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MENTRE L'EUROZONA E' IN RECESSIONE, LA POLONIA SEGNA UNA CRESCITA DEL 3,2% E QUESTO DA' FASTIDIO AL CORRIERE.DELLA SERA.

domenica 7 settembre 2014
LONDRA - Per un giornalista essere servile verso il potente di turno porta molti vantaggi, ma puo' anche creare dei problemi qualora il padrone che serve appoggi delle idee sbagliate che non sono condivise da nessuno e questo e' particolarmente vero per tutti quei giornali che si ostinano a dire che l'euro e' stato un colossale successo.
E a tale proposito e' interessante notare come alcuni giorni Dario Di Vico, in un articolo scritto sul Corriere Della Sera, esprimeva il suo disappunto per il fatto che la Polonia grazie al fatto di essere fuori dall'euro quest'anno avra' una crescita del 3.2%.
La Polonia e' uno dei piu' fanatici sostenitori dell'Unione Europea ma i suoi politici si sono guardati bene dall'adottare l'euro, perche' hanno capito che una tale decisione avrebbe distrutto l'economia polacca e difatti nonostante siano passati dieci anni da quando la Polonia e' entrata nella UE, nessuno ha fissato una data per l'ingresso nella moneta unica e probabilmente nessuno lo fara' anche perche' per adottare l'euro bisognerebbe cambiare la costituzione e questo non accadra' mai visto che ci vorrebbe il consenso di due terzi del parlamento.
Com'era prevedibile questa situazione ha dato alla Polonia una flessibilita' che i politici italiani possono solo immaginare e difatti l'economia polacca e' stata quella meno affetta dalla recessione che ha colpito l'eurozona negli ultimi anni e questo a Dario Di Vico non va giu', tant'e' che nel suo articolo invita l'Unione Europea a fare qualcosa contro il dumping salariale della Polonia.
Il problema per Di Vico e i suoi colleghi del Corriere della Sera e' che la Polonia ha dimostrato ancora una volta il fallimento della moneta unica e esposto le menzogne che il loro giornale scrive da anni per convincere i suoi lettori del contrario. In più, le notizie date da Di Vico circa il fatto che un operaio polacco guadagni l'equivalente di 11 euro l'ora contro i 24 dell'eurozona e dell'Italia, è del tutto fuoriviante. Di Vico non spiega che il costo della vita in Polonia è molto meno della metà di quello dell'Italia o della Germania.
E in più, Di Vico se ne guarda bene dallo scrivere che il governo polacco, grazie al fatto che la Polonia stampa la propria moneta, può decidere in qualsiasi momento politiche d'aiuto per i ceti meno abbienti, come ad esempio ha fatto e continua a fare Orbàn in Ungheria, altra nazione della UE senza l'euro.
Coem si vede, e' impossibile fuggire dalla verita' e l'unica soluzione e' che il Corriere ammetta di aver sbagliato e inizi una campagna per far uscire l'Italia dall'euro, e se questo non dovesse accadere, allora tutti i suoi lettori dovrebbero boicottarlo fino a farlo fallire.
Di sicuro nessuno ne sentira' la mancanza.
GIUSEPPE DE SANTIS
L'articolo di Di Vico è leggibile a questo indirizzo: Salari bassi e niente Euro Da Varsavia concorrenza scorretta? - Corriere.it
 

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Mollare il dollaro? Nascono i fondi sovrani d’oro

