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<LI class="cat-item cat-item-39">LIBRE news <LI class="cat-item cat-item-1">Recensioni <LI class="cat-item cat-item-583">segnalazioni <DIV id=content> <DIV id= Eugenio Scalfari, fondatore di “Repubblica” e leader dell’establishment pro-euro, propone a Renzi di sacrificare l’Italia (cioè gli italiani) per salvare la moneta unica? Renzi non gli dia retta e faccia esattamente il contrario: salvi l’Italia e lasci affondare l’euro. Come? Tornando alla lira, e di corsa, scrive il prestigioso giornalista economico inglese Ambrose Evans-Pritchard. In fondo, osserva, Renzi era ancora minorenne all’epoca del “peccato originale”, lo sciagurato Trattato di Maastricht. Finora ha sbagliato tutto: in campagna elettorale ha promesso di contrastare l’austerity Ue, poi si è sottomesso a Bruxelles confidando nei suoi cattivi consiglieri, che parlavano di ripresa imminente. Ora ci siamo: l’Italia sta crollando e il debito pubblico rischia di arrivare al 150% del Pil, con l’incubo di tagli miliardari in autunno o, peggio, il commissariamento della Troika. Renzi, dice Pritchard, è ancora in tempo: può salvare l’Italia, uscendo dall’euro. Possibile: perché i conti dell’Italia – quelli veri – sono meno peggio di quelli di tanti altri paesi, inclusi Francia, Gran Bretagna, Giappone, Olanda e Stati Uniti.
«E’ un fatto incontrovertibile – scrive Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte” – che il disastro che dura da 14 anni in Italia coincide con l’adesione all’Uem», l’unione monetaria europea. «L’Italia è in depressione da quasi sei anni». Un crollo «costellato da false riprese, sopraffatte ogni volta dai dilettanti monetari responsabili della politica Uem». L’ultima “ripresa” è svanita dopo un solo trimestre, e l’economia è di nuovo in recessione tecnica: la produzione crollata del 9,1% dal suo picco, «indietro a livelli di 14 anni fa», l’industria italiana «scesa a livelli del 1980». Incredibile: «Ci vogliono errori di politica economica madornali per realizzare un tale risultato, in una economia moderna». Basti pensare che l’Italia non aveva subito niente di simile neppure durante la Grande Depressione, «facendo segnare una crescita del 16% tra il 1929 e il 1939». Nemmeno Mussolini, aggiunge Pritchard, era così maniacale da perseguire i suoi deliri sul “gold standard”. Le autorità italiane che oggi intravvedono segnali di ripresa? Sono «come le guardie della fortezza nel “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati», ingannate «dalle illusioni ottiche dell’orizzonte senza vita».
Bollettino della catastrofe: i prestiti bancari alle imprese sono ancora in calo, “Moody’s” dice che quest’anno l’economia si contrarrà dello 0,1%, “Société Génerale” dello 0,2 Il crollo del settore immobiliare non ha ancora toccato il fondo: se l’anno scorso per vendere una casa occorreva attendere in media 8,8 mesi, ora l’attesa è salita a 9,4 mesi. Precipita l’indice del peggioramento delle condizioni di mercato: in soli tre mesi è passato da 19,6 a 34,7%. «Non possiamo andare avanti più a lungo», protesta la filiale di Taranto di Confindustria, in una lettera aperta al presidente della Repubblica in cui segnala che la Puglia sta diventando un «deserto industriale», con le piccole imprese sull’orlo della chiusura e dei licenziamenti di massa. «Il mix letale di contrazione economica e inflazione zero sta portando la traiettoria del debito in Italia a crescere in maniera esponenziale, nonostante l’austerità e un avanzo primario del 2% del Pil», aggiunge Pritchard. Nel primo trimestre 2014 il debito è salito al 135,6%, dal 130,2% dell’anno prima. E si può arrivare al 140% entro fine anno, «in acque inesplorate per un paese che in realtà si indebita in D-Marks».
