolazione e gli investitori esitano troppo a spendere il loro denaro, il che tiene alta la disoccupazione e bassa la crescita dei salari. Nell’eurozona l’inflazione è pericolosamente scesa vicino allo zero. E alcuni paesi come Portogallo e Spagna, potrebbero già trovarsi in deflazione. Nella migliore delle ipotesi, le politiche attuali non stanno funzionando; nella peggiore, conducono a crescente instabilità e stagnazione prolungata.
FAI CHE PIOVA
I Governi devono far meglio. Piuttosto che tentare di stimolare la spesa del settore privato attraverso l’acquisto di assets o cambi nei tassi d’interesse, le banche centrali, come la Fed, dovrebbero consegnare direttamente il contante ai consumatori. Praticamente, questa politica potrebbe dare alle banche centrali la possibilità di consegnare alle famiglie dei contribuenti dei loro paesi un certo ammontare di denaro. Il governo potrebbe equamente distribuire contante a tutti i nuclei familiari o, ancora meglio, destinarlo all’ottanta per cento inferiore delle famiglie in termini di reddito. Puntare a coloro che guadagnano meno avrebbe due benefici principali. Da un lato, le famiglie a più basso reddito sono più soggette a consumare, tanto da incrementare maggiormente la spesa. Da un altro, la scelta politica porrebbe un freno alla crescente disuguaglianza.
Un tale approccio rappresenterebbe una significativa innovazione nella politica monetaria dall’istituzione della banca centrale, senza essere comunque un radicale abbandono dello status quo. La maggior parte dei cittadini già confidano nell’abilità delle loro banche centrali di manipolare i tassi d’interesse. E i cambi dei tassi sono tanto ridistributivi come i trasferimenti di contante. Quando i tassi d’interesse calano, per esempio, coloro che prendono in prestito a tasso variabile terminano beneficiandone, mentre coloro che risparmiano – e quindi dipendono più dal reddito da interessi – perdono.
La maggior parte degli economisti concordano che trasferimenti di contante dalla banca centrale stimolerebbe la domanda. Ma i responsabili politici tuttavia continuano a resistere all’idea. In un discorso del 2012, Mervyn King, il governatore della Banca d’Inghilterra, dichiarò che i trasferimenti tecnicamente equivalgono a una politica fiscale, che cade al di fuori dell’ambito del banchiere centrale, una opinione a cui ha fatto eco nel passato Marzo la sua controparte giapponese, Haruhiko Kuroda. Tali argomenti, comunque, sono puramente semantici. Distinzioni tra politiche monetarie e fiscali sono una funzione che i governi chiedono alle loro banche centrali di svolgere. In altre parole, i trasferimenti di contante diventerebbero uno strumento di politica monetaria non appena le banche iniziassero ad usarli.
Altri critici ammoniscono che questi lanci dall’elicottero potrebbero causare inflazione. I trasferimenti, comunque, sarebbero uno strumento flessibile. I banchieri centrali potrebbero lanciarli quando ritengono più opportuno e aumentare i tassi d’interesse per compensare effetti inflazionari, quantunque non ci dovrebbe essere bisogno: in anni recenti i bassi tassi d’interesse si sono dimostrati notevolmente resilienti, persino dopo ripetuti quantitative easing. Tre trends spiegano perché. Primo, l’innovazione tecnologica ha portato giù i prezzi al consumo e la globalizzazione ha impedito l’aumento negli stipendi. In secondo luogo, le ricorrenti crisi (panics) finanziarie degli ultimi decenni hanno spinto molte economie di più bassi redditi ad incrementare il risparmio – in forma di riserve di valuta – come forma di assicurazione. Ciò significa che hanno speso molto meno di quanto potrebbero, affamando le loro economie di investimenti in aree come infrastrutture e difesa, che avrebbero fornito occupazione e fatto crescere i prezzi. Infine, in tutto il mondo industrializzato, le aumentate aspettative di vita hanno spinto privati cittadini a focalizzarsi sul risparmio a più lungo termine (pensa al Giappone). In conseguenza di ciò, adulti di mezza età e gli anziani hanno iniziato a spendere meno su beni e servizi. Queste radici strutturali della bassa inflazione odierna continueranno a rinforzarsi nei prossimi anni, come la competizione globale si intensifica, persistono i timori di crisi finanziarie, e la popolazione in Europa e negli Stati Uniti continua ad invecchiare. Se non altro, i responsabili politici dovrebbero preoccuparsi di più della deflazione, che sta già creando problemi nell’eurozona.