settembre 5, 2014 2 commenti

Avamposti della Banca centrale BRICS
Jim Willie CB GoldenJackass 11 giugno 2014
Mentre l’Occidente è ipnotizzato dal caos in Ucraina, certamente sul punto dell’implosione, l’attenzione è rivolta alla politica sui tassi d’interesse negativi in vista, che permetteranno ai banchieri di scremare sui rendimenti, o si è concentrati sull’abdicazione in Spagna, un cambio della guardia della nobiltà nera, Jackass sbadiglia e guarda all’Arabia Saudita, dove un evento significativo è in fondo alle notizie. Annuncia la creazione di un nuovo fondo sovrano indipendente dalla banca centrale, dedicato ad investimenti prudenti. Ovvero investimenti sull’oro. Indicando chiaramente l’allontanamento dalla massa dei buoni del Tesoro in dollari USA. Il divorzio statunitense-saudita accelera dagli uffici legali, dove la ridistribuzione del risparmio è la parola chiave. L’abbandono del petro-dollaro comporta l’inversione di un impegno generazionale, ancora una volta. Si tratta di scaricare i rifiuti in dollari USA accumulatisi per decenni come debito. Potrebbe essere il primo avamposto della banca centrale dei BRICS, passando dai titoli di debito del governo USA dritto ai lingotti d’oro. I sauditi potrebbero favorire giganti come Russia e Cina, il nuovo dinamico duo, avviando il processo di abbandono delle obbligazioni del Tesoro USA convertendoli in lingotti d’oro. Il grande scambio indiretto potrebbe divenire molto più diretto.
Il modulo saudita
Alcune domande sorgono su come i sauditi aderiranno formalmente ai BRICS, nell’ambito della loro alleanza nascente con Pechino. Il rapporto embrionale ha un debutto sotto forma di enorme conferenza multilaterale nella Sala Grande di un paio di mesi prima, seguita da un grande cenno agli Stati Uniti durante una parata militare con missili cinesi. Jackass sospetta che un passaggio va formandosi, liberando i sauditi dalle obbligazioni del Tesoro USA e ricostruendone le riserve di oro. Devono sostituire ciò che Londra e Svizzera hanno rubato. Un’altra questione si pone, se Arabia Saudita ed Iran coordineranno politica energetica e sistemi di pagamento al di fuori del dollaro USA, basandosi sull’oro. Il fondo saudita potrebbe aiutare il processo. Un’ultima domanda si pone, se ci si deve aspettare che una dozzina di tali avamposti della Banca Centrale BRICS, che trasforma le obbligazioni del Tesoro USA in oro, sorgano e prendano forma. Un vasto sistema satellitare di banche centrali BRICS potrebbe sorgere, imitando il sistema occidentale delle banche centrali in franchising come US Federal Reserve, Bank of England, Banca Centrale Europea, Banca del Giappone e altri, come la Banca nazionale svizzera. Jackass ritiene che i sauditi creeranno il modulo, da copiare altrove e che i sauditi presto annunceranno una politica dei pagamenti, che accetti qualsiasi delle principali valute, nel commercio petrolifero e petrolchimico, che l’intera regione del Golfo presto coordinerà una politica volta allo standard del petro-yuan quale veicolo temporaneo, con destinazione il sistema di regolamento commerciale in oro e che Arabia Saudita e Iran collaboreranno non da amici, ma con pieno spirito costruttivo. Liberandosi degli USA assieme a guerre ed altre violenze, con i loro comuni aspetti nazisti. I cinesi si occupano del commercio, dove la stretta di mano è il nuovo modello. La Cina sarà il mediatore della diplomazia globale. L’opportunità c’è e Pechino inizia da casa sia, trattando con nazioni confinanti come il Vietnam, nel Sudest asiatico, con meno sgomitate.
La notizia ufficiale
L’articolo ufficiale era scarso in dettagli, ma pieno di implicazioni. L’osservatore avvisato può leggere tra le righe. Il regno dell’Arabia Saudita stabilirà il suo primo fondo sovrano per gestire le eccedenze di bilancio per un valore di centinaia di miliardi di dollari, secondo l’agenzia stampa del regno. Il consiglio della Shura dovrebbe discutere un progetto di legge sul Fondo di Riserva Nazionale. Il fondo dovrebbe ricevere il controllo dalla banca centrale sugli investimenti del regno. Questo è il nocciolo, l’indipendenza. L’Arabia Saudita rimane il maggiore esportatore di greggio del mondo. Non è stato rivelato se il fondo cambierà la strategia degli investimenti del regno. Negli ultimi quattro decenni, la strategia era riciclare doverosamente i petro-avanzi in obbligazioni del governo USA, ruolo di fondamentale importanza ritagliato dagli anglosassoni. Sotto lo sguardo di gente come Kissinger e Rockefeller, pianificatori de facto dello standard del petro-dollaro che sostituì efficacemente il Gold Standard nel 1973, appena due anni prima, l’accordo di Bretton Woods fu abrogato. Il fondo dovrebbe iniziare con un capitale pari al 30 per cento del bilancio accumulato in un certo numero di anni. Negli ultimi tre anni, il regno ha annunciato avanzi di bilancio per un totale di circa 232 miliardi di dollari. Vedasi l’articolo su Arabian Business.
Altri fondi sovrani
Altri fondi sovrani del Golfo hanno investito in immobili a livello internazionale, soprattutto in Europa. Possiedono molti buoni del Regno Unito ed eurobonds, e probabilmente più di una manciata di obbligazioni del governo giapponese. I sauditi indicano chiaramente una mossa importante sui titoli di Stato USA. Ben presto i sauditi annunceranno di non accettare alcuna valuta principale per il petrolio. L’Iran già trova poca resistenza, come nella vendita di energia a India e Turchia. Il governo USA presto uscirà dalla battaglia delle sanzioni a tutto il mondo. Le fondamenta dei BRICS mostrano segni di rafforzamento, con l’uscita dal petro-dollaro e la sua lenta morte, senza più formazioni in marcia con il passo dell’oca fascista, rompendo con bancarottieri e re della frode anglo-statunitensi. Altri fondi sovrani nella regione del Golfo sono estremamente significativi. I leader sono gli Emirati Arabi Uniti, con il massiccio fondo Abu Dhabi Investment Authority, da 773mld di dollari Ma l’UAE ha anche altri quattro fondi per un totale di altri 286mld di dollari, superando il totale di 1 bilione di dollari, 1059mld di dollari. Il fondo saudita SAMA Foreign Holdings ne ha 737mld, e il Kuwait Investment Authority 410mld. La Qatar Investment Authority 170 miliardi. Il totale dei fondi sovrani del Golfo è 2377 miliardi di dollari. Se solo un quarto dei fondi verrà convertito in lingotti d’oro, la regione del Golfo potrebbe fornire l’equivalente di Fort Knox a sostegno della moneta d’oro Dinar. La fortezza, una volta scintillante nel Kentucky, ospitava 8500 tonnellate di oro fin quando non fu derubato dalla banda Clinton-Rubin. Solo idioti e creduloni credono alla storia ufficiale dei trasferimenti alla FED di New York e West Point per tenerli al sicuro, assieme a concetti folli come il Deep Storage Gold. Si chieda a Germania, Paesi Bassi, Austria e Venezuela come vi furono custodite le proprie partite di oro. Vedasi l’elenco degli istituti dei fondi sovrani e dei dati in dettaglio.