«Nessuno sa quando i mercati reagiranno», dicono i banchieri italiani. La recessione, intanto, sta erodendo le entrate fiscali così gravemente che Renzi «dovrà venirsene fuori con nuovi tagli, dai 20 ai 25 miliardi di euro, per soddisfare gli obiettivi di disavanzo dell’Ue, perpetuando il circolo vizioso». Il compito, dice Pritchard, è senza speranza, come confermano tutti gli studi. Secondo il think-tank “Bruegel”, l’Italia dovrebbe realizzare un avanzo primario del 5% del Pil per stabilizzare il debito con un’inflazione al 2%. Avanzo che salirebbe al 7,8% a inflazione zero. «Qualsiasi tentativo di raggiungere questo obiettivo porterebbe ad una implosione autodistruttiva dell’economia italiana», avverte Pritchard. Ashoka Mody, già alto funzionario del Fmi in Europa, dice che è impossibile realizzare avanzi primari così abnormi, cioè tagli spaventosi alla spesa pubblica. E consiglia alle autorità italiane di «cominciare a consultare dei bravi avvocati, per garantire una ristrutturazione ordinata del debito sovrano». Avverte: «Non deve essere un cataclisma, ci sono modi di dilazionare gli obblighi di pagamento nel corso del tempo. Ma non c’è nessuna ragione di attendere fino a che il rapporto giunga al 150% del Pil. Dovrebbero andare avanti in questo senso da subito».
Tutt’altra musica quella che suona Eugenio Scalfari, secondo cui l’Italia dovrebbe «mettersi sotto il controllo della Troika», cioè del boia. «Scalfari sembra pensare che la democrazia in Italia dovrebbe essere sospesa per salvare l’euro – replica Pritchard – e che il paese dovrebbe raddoppiare le politiche di terra bruciata, imbarcandosi in uno sforzo ancora più draconiano per recuperare competitività attraverso un svalutazione interna», cioè tagliando i salari e il welfare. Renzi di rifletta, insiste Pritchard: pensi a salvare gli italiani, non l’euro. Sono 14 anni che il paese è in sofferenza, ovvero da quando è nell’Eurozona, che «ha messo in moto una dinamica molto distruttiva per le particolari condizioni dell’Italia». Ed è altrettanto chiaro che ora l’Uem «impedisce al paese di uscire dalla trappola». Ci dimentichiamo, aggiunge Pritchard, che l’Italia registrava abitualmente un surplus commerciale nei confronti della Germania, prima dell’euro: «Le industrie italiane del nord erano viste come concorrenti formidabili, quando la lira era debole». Antonio Guglielmi, di Mediobanca, dice che l’Italia “teneva” benissimo, prima di agganciare la lira al marco nel 1996. Solo allora è entrata in una «spirale negativa della produttività».
In un rapporto che è una condanna, Guglielmi mostra come negli ultimi 40 anni la crescita della produttività e della competitività in Italia abbia vacillato ogni volta che la valuta nazionale è stata agganciata a quella tedesca, mentre si è ripresa dopo ogni svalutazione. Ennesima conferma dell’avvertimento lanciato da storici e antropologi: economie profondamente differenti non avrebbero mai potuto convergere felicemente nell’Eurozona. E ora siamo arrivati al capolinea: «L’Italia è sopravvalutata del 30% rispetto alla Germania e non può recuperare attraverso la deflazione, in quanto la stessa Germania è vicina alla deflazione». Le élite dellìunità monetaria, aggiunge Pritchard, esortano l’Italia a “fare le riforme”, «un termine che viene buttato là liberamente». Tutte storie: «Le metriche del mercato del lavoro per la Germania e l’Italia non sembrano così diverse», precisa Modi, già direttore del Fmi a Berlino. «Non è più facile assumere e licenziare in Germania». Il problema, semmai, è la mancanza in investimento in capitale umano, denuncia il professor Giuseppe Ragusa, della Luiss “Guido Carli” di Roma: «Ciò che veramente colpisce è quanto siamo indietro nell’istruzione».