Non c’è necessità, quindi, che le banche centrali abbandonino la loro tradizionale attenzione a mantenere alta la domanda e il controllo dell’inflazione. I trasferimenti di contante offrono più opportunità di raggiungere quegli obiettivi di quanto lo facciano i cambi dei tassi d’interesse e i quantitative easing, ad un costo molto inferiore. Dal momento che sono più efficienti, i lanci dall’elicottero richiederebbero alle banche meno stampa di denaro. Depositando i fondi direttamente in milioni di conti correnti – stimolando immediatamente la spesa – i banchieri centrali non avrebbero necessità di quantità di denaro equivalente al 20 per cento del Prodotto Interno Lordo.
L’impatto complessivo dei trasferimenti dipenderebbe dal cosiddetto moltiplicatore fiscale, che misura di quanto il Pil crescerebbe per ogni 100 dollari trasferiti. Negli Stati Uniti, gli sgravi fiscali previsti dal Economic Stimulus Act del 2008, che ammontava più o meno all’uno per cento del Prodotto Interno Lordo (GPD), può fungere da utile guida: si stima che abbiano un moltiplicatore di circa 1.3. Ciò significa che una iniezione di contante equivalente al due per cento del Pil, accrescerebbe probabilmente l’economia di un 2.6 per cento. Trasferimenti di quella portata – meno del cinque per cento del Pil – sarebbero probabilmente sufficienti a generare una crescita economica.
Usando i trasferimenti di contante, le banche centrali potrebbero incrementare la spesa senza correre il rischio di tenere i tassi d’interesse bassi. Ma i trasferimenti indirizzerebbero solo in maniera marginale la disuguaglianza del reddito, un’altra grave minaccia per la crescita economica nel lungo termine. Negli ultimi tre decenni, i salari del 40 per cento inferiore dei percettori nei paesi industrializzati non sono cresciuti, mentre i percettori al top hanno visto incrementare vertiginosamente i loro redditi. La Banca d’Inghilterra ritiene che il cinque per cento più ricco delle famiglie britanniche possieda ora il 40 per cento della ricchezza totale del Regno Unito – un fenomeno adesso comune nel mondo industrializzato.
Per ridurre il divario tra ricchi e poveri, l’economista francese Thomas Piketty e altri hanno proposto una tassa globale sulla ricchezza. Ma una tale politica non sarebbe efficiente. Per il semplice motivo che i ricchi userebbero probabilmente la loro influenza politica e le risorse finanziarie per opporsi alla tassa ed evitare di pagarla. Circa 29 trilioni di assets offshore riposano al di fuori della portata dei ministeri del tesoro statali, e la nuova tassa aumenterebbe quella quantità. In aggiunta, la maggior parte delle persone che dovrebbero pagare – il dieci per cento più alto di percettori – non sono tanto ricchi. Di solito, la maggior parte delle famiglie nel segmento di più alto reddito sono della classe medio-alta, non super-ricchi. Caricare ulteriormente questo gruppo sociale avrebbe alti costi politici e, come i recenti problemi di budget della Francia dimostrano, renderebbe scarsi benefici finanziari. In conclusione, le tasse sul capitale scoraggerebbe investimenti privati e innovazione.