Si conclude così che il fondo finanziario saudita SAMA ha quasi tre quarti di bilione di dollari, pronti e in attesa di uscire dai titoli di Stato tossici e raggiungere lo status di valida riserva aurea. Beh, almeno una parte considerevole svolgerà il nuovo ruolo funzionale di avamposto saudita della Banca Centrale dei BRICS, convertendo carta del debito sovrano tossico occidentale in metalli preziosi.
Implicazioni nello scambio petrolio-oro
La mossa dei fondi sovrani sauditi non viene considerata sottilmente dal regime finanziario degli Stati Uniti, con il suo potere depositato nella Federal Reserve e nel Tesoro, e nei veicoli che operano in dollari USA e nelle riserve dei patrimoni occulti nelle banche globali, sotto forma di buoni del Tesoro USA. Ci si chiede se il debito del saliente del Belgio delle obbligazioni del Tesoro USA occulte, sia in realtà almeno per il 30% saudita, se non esclusivamente russo. I fondi provenienti dalle eccedenze saudite furono prelevati dalla banca centrale saudita, il che significa che i sauditi si ritirano dalla rete di franchising delle banche centrali della FED. I sauditi avvertono chiaramente di volgersi ad oriente. Il divorzio indica che i reali sauditi iniziano ad allontanarsi dai re delle frodi e dai trafficanti di carta anglo-statunitensi. Ci si aspetti maggiore trasparenza in futuro, una diversificazione che allontani dalle obbligazioni del Tesoro USA, la netta e rapida fondazione a tappe del sistema di scambio petrolio-oro che la Cina ha implementato con la Russia. La disposizione potrebbe essere un passo verso la piena adozione del sistema commerciale basato sull’oro quale modello futuro. Tutto ciò che manca è una serie di monete e di note di credito basate sull’oro. Certo, oggi c’è l’acuta esigenza che sorga un vasto sistema satellitare di banche centrali dei BRICS, che potrebbe essere la zona di libero scambio di Shanghai. Una pedata se Francoforte annunciasse la banca centrale dei BRICS nella gestione dei fondi sovrani, parola in codice per diversificazione dalle obbligazioni del Tesoro USA in lingotti d’oro. Francoforte diverrebbe lo snodo globale dello yuan (RMB) tra Asia ed Europa, avviando la conversione all’oro. L’effetto su USA-UK-EU sarebbe la totale tempesta di fango. Il saliente del Belgio cerca sempre garanzie reali sull’oro da sauditi o cinesi. Se venisse fatto altrettanto da sauditi e cinesi, il piano per la banca centrale dei BRICS avrebbe due giocatori chiave, e altri ne seguirebbero. L’integrazione del petro-yuan avrà molti aspetti e la banca centrale saudita sembra svilupparne in futuro. Il petro-yuan ha numerosi elementi del progetto da integrare in futuro. Si potrà assistere alla creazione di un avamposto chiave nel fondo sovrano saudita, elemento importante nello scambio petrolio-oro, con le obbligazioni del Tesoro USA usate come moneta attiva nel ruolo esclusivo di lubrificante del credito. La conversione al sistema di pagamento del petrolio in oro potrebbe essere in vista, con la funzione chiave svolta dal petro-yuan nella conversione delle riserve in investimenti.
Futuri avamposti satellitari
Ogni nazione dei BRICS avrà una banca centrale che convertirà le obbligazioni tossiche del Tesoro USA in lingotti d’oro, come anche altre obbligazioni sovrane. Ci si aspetti che Shanghai e Hong Kong ne abbiano una, come Mosca, Delhi in India e Rio de Janeiro in Brasile, e anche Johannesburg in Sud Africa. Altre nazioni ospiteranno i satelliti delle banche centrali BRICS, come Riyadh in Arabia Saudita e Dubai negli Emirati Arabi Uniti. Alla fine banche centrali BRICS appariranno a Francoforte in Germania, Ankara in Turchia, Tokyo in Giappone e Tehran in Iran. Sarà impossibile fermare il trend della riconversione delle obbligazioni del Tesoro USA in oro, dato che ne sarà la soluzione autentica. A dire il vero, una grande quantità verrà convertita in yuan e rubli, dato che la maggior parte del commercio orientale sarà risolto con queste due valute in crescita. Entrambe le monete si baseranno sull’oro. Ironia della sorte, Cina e Russia possiedono più oro che il flusso delle rispettive valute, yuan e rublo, nell’economia globale. Il commercio di energia si svolgerà presto in yuan e rubli, in risposta alle stupide sanzioni del governo USA che appaiono essere solo dei danni auto-inflitti. Le usuali tattiche saranno utilizzate contro BRICS e Paesi associati, che si sforzano di liberarsi dal tossico dollaro USA. Molti si chiedono perché l’USD sia tossico. La risposta è semplice, si basa sul debito del governo USA, finanziato per l’80% dalla FED tramite una sterile monetizzazione che crea denaro fasullo per coprire il debito, e su una politica di zero tassi d’interesse che distorce i prezzi dei beni. Ciò permette di proteggere la criminalità di Wall Street che pratica una massiccia frode a base di titoli di proprietà fasulli, obbligazioni contraffatte, insider trading, riciclaggio di narcodollari, infinite guerre fasciste a sostegno dell’egemonia, chiarendo come il dollaro USA si basi più sul supporto militare che sull’economia industriale. Le usuali tattiche contro i BRICS e Paesi associati comprendono corruzione, minacce, frodi profitti dal narcotraffico, omicidi (e suicidi assistiti), ostracismo del sistema, sanzioni continue e acquisti in contanti sul mercato dei metalli. Il mondo non può risolvere e riprendersi dalla difficile situazione economica, cancerosa, senza scartare il dollaro USA e liberarsi dalle obbligazioni del Tesoro USA. Molte nazioni vendono i dollari in contanti con uno sconto del 30-35% riscattando le proprie valute, un piccolo brutto segreto assieme ad innumerevoli altri brutti segreti.
Il Gold Standard è la soluzione alla cronica peste finanziaria qual è il dollaro USA tossico che scorre nel sistema economico globale, nelle arterie del commercio e nelle vene della riserva bancaria. Si vedranno i progressi compiuti quando le banche centrali dei BRICS adotteranno un vivace commercio basato sulla conversione in lingotti d’oro, chiudendo il COMEX e subito. Un’importante conferenza avrà presto luogo. Il Gas Exporting Countries Forum (GECF) al prossimo vertice in Qatar, nel Golfo. Sarà chiamato Nat Gas Coop ed eclisserà l’OPEC, comunque. La pressione esercitata sul mercato dell’oro e sulle banche basate sull’oro sarà orribile, venendo chiamata forza maggiore o assalto nel sostituire i lingotti d’oro ipotecati (rubati). I processi potrebbero divenire comuni quanto gli omicidi di banchieri, di gran lunga più diffusi. Lasciate che crescano i funghi dalle tombe, piuttosto che funghi atomici nella sempre più tossica aria trattata dalle scie chimiche.
 