I dati dell’Ocse mostrano che l’Italia spende solo il 4,7% del Pil per l’istruzione, rispetto al 6.3% di tutta l’Ocse. La quota di giovani che hanno completato gli studi superiori è del 21%, rispetto ad una media del 39%. Gli insegnanti sono pagati una miseria. «Questo è davvero un grosso problema strutturale, ma non può essere risolto dalle “riforme”, figuriamoci dall’austerità». Ciò di cui l’Italia ha davvero bisogno, dice Pritchard, è di «un New Deal, un massiccio investimento in infrastrutture e competenze, sostenuto da uno stimolo monetario per sollevare il paese dalla sua soffocante tristezza cosmica». Renzi? «Deve ormai aver capito che questo non può essere fatto sotto l’attuale regime dell’Uem». Improvvisamente, il premier italiano «si ritrova nella stessa situazione terribile di François Hollande in Francia: etrambi si ritrovano con il cappio al collo». La differenza «è che Hollande è oltre ogni possibilità di salvarsi», perché «il regime depressivo dell’Uem ha distrutto la sua presidenza». “Le Figaro” sta pubblicando una fiction estiva in cui si esplora la possibilità di dimissioni anticipate. Renzi invece «non ha ancora bruciato il suo capitale politico, ed è un giocatore d’azzardo per natura», scrive Pritchard.
Attenzione: «Non c’è più alcuna possibilità che Italia e Francia conducano una rivolta dei paesi latini, mettendo insieme una maggioranza in seno al Consiglio Europeo e alla Banca Centrale per imporre una strategia di rilancio a livello dell’Uem che cambi completamente il panorama economico». Con l’adesione alla Germania a tutti i costi, «la forza politica di Hollande è bruciata». E gli spagnoli pensano – sbagliando – di essere fuori dal guado, e di non avere bisogno di un “patto del Sud” con Italia e Francia. Così, «Renzi è solo». E si trova davanti una Bce «che ha sostanzialmente violato il suo contratto con l’Italia, lasciando cadere l’inflazione a 0,4% sapendo che questo avrebbe fatto andare in metastasi la crisi italiana». Poi c’è Juncker, a capo di una Commissione «che promette di attuare le stesse disastrose politiche economiche che si sono già dimostrate rovinose». In altre parole, «non vi è alcuno spazio di negoziazione», perché le istituzioni di Bruxelles non ammettono le loro responsabili nella catastrofe: «Sostenendo solo la volontà dei creditori, hanno messo a terra l’unione monetaria: non hanno più alcuna legittimità».
«L’Italia deve badare a se stessa», conclude Pritchard. «Si può riprendere solo se si libera dalla trappola Uem, riprende il controllo dei suoi strumenti di politica economica e ridenomina i suoi debiti in lire, con controlli dei capitali fino a quando le acque si calmano». Missione tutt’altro che impossibile, precisa l’economista inglese: «L’Italia non si troverebbe ad affrontare una crisi immediata di finanziamento, dal momento che ha un avanzo primario di bilancio». La sua posizione patrimoniale netta sull’estero, inoltre, è al -32% del Pil, a fronte di un -92% della Spagna e -100% del Portogallo. «Il paese non soffre di eccesso di debito da un punto di vista fondamentale», dal momento che il debito ipotecario è molto basso, e che il debito aggregato (pubblico e privato) è circa il 270% del Pil, cioè «molto inferiore a quello di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone, Stati Uniti, Svezia e Paesi Bassi».