Ci sarebbe un’altra strada: invece di tentare di portare giù il vertice, i governi potrebbero portar su la parte inferiore. Le banche centrali potrebbero emettere debito e utilizzare il ricavato investendolo in un indice azionario globale, un pacchetto di investimenti differenziati con un valore che sale e scende con il mercato, che potrebbero tenere in fondi sovrani. La Banca d’Inghilterra, la Banca Centrale Europea, e la Federal Reserve già posseggono beni patrimoniali in eccesso del 20 per cento del Prodotto Interno Lordo dei loro paesi, perciò non c’è motivo per cui non possano investire quegli assets in azioni globali a beneficio dei loro cittadini. Dopo circa 15 anni, i fondi potrebbero distribuire le loro partecipazioni azionarie all’ottanta per cento inferiore per reddito dei contribuenti. I pagamenti si potrebbero effettuare su conti correnti individuali non tassabili, e il governo potrebbe porre piccoli vincoli su come il capitale potrebbe essere usato.
Per esempio, ai beneficiari si potrebbe richiedere di mantenere i fondi come risparmi o finanziare la loro educazione, saldare debiti, iniziare un business, o investire in una casa. Tali restrizioni spingerebbe i riceventi a pensare ai trasferimenti di denaro come un investimento per il futuro, piuttosto che a una vincita alla lotteria. L’obiettivo, per di più, sarebbe quello di incrementare la ricchezza nella parte bassa della distribuzione del reddito sul lungo periodo, che contribuirebbe molto a diminuire l’ineguaglianza.
La cosa migliore è che il sistema si auto-finanzierebbe. La maggior parte dei governi possono ora emettere titoli di debito a un tasso di interesse reale vicino allo zero. Se accumulassero capitale in quel modo o liquidassero i beni che attualmente possiedono, potrebbero godere di un rendimento reale del cinque per cento – una stima prudente, dati i rendimenti storici e le valutazioni correnti. Grazie agli effetti dell’interesse composto, i profitti da questi fondi potrebbero ammontare circa a un 100 per cento di plusvalenza dopo appena 15 anni. Ammettiamo che un governo emetta titoli di debito equivalente al 20 per cento del Pil ad un interesse reale uguale a zero, e quindi investa il capitale in un indice azionario globale. Dopo 15 anni potrebbe ripagare il debito generato e anche trasferire il capitale in eccesso alle famiglie. Questo non è alchimia. E’ una politica che metterebbe il cosiddetto premio per il rischio azionario – il rendimento in eccesso che gli investitori ricevono in cambio per mettere a rischio il loro capitale – a lavorare per tutti.
PIU’ DENARO, MENO PROBLEMI
Per come stanno attualmente le cose, le politiche monetarie prevalenti sono andate avanti quasi completamente senza essere contrastate, se si eccettuano le proposte di economisti keynesiani come Lawrence Summers e Paul Krugman, che hanno sollecitato per spese finanziate dal governo per infrastrutture e ricerca. Tali investimenti, secondo il ragionamento, creerebbero posti di lavoro facendo gli Stati Uniti più competitivi. Ed ora sembra il momento più propizio per mettere insieme fondi per pagare tali lavori: i governi possono prendere in prestito per dieci anni a tassi reali di interessi vicini allo zero.
Il problema di questi obiettivi è che la spesa in infrastrutture ci impiega troppo tempo per riavviare una economia in difficoltà. Nel Regno Unito, per esempio, i responsabili politici ci hanno impiegato dieci anni per arrivare a un accordo per costruire un progetto di ferrovia ad alta velocità noto come HS2 e un tempo altrettanto lungo per mettersi d’accordo su un progetto di aggiungere una terza pista all’aeroporto di Heathrow a Londra. Tali grandi investimenti a lungo termine sono necessari. Ma non dovrebbero essere fatti con fretta. Chiedete appunto agli abitanti di Berlino del nuovo, non necessario aeroporto che il governo tedesco sta costruendo per oltre 5 miliardi di dollari, attualmente con cinque anni di ritardo sui programmi. I governi continuano quindi ad investire in infrastrutture e ricerca, ma quando si trovano ad affrontare una domanda insufficiente, dovrebbero affrontare il problema della spesa velocemente e in modo diretto.