mototopo

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Il piano segreto della Germania per eliminare Draghi con l'aiuto di Renzi.

mercoledì 10 settembre 2014
Com'era prevedibile, le ultime mosse - ultime in ogni senso - di Draghi non hanno funzionato. L'obbiettivo era deprezzare l'euro ed è stato mancato per un motivo molto semplice: la Germania non vuole e quindi la Bce vigila che non accada, benchè Draghi formalmente dica il contrario. Certo, l'euro è sceso da 1,33 sul dollaro americano a 1,29 ma sotto non va nè potrà andare.
Tuttavia, c'è molto, ma molto altro in ballo.
Una fonte interna alla Bce ci ha raccontato che ora, più che del cambio euro-USD, si sta discutendo del cambio di Draghi con un nuovo governatore. E il piano sarebbe organizzato dalla Germania e messo in atto grazie alla fattiva collaborazione di Renzi.
Di che si tratta?
Intanto, una premessa: se Draghi fosse sfiduciato e quindi cacciato, il contraccolpo sui mercati travolgerebbe nel giro di ore, al massimo di giorni, tutta l'eurozona, Germania inclusa. Per conseguenza, è una via impraticabile perchè il prezzo da pagare in termini di assalto speculativo sarebbe gigantesco e causerebbe default a catena, primo dei quali italiano la cui onda d'urto andrebbe ad abbattersi su Berlino peggio di un bombardamento aereo. Immaginate anche che fine farebbero il Portogallo, la Grecia, la Spagna. E la Francia. Destabilizzare la Bce significa far crollare la UE. E le oligarchie finanziarie centro europee tutto vogliono, meno questo.
Quindi, serve un'altra strada: è indispensabile che Draghi lasci per assumere un incarico talmente "prestigioso" e unianimente considerabile "un dovere" da far cadere nel dimenticatoio sospetti di "licenziamento". E qui entra in gioco Renzi.
Il piano messo in piedi da Angela Merkel inisieme ai vertici della Bundesbank prevede che a breve, entro la primavera del 2015, Napolitano lasci e Renzi in prima persona "chiami al Quirinale" Mario Draghi per farlo diventare il nuovo presidente della Repubblica italiana.
L'incontro segreto - svelato per un caso fortuito da un quotidiano - tra Draghi e Renzi di questa estate avrebbe avuto come tema proprio questo.
In cambio della defenetrazione camuffata, la Germania sarebbe disposta a chiudere un occhio e anche due sul limite del 3% e perfino sul rallentameto temporale degli obblighi del Fiscal Compact che scattano come una tagliola assassina il 1° gennaio 2015.
Se questo è il progetto, qual è la ragione per cui i tedeschi non vogliono più Draghi?
Le accuse rivoltegli dal vertice politico del cristianosociali bavaresi due giorni fa - partito alleato della Merkel - sono solo schermaglie, fumo negli occhi. Non sono l'azzeramento del tasso d'interesse dell'euro, e nemmeno i ventilati finanziamenti alle aziende tramite fragili obbligazioni definite "carta straccia che si porta a casa la Bce in cambio di soldi veri" i motivi della sentenza di "morte".
E' molto più profonda e pericolosa, l'origine di tutto: la Germania ha capito che l'euro è finito. Che sia la Francia presto governata da Marine Le Pen, che sia il buco nero chiamato Italia, o che sia semplicemente l'attacco concentrico della Fed e della Bank of England (entrambe hanno annunciato che dal 2015 alzeranno i tassi d'interesse e questo drenerà fiumi di capitali in cerca di rendite che con l'euro sono a zero) il risultato è sempre lo stesso: fine della valuta unica europea.
Quindi, Berlino vuole, esige, pretende che al vertice della Bce sieda un tedesco che salvaguardi i tedeschi quando ci sarà da spartire gli avanzi di quella che fu la peggiore disgrazia accaduta all'Europa dopo in nazismo: l'euro.
max parisi

 

mototopo

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IL DECLINO DEL MODELLO OCCIDENTALE

di Luciano Lago
Nel corso degli ultimi due decenni, nel mondo e nell’area Euroasiatica in particolare, sono avvenuti dei cambiamenti epocali, basti pensare alla caduta del muro di Berlino nel 1989, alla dissoluzione dell’URSS con creazione di nuove entità statali in Europa ed in Asia, alla prima guerra nel teatro europeo (Bosnia ed ex Jugoslavia), alle guerre condotte in Medio Oriente con la partecipazione dei paesi europei, al sorgere della Cina come seconda grande super potenza economica ed industriale, alla corsa per la conquista delle risorse dell’Africa, lanciata dalle grandi potenze.
Tutti avvenimenti questi nei quali vi sono stati alcuni grandi protagonisti ed altri, le nazioni europee in particolare, chiamate a svolgere un ruolo di comprimari o consociati al fianco della superpotenza dominante, quella statunitense che, per un certo periodo (dopo la dissoluzione dell’URSS), aveva indotto la falsa sensazione che il mondo dovesse attestarsi in uno stato di “unipolarità” con l’impero degli USA in posizione di dominio assoluto, nel campo politico, economico e militare.