Se il trasferimento di contante rappresenta qualcosa di tanto sicuro, perché nessuno lo ha provato? La risposta, in parte, si riduce ad un avvenimento nella storia: le banche centrali non sono state progettate per gestire la spesa. Le prime banche centrali, molte delle quali sono state fondate alla fine del diciannovesimo secolo, furono progettate per portare avanti poche funzioni basiche: emettere valuta, approvvigionare di liquidità il mercato dei titoli di Stato e mitigare il panico bancario (le crisi del sistema, N.d.T.). Erano soprattutto impegnate nelle cosiddette operazioni a mercato aperto – essenzialmente, l’acquisto e la vendita dei titoli di Stato – che procuravano liquidità alle banche e determinavano il tasso di interesse nei mercati monetari. Il quantitative easing, l’ultima variante della funzione di acquisto di titoli, si dimostrò capace di stabilizzare i mercati monetari nel 2009, ma ad un costo troppo elevato, considerando la piccola crescita raggiunta.
Un secondo fattore che spiega il persistere della vecchia maniera di fare business coinvolge il bilancio delle banche centrali. La contabilizzazione convenzionale tratta il denaro – banconote e riserve – come un passivo. Così se una di queste banche dovesse emettere trasferimenti di contante in eccesso rispetto al suo attivo, potrebbe tecnicamente avere un patrimonio netto negativo. Ma non ha senso preoccuparsi della solvenza delle banche centrali: dopo tutto, possono stampare altro denaro.
Le più forti fonti di resistenza ai trasferimenti di contante sono politiche e ideologiche. Negli Stati Uniti, per esempio, la Fed è estremamente contraria a cambiamenti legislativi riguardanti la politica monetaria per timore di azioni del congresso tese a limitare la propria libertà d’azione in una futura crisi (come ad esempio impedendogli di salvare banche straniere). Inoltre, molti americani conservatori ritengono i trasferimenti di cash essere elemosine socialiste. In Europa, nella quale uno potrebbe credere di trovare suolo più fertile per tali trasferimenti, la paura tedesca dell’inflazione che condusse la Banca Centrale Europea ad alzare i tassi nel 2011, nel mezzo della più grande recessione dagli anni ’30, suggerisce che una resistenza ideologica si possa trovare anche là.
Coloro ai quali non piace l’idea di premi in denaro, comunque, dovrebbero immaginare quelle povere famiglie ricevere una imprevista eredità o sgravio fiscale. Una eredità è un trasferimento di ricchezza non guadagnato dal destinatario, e tempistica e quantità sfuggono al controllo del beneficiario. Sebbene il regalo possa venire da un membro della famiglia, in termini finanziari, è uguale a un trasferimento di denaro diretto dal governo. Le persone povere, naturalmente, raramente hanno parenti ricchi e così, raramente ricevono eredità – ma secondo il piano qui proposto, la riceverebbero, ogni volta che il loro Paese fosse a rischio di entrare in recessione.
A meno che uno non sottoscriva che le recessioni siano terapeutiche o meritate, non c’è nessun motivo per il quale il governo non debba tentare di porre loro fine se ne ha la possibilità, e i trasferimenti di denaro contante sono un metodo unicamente efficace di farlo. Per un motivo, incrementerebbero immediatamente la spesa, e le banche centrali potrebbero attivarli istantaneamente, a differenza della spesa in infrastrutture o di cambiamenti nelle disposizioni fiscali, che solitamente richiedono leggi. E in contrasto con tagli ai tassi di interesse, i trasferimenti di denaro contante influenzerebbe la domanda direttamente, senza gli effetti indesiderati di condizionare i mercati finanziari e i prezzi dei beni. Aiuterebbero pure a correggere l’ineguaglianza – senza spellare i ricchi.
A parte l’ideologia, le maggiori barriere all’implementazione di questa politica sono sormontabili. Il tempo è giunto per questo tipo di innovazioni. Le banche centrali stanno ora tentando di guidare le economie del ventunesimo secolo con set di strumenti politici inventati oltre un secolo fa. Facendo troppo affidamento su quei sistemi, hanno terminato coll’abbracciare politiche con perverse conseguenze e povere ricompense finali. Tutto ciò che serve per cambiare rotta è coraggio, cervello, e una leadership per tentare qualcosa di nuovo.



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