In realtà non è andata così e piuttosto tutto lascia credere, con gli ultimi avvenimenti, che si proceda speditamente verso un assetto multipolare, con la Cina, la Russia ed altri grandi paesi emergenti (India, Brasile, Iran, Sud Africa) a contendere alla superpotenza USA gli spazi di potere globale, politico, economico e militare.
Da considerare che, in parallelo a questi sviluppi, nel mondo denominato “Occidentale”, abbiamo assistito anche a determinati processi che riflettono, da un lato, un evidente declino politico economico e militare degli Stati Uniti e, dall’altro, all’incapacità dell’Europa di emanciparsi una volta per tutte dalla sua condizione di subordinazione alla politica ed interessi degli USA, neppure in occasione di crisi in aree che sarebbero di stretto interesse dei paesi europei (vedi Ucraina) .Si tratta di una crisi non soltanto economica ma anche di perdita e logoramento di modello sistemico che si accompagna ad un declino generale che investe tutto il così detto Occidente dalle due sponde dell’Atlantico.
Questo avviene proprio nel momento storico della massima espansione del modello economico liberista e capitalista e delle teorie diffuse della globalizzazione come “processo irreversibile” con preannunciata l’inevitabile scomparsa degli Stati Nazionali,con l’omologazione delle culture, con l’assimilazione del modello americanoide, iper consumista, procedendo verso un nuovo assetto globalista che prevede, secondo le teorie degli strateghi neocon, come suo massimo obiettivo, la realizzazione di un Nuovo Ordine Mondiale (1) sotto la guida di una elite finanziaria, con una nuova moneta unica mondiale. Vedi : L’ONU parla di una moneta unica mondiale.
L’Europa per prima è un continente avviato alla lenta ed inesorabile decadenza dovuta, prima ancora che per motivi economici e geopolitici, al disconoscimento voluto delle proprie basi di civiltà, la sua Storia millenaria, fonte del diritto e della cultura per abbracciare l’ideologia mondialista, americanoide, neoliberale, radicale e relativista, del tutto estranea alla sua tradizione, incapace di ritagliarsi un proprio ruolo politico autonomo, relegandosi allo stato di colonia del grande impero americano, oggi anche esso in forte declino. Le società europee che in passato erano state un modello di civiltà, di sistema sociale sviluppato, di fatto hanno abdicato alla loro Storia ed abbracciato un modello di tipo anglosassone.
L’assetto del mondo affidato nelle aree cruciali alla egemonia ed al super potere dell’impero USA, ha perso qualsiasi parvenza di stabilità ma è scosso da conflitti sempre più cruenti e da destabilizzazione continua, visto il disastro ed il caos provocato dai ripetuti interventi militari (diretti o indiretti) degli Stati Uniti e dei loro alleati nei paesi dove la dirigenza di Washington ha stabilito di avere interesse prioritario per averne il controllo e per disporre delle loro risorse (Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan, ecc.). In altri casi l’intervento è stato causato dall’importanza strategica di questi paesi (Ucraina), oltre che dalle risorse, con un disegno calcolato in funzione anti russa.
Data la situazione, ci sarebbe stata la necessità di rinnovare una “governance” mondiale per evitare il protrarsi e l’aggravarsi delle situazioni di caos e di conflitti che si sono create in varie aree del mondo nello stesso periodo. Questo perchè prima o poi i focolai di guerra, con il loro carico di fanatismo e miseria, finiranno per invadere anche i paesi non coinvolti nelle crisi con grave pericolo di un allargamento dei conflitti e di ulteriore destabilizzazione. Un prologo di quanto potrà accadere lo si può già vedere con l’esodo di milioni di profughi dai teatri di guerra, come dalla Siria (2 milioni di profughi) , dall’Iraq, dalla Somalia, dalla Nigeria, ecc…
Un filo sottile lega gli avvenimenti ed i conflitti tra teatri molto distanti come la Siria, l’Iraq e l’Ucraina. Dietro questi conflitti c’è la stessa mano, la stessa strategia di destabilizzazione e di caos realizzata per un gioco di egemonia e di controllo dal potere dominante, quello militare, politico e finanziario degli anglosassoni e sionisti (USA, GB, ed Israele).
Questa governance mondiale di fatto non esiste e l’unico ente sopranazionale che avrebbe dovuto per il suo statuto provvedere ad esercitare una azione di controllo e di pacificazione fra i contendenti (l’ONU), è stato di fatto ridotto all’irrilevanza ed alla assenza di qualsiasi voce in capitolo, grazie alla subordinazione dei suoi organi agli interessi della superpotenza dominante ed ai diritti di veto sempre opposti a qualsiasi azione di condanna.
I governi che oggi esprimono ipocritamente “preoccupazione ed allarme” per le vicende dell’Iraq, della barbarie degli sgozzamenti, esecuzioni sommarie, taglio della testa ai prigionieri effettuati dai miliziani dell’ISIS (Stato Islamico della Siria e del Levante) in Iraq, sono esattamente gli stessi che hanno appoggiato, fornito armi, addestramento ed equipaggiamenti vari ai miliziani di questa ed altre organizzazioni quando queste operavano in Siria per il rovesciamento del regime di Assad, inviso agli americani. In quel paese avvenivano gli stessi sgozzamenti ed esecuzioni sommarie ma nessuno in Occidente alzava neanche una voce perchè si aspettava la caduta del regime di Assad e si voleva far credere che ci fosse una rivolta di” ribelli per la democrazia”. Gli sgozzatori erano utili in quel caso alle finalità strategiche degli USA e dell’Occidente e bisognava lasciare loro campo libero.
Risulta evidente che la stessa creazione di questo esercito, partito dalla Siria ed arrivato baldanzosamente in Iraq , è tutta occidentale ed in particolare da parte dell’intelligence degli Stati Uniti, della Francia e del Regno Unito, una enorme quantità di prove e testimonianze non lasciano dubbi in proposito. Vedi: Il diabolico piano degli USA in Iraq
Anche in Ucraina la crisi determinatasi in quel paese e la conseguente guerra civile, con tutta evidenza è stata causata dall’opera di sobillazione dell’intelligence USA e delle centinaia di agenzie ONG nella stessa Ucraina, create e finanziate dagli USA per sovvertire gli equilibri politici, che hanno svolto un ruolo determinante nel golpe avvenuto a Kiev e nelle azioni militari repressive attuate da quel governo nei confronti delle province autonomiste filo russe. Le provocazioni contro la Russia, le false manipolazioni mediatiche (il volo abbattuto dagli ucraini spacciato come responsabilità della Russia, la presunta invasione di migliaia di soldati russi), l’aggressività della NATO che effettua esercitazioni a ridosso dei confini della Federazione russa e si accinge a creare altre basi militari nel Baltico ed in Polonia, sono un chiaro intento dell’amministrazione USA di voler circondare, ridimensionare e mettere all’angolo quello che è oggi il paese territorialmente più esteso del mondo.
Vedi: La sovversione anti Russa distruggerà la UE
Probabilmente è la Russia che costituisce oggi il maggior ostacolo per la realizzazione di quel “nuovo ordine Mondiale” geopolitico e finanziario, auspicato dagli strateghi neo cons e dominato dalla potenza nord americana. Questo spiega l’accanimento con cui gli USA e la macchina della propaganda mediatica atlantista cercano di demonizzare Putin (il “nuovo Hitler” lo ha definito la Clinton).
Tutte queste azioni aggressive degli USA, con il supporto dei propri alleati, non possono però nascondere che qualche cosa di importante sta rapidamente cambiando negli equilibri mondiali, che pochi si fidano ormai della capacità degli USA di esercitare un ruolo di equilibrio e molti paesi respingono decisamente le azioni di ingerenza di Washington nei loro affari interni. Questo è evidente nel caso di molti paesi dell’America Latina, dall’Argentina al Brasile, all’Ecuador, al Venezuela, all’Uraguay,alla Bolivia, ecc. che sono riusciti ad emanciparsi dalla “tutela” del grande impero ed hanno avviato un percorso di autonomia e di affrancamento anche economico e finanziario poggiandosi sulla Cina, sulla Russia e su altri paesi per le loro necessità economiche, respingendo l’interessata proposta di intervento anche del FMI, della Banca Mondiale e degli altri organismi di dominio finanziario che sono specialisti nello sperimentato sistema di finanziamento e successivo strangolamento nel debito e nel sistema dell’usura verso i paesi emergenti.
Stessa volontà di affrancamento che manifesta oggi il gruppo dei Brics (Brasile, Russia, Cina, India, Sud Africa) che sta effettuando accordi anche per staccarsi dal dollaro utilizzando una moneta sostitutiva nel commercio internazionale e con il creare una banca dello sviluppo sostitutiva al FMI ed agli altri organismi finanziari. Le sanzioni verso la Russia risulteranno determinanti per accelerare questo processo. Vedi: I Brics contro il dominio del dollaro
Con questi paesi l’influenza degli USA risulta sempre più bassa, addirittura ininfluente nei loro confronti, tanto più questo è apparso evidente quando i rappresentanti di Washington hanno cercato di convincere ad associarsi alla politica delle sanzioni verso la Russia. Il gioco del dominio mondiale si è rotto e molti di questi rifiutano l’interessato abbraccio dell’alleato americano.
Gli Stati Uniti sono in un processo di declino politico, economico e morale, per cui hanno cessato di essere un modello per gli altri paesi, tanto meno vengono considerati il paese della “libertà e della democrazia” e gli ultimi fatti di Fergusson, in Missouri, lo attestano. Negli USA vige un sistema repressivo che è più conforme ad uno stato totalitario che ad una democrazia. Un paese dove esiste piuttosto il dominio della elite, delle grandi corporations, di un sistema di forti disuguaglianze studiato per favorire la classe dei super ricchi e per assicurare gli interessi delle potenti lobby, con l’ emarginazione di larghe fasce della popolazione nera ed ispanica.
Un sistema quello USA che viene favorito anche dalla concentrazione dei media nelle mani dei grandi gruppi economici, legati alla politica governativa, in modo tale che questi costituiscono una macchina della propaganda e della manipolazione che riesce ad influenzare l’opinione pubblica ed a creare il consenso di massa, approfittando anche di un basso livello medio di cultura e quindi di uno scarso livello critico della popolazione.
Tuttavia la crisi degli Stati Uniti risulta oggi molto profonda e soprattutto economica e sociale: un paese super indebitato che vive al di sopra delle sue possibilità, con l’affossamento della classe media e l’emergere di una grande massa di poveri, una caratteristica più da terzo mondo che non da paese evoluto, una economia che si regge sulla stampa di centinaia di miliardi di dollari, che ancora vengono accettati in buona parte del mondo grazie al signoraggio del dollaro, una posizione che però inizia a dare segni di fine del ciclo. Il rischio sta nella evenienza che gli stessi Stati Uniti finiscano divorati dai loro debiti e questo accadrà quando altri paesi inizieranno a rifiutare i dollari (cosa che si sta già verificando). Potrebbe essere quello il momento della svolta e non sarebbe di grande meraviglia che la dirigenza USA voglia provocare un grande conflitto per mascherare questa crisi. Questo spiega la sempre maggiore aggressività dei responsabili politici di Washington.
Non sono pochi gli analisti che prevedono una prossima caduta dell’Impero Americano, solo questione di tempo, dicono, se ne scorgono tutti i segni premonitori.
L’avvenire si presenta fosco e le avvisaglie di quanto potrebbe accadere sono state già descritte da un brillante analista americano, Paul Craig Roberts, in uno dei suoi articoli dal titolo eloquente: “The war is coming”
Note:
1- Il mondo è pronto per raggiungere un governo mondiale. La sovranità sovranazionale di una elite intellettuale e di banchieri mondiali è sicuramente preferibile all’autodeterminazione nazionale praticata nei secoli passati .” – David Rockefeller, 1991 – “lasciati prendere per mano dal bambino di Betlemme, non temere, fidati di lui, la forza vivificante della sua luce ti incoraggia ad impegnarti nell’edificazione di un Nuovo Ordine Mondiale…” – Papa Benedetto XVI -
 

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L'ANALISI DI LUCA CAMPOLONGO: ECCO COME USCIRE DALL'EURO, CONFRONTO DI METODI E CONSEGUENZE (TUTTE POSITIVE)

mercoledì 10 settembre 2014
Mentre l’Inghilterra annuncia che alzerà i tassi d’interesse in quanto la ripresa economica sta andando oltre le aspettative, con ben 1,2 milioni di posti di lavoro in più e Ungheria e Polonia possono vantare una crescita del PIL superiore al 3% e disoccupazione in calo, il governatore della BCE è stato costretto a ridurre il tasso di sconto sostanzialmente a zero nel tentativo disperato quanto inutile di far ripartire l’economia dell’eurozona che segnala un drammatico encefalogramma piatta ed una disoccupazione record pari a 44,8 milioni di persone.
Nel frattempo, i redditi delle famiglie italiane sono tornati ai livelli di 28, dicasi ventotto!, anni fa e l’organizzazione umanitaria Medicins du Monde trasferisce i piani umanitari previsti per l’Africa in Grecia stante la disperata situazione sanitaria frutto del “risanamento” operato dalla troika FMI-BCE-UE sotto dettatura della cancelliera di Berlino Angela Merkel e del fido Schauble.
Appare in tutta evidenza, come ormai riporta quotidianamente la stampa estera, che l’euro e le nazioni che lo adottano sono il grande malato mondiale, una delle poche zone che non cresce di una virgola e che, al contrario, sta distruggendo ricchezza peggio di un conflitto mondiale.
Certo, abbiamo gli euroentusiasti alla Renzi, pronti a copiare riforme in salsa tedesca che stanno già dimostrando il loro fallimento in patria e che non esitano a tartassare i propri cittadini con imposte e gabelle di ogni sorta, comprese le più odiose, come quelle sulla casa di proprietà.
La realtà è che siamo in presenza di un accanimento terapeutico senza precedenti, perché viene applicato su un cadavere già freddo, quello dell’euro.
Quale soluzione a questo disastro di proporzioni bibliche?
Una sola: la fine dell’euro ed il ritorno a monete nazionali.
Le strade sono solo due
A) Gli stati membri dell’eurozona, preso atto del fallimento di un progetto che, a dirla tutta, era evidente fin dall’inizio, concordano un ritorno programmato alle valute nazionali, fissando tassi di cambio iniziali, periodo di permanenza della doppia valuta e successiva liberalizzazione dei cambi (parliamoci chiaro, anche il sistema a cambi fissi dello SME, era assolutamente inefficiente)
B) Un singolo stato, di fronte all’evidenza che l’euro comporterebbe la distruzione del proprio tessuto sociale ed economico ed alla fine della sua stessa esistenza, decide di uscire unilateralmente dalla moneta unica (cosa prevista nei trattati della ue).
Stabilito che l’ipotesi A, che sarebbe la più sensata, difficilmente sarà percorsa stante l’ottusità degli eurocrati, rimane la B.
Uno stato, ipotizziamo l’Italia, sarebbe quindi in grado di tornare ad emettere propria valuta, meglio se con una banca centrale con funzione di prestatore di ultima istanza (ovvero acquirente di debito pubblico in caso di necessità). Quali sarebbero i passi? Vediamoli:
- Predisposizione di un adeguato quantitativo di cartamoneta e decisione del tasso di cambio iniziale con l’euro. Per comodità potrebbe essere quello euro/lira iniziale
- Ridenominazione del debito pubblico nelle nuove lire
- Passaggio alla nuova valuta a mercati chiusi, in un fine settimana, per evitare disguidi.
- Limiti iniziali al prelievo di denaro per evitare speculazioni
Nulla di spaventoso o di impraticabile.
A quanti affermano che la nuova lira potrebbe subire una svalutazione anche della metà rispetto all’euro, ricordiamo che questo significa che l’euro è sopravvalutato esattamente della stessa percentuale rispetto al potenziale dell’economia italiana e che questo è il motivo principale della crisi. Quindi le strade sono due: o svalutazione esterna rispetto alle altre monete, o svalutazione interna, impoverendo le famiglie, che è proprio quello che sta accadendo oggi.
Uno stato liberato dai vincoli di una banca centrale che non può prestare soldi agli stati ma solo alle banche private (la somma idizia della BCE), potrebbe finanziare un serio programma di sviluppo per il proprio paese, in particolare nel campo delle infrastrutture e della ricerca, bloccando anche la fuga di cervelli verso l’estero che sta impoverendo sempre più l’Italia.
E per tutelarsi dal rischio di una svalutazione selvaggia ad opera di qualche speculatore? Semplice, basta convertire una parte dei propri risparmi in una valuta stabile e diversa dall’euro, come il franco svizzero ad esempio. E per farlo, non occorre andare all’estero, basta chiedere alla propria banca l’apertura di un conto denominato in valuta. In questo modo, qualsiasi cosa accada al rapporto di cambio tra la nuova lira e le altre monete, sarà neutralizzato.
I concetti che sottendono al ritorno alla lira è leggermente più complesso, non ce ne vogliano i mega esperti in trading di valuta, ma quello che conta è la sostanza. Un vecchio lupo della borsa italiana era solito dire: “tutto quello che non può essere spiegato con parole capibili da un bambino di sei anni, è una fregatura”, esattamente il contrario di quello che oggi fa moda.
Le vie di salvezza dal disastro dell’euro, che sarà ricordato come una catastrofe pari alla seconda guerra mondiale per il popolo europeo ci sono, basta avere il buon senso e l’umiltà di percorrerle.

Luca Campolongo
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Il disastro economico dell'Italia previsto nel 1993 ( "Italia Settimanale" e "il sabato"):D:D;);)

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settembre 12, 2014 1 commento

Nil Nikandrov Strategic Culture Foundation 12/09/2014
Marina Silva è la candidata presidenziale del Partito socialista. La sua personalità attirò l’attenzione della CIA a metà degli anni ’80, quando frequentava l’Università Federale di San Giovanni d’Acri. Allora aveva grande interesse per il marxismo e divenne membro del clandestino Partito Comunista Rivoluzionario. Ben presto la sua infatuazione a sinistra finì passando alla lotta per la protezione dell’ambiente della regione amazzonica. I servizi speciali degli Stati Uniti sono sempre interessati a tale parte del continente, nella speranza di controllarlo in caso d’emergenza geopolitica. La CIA l’ha contattata, e non fu un caso che nel 1985 entrò nel Partito dei Lavoratori (PT – Partido dos Trabalhadores), aprendole nuove prospettive di carriera politica. Nel 1994 Marina Silva fu eletta al Senato federale per la fama di fervente ambientalista, ed allora le notizie sui suoi legami con la CIA comparvero. Nel 1996 ebbe il Goldman Environmental Prize ed altri premi prestigiosi per la protezione dell’ambiente. I curatori della CIA fecero del loro meglio per aumentarne il prestigio. Per cinque anni fu membro del governo di Luiz Inácio Lula da Silva per poi cambiare partito. Nel 2009 Silva annunciò il suo passaggio dal Partito dei Lavoratori al Partito dei verdi, principalmente per protesta contro le politiche ambientali approvate dal PT. Silva scosse seriamente la politica brasiliana annunciando la sua candidatura, dopo quasi trent’anni. Ebbe quasi 20 milioni di voti nelle elezioni del 2010 come candidata del Partito Verde ed ha accettato la candidatura a vicepresidente di Campos quando i tentativi di creare il Partito della rete della sostenibilità fallirono. Dilma Rousseff, la candidata del PT che vuole continuare le politica indipendente del suo predecessore Lula da Silva, non piace a Washington.
Il rapporto degli Stati Uniti con il Brasile è peggiorato per lo scandalo sulle intercettazioni. L’US National Security Agency (NSA) spiava Dilma Rousseff e il suo governo. La presidentessa brasiliana sospese anche la visita ufficiale negli Stati Uniti, in segno di protesta. Non ha mai ricevuto scuse o la promessa di fermare le attività di spionaggio. Così ha cominciato ad agire. La presidentessa ha condannato le attività di NSA e CIA in America Latina e preso misure per migliorare la sicurezza delle comunicazioni e controllare i rappresentanti statunitensi nel Paese, esasperando Barack Obama. Nelle elezioni presidenziali in Brasile previste per il 5 ottobre, Washington vuole far decadere Dilma Rousseff. I servizi speciali degli Stati Uniti hanno lanciato una campagna per sbarazzarsi dell’attuale leader brasiliana. In un primo momento provocando proteste di piazza presunte spontanee per modificare e abbandonare le “vecchie politiche”. C’erano gruppi di giovani che protestavano contro propaganda e simboli dei politici politici, soprattutto del Partito dei lavoratori. Marina Silva ha formato il Partito della rete sostenibile. E’ ancora un mistero da dove abbia preso i fondi. La nuova organizzazione deve sostituire i vecchi partiti che presumibilmente sarebbero delle reliquie, ed ascendere. Le elezioni presidenziali del 2014 dovrebbero fare di Marina e del suo partito il cambio del panorama politico del Brasile, rimuovendo le forze politiche “arcaiche”. Terza con 19 milioni di voti, alle ultime elezioni, inizialmente non ebbe l’opportunità di concorrere alle presidenziali non avendo ottenuto le firme necessarie per farvi partecipare il suo Partito della rete sostenibile. Ma la tragedia che ha ucciso Campos e altre sei persone preso São Paulo, il mese scorso, ha dato a Silva l’inattesa seconda possibilità di soddisfare le proprie ambizioni presidenziali. Per divenire il primo presidente nero del Paese, dovrà sconfiggere la prima donna presidente, Rousseff del Partito dei Lavoratori (PT), così come il liberista Aécio Neves del Partito della socialdemocrazia brasiliana (PSDB), che ora è al terzo posto. La Casa Bianca era frustrata, Campos non aveva nessuna possibilità, ma era irremovibile nel concorrere, ignorando i media brasiliani che l’accusavano di corruzione. Anche Dilma Rousseff e il suo team furono pesantemente attaccati. Il 13 agosto la campagna elettorale presidenziale del Brasile finì nello sconcerto quando il jet privato del candidato del Partito socialista Eduardo Campos si schiantò in una zona residenziale nei pressi di San Paolo. Campos e gli altri sei membri dell’equipaggio e passeggeri rimasero uccisi nell’incidente, avvenuto durante il maltempo, mentre il Cessna si apprestava ad atterrare. La morte ha messo in lutto in tutto il Paese, rischiando di essere seguito da speculazioni sull’effetto sul voto presidenziale del 5 ottobre. La Presidentessa Dilma Rousseff dichiarava tre giorni di lutto ufficiale per Campos, che sostenne il governo Lula. L’aereo aveva prestato servizio tecnico regolare e senza difetti. Il registratore di cabina del Cessna era spento, sollevando interrogativi. In precedenza aveva funzionato senza intoppi, ma non registrò le conversazioni nel giorno della tragedia. L’aereo ebbe diversi proprietari (uomini d’affari brasiliani e statunitensi che rappresentavano aziende dalla dubbia reputazione). Alcuni commentatori brasiliani ritengono che si tratti di un assassinio. Prima della tragedia il velivolo fu utilizzato dall’US Drug Enforcement Administration (DEA). Persone inviate dagli ex-proprietari potrebbero aver avuto accesso all’aereo con diversi pretesti. Viene da chiedersi, gli Stati Uniti sono responsabili della tragedia? Chi esattamente? L’aereo decollò da Rio de Janeiro dove una stazione CIA opera nel consolato degli Stati Uniti. Non c’è dubbio che l’ufficio sia utilizzato dall’agenzia. Forse i servizi speciali brasiliani dovrebbero prestare attenzione a coloro che lasciarono il Paese subito dopo l’incidente aereo. La morte di Eduardo Campos ha innalzato le quote di Silva come candidata elettorale del Partito socialista. Se Campos non raccolse mai più del 9-10%, lei avrebbe il 34-35% al primo turno. Le previsioni indicano che il voto aumenterebbe al ballottaggio.
Marina Silva viene dipinta come strenua combattente contro la corruzione che potrebbe placare gli scontri interni, promettendo di lavorare con tutti i gruppi, i partiti e le coalizioni senza distinzioni. E’ difficile dire quale siano le sue reali intenzioni, è sempre difficile dire qualcosa di preciso quando si parla di personaggi sostenuti dagli Stati Uniti, troppo spesso Silva ha cambiato bandiera. Ad esempio, unendosi a Campos ha sostenuto l’idea di tenere alla larga le idee di Chavez (Hugo Chavez, defunto presidente del Venezuela noto per le sue convinzioni socialiste e la politica di sinistra) lontane dal Brasile. Oggi dice che la squadra del Presidente Lula era troppo chavista (pro-Chavez). Quindi, sulla sua proclamata disponibilità a lavorare con tutti? Non c’è dubbio che il Partito dei Lavoratori del Brasile gode di ampio sostegno, ma difficilmente può essere paragonato al partito al potere in Venezuela. Forse la CIA vuole utilizzare Silva per attuare il suo vecchio piano di creare una “cintura della sinistra alternativa” in America Latina per opporsi ai regimi autoritari, populisti e arcaici di Venezuela e Cuba. Silva è sempre più neo-liberale nella campagna elettorale dicendo che non c’è bisogno di un altro “centro di potere”, i BRICS, e di attuare la decisione del blocco d’istituire una banca di sviluppo, un fondo di riserva, ecc. Silva ha dubbi sul Consiglio di difesa sudamericano. Sottovoce chiede di prestare meno attenzione al MERCOSUR (Mercado Común del Sur, blocco sub-regionale che comprende Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela) e UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane: Unión de Naciones Suramericanas, unione intergovernativa che integra le due unioni doganali esistenti, Mercosur e Comunità delle nazioni andina, nell’ambito del processo d’integrazione sudamericano). Secondo lei, lo sviluppo delle relazioni bilaterali dovrebbe avere la priorità. Tali punti di vista sono in contrasto con il processo d’integrazione dell’America Latina. Come reagiranno i brasiliani alla svolta neoliberista del Paese nel caso vincesse? C’è la grande possibilità che si arrivi a disordini sociali, essendo abituati al progresso sociale del Paese. Le persone sono ascoltate, le riforme avviate e il Paese è stabile ed avanza. Se Silva diventasse presidentessa (George Soros, magnate, investitore e filantropo statunitense finanzia la sua campagna con notevoli fondi) ci sarà la seria possibilità di chiudere molti programmi sociali ed economici suscitando ampio malcontento. C’è l’idea che gli uffici degli Stati Uniti in Brasile siano pieni di agenti dei servizi speciali incaricati della missione di stimolare le proteste.
La ripubblicazione è gradita in riferimento al giornale on-line
 

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