Non c’è un modo “facile” di uscire dall’euro, perché «le strutture a incastro dell’unione monetaria sono andate ben oltre un aggancio di cambio fisso», e inoltre «gli interessi costituiti», quelli che hanno trasformato l’Eurozona in una sorta di lager economico cronicamente depresso, «sono potenti e spietati». Eppure non è impossibile, insiste Pritchard, secondo cui «la faccenda sicuramente precipiterà quando la traiettoria del debito italiano entrerà nella zona di pericolo». A quel punto, tutto sarà chiaro: restare nell’euro sarà il suicidio, uscirne sarà obbligatorio. Di fronte a una crisi molto forte, in autunno, «potrebbe non essere così evidente che il paese vuole essere salvato alle condizioni europee». Quindi, «Renzi può giustamente concludere che l’unico modo possibile per adempiere al suo compito», il famoso “Rinascimento” per l’Italia, «è quello di scommettere tutto sulla lira».
Eugenio Scalfari, fondatore di “Repubblica” e leader dell’establishment pro-euro, propone a Renzi di sacrificare l’Italia (cioè gli italiani) per salvare la moneta unica? Il premier non gli dia retta e faccia esattamente il contrario: salvi l’Italia e lasci affondare l’euro. Come? Tornando alla lira, e di corsa, scrive il prestigioso giornalista economico inglese Ambrose Evans-Pritchard. In fondo, osserva, Renzi era ancora minorenne all’epoca del “peccato originale”, lo sciagurato Trattato di Maastricht. Finora ha sbagliato tutto: prima ha promesso di contrastare l’austerity Ue, poi si è sottomesso a Bruxelles confidando nei suoi cattivi consiglieri, che parlavano di ripresa imminente. Ora ci siamo: l’Italia sta crollando e il debito pubblico rischia di arrivare al 150% del Pil, con l’incubo di tagli miliardari in autunno o, peggio, l’arrivo della Troika. Renzi, dice Pritchard, è ancora in tempo: può salvare l’Italia, uscendo dall’euro. Possibile: perché i conti dell’Italia – quelli veri – sono meno peggio di quelli di tanti altri paesi, inclusi Francia, Gran Bretagna, Giappone, Olanda e Stati Uniti.lead class=clearfloat> <DIV id=lead-text> <H2>
 
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1:00:57
RACCONTERANNO CHE NON AVEVANO PIU' NEANCHE IL CORAGGIO DI GUARDARE IL CIELO -

<UL class=yt-lockup-meta-info> 18 ore fa
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"SCIE CHIMICHE: LA GUERRA SEGRETA"
http://www.:D:D:D:D:D:D:D:D:Dx tuttiiiiii:) correggo x pochi:cool::cool::cool:


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Un altro sospetto incidente aereo in America Latina, aiuta gli interessi statunitensi e globalisti →
Il default del debito argentino, un rischioso poker degli USA

agosto 29, 2014 2 commenti

F. William Engdahl New Eastern Outlook 29/08/2014 La maggioranza ignora il dramma della minaccia imminente di (un altro) default del debito dell’Argentina. Lungi dall’ennesimo racconto di un Paese in via di sviluppo corrotto incapace di adempiere ai propri obblighi sul debito estero, come si vide negli anni ’80 e alla fine degli anni ’90, il dramma reale del default del debito sovrano dell’Argentina è infatti un rischioso gioco di potere di Washington e Wall Street, volto a terrorizzare non solo l’Argentina ma tutte le nazioni emergenti sulle regole del gioco scritte unicamente da Wall Street a vantaggio esclusivo delle banche e degli hedge fund di Wall Street. Il 1° agosto, l’agenzia di rating del credito di Wall Street, Standard & Poors, la stessa agenzia accusata d’intervenire politicamente per trasformare la crisi del debito greco in una crisi dell’euro nel 2011, agiva dichiarando l’Argentina “selective default”. La dichiarazione si è avuta quando i negoziati tra il governo argentino e gli hedge fund di Wall Street non risolvevano la disputa sul versamento di 400 milioni di dollari di debiti. Ma ancor più interessante di quanto appaia, l’Argentina si rifiuta di pagare l’importo, e non i fondi.
Le ragioni
L’elemento critico da sapere è che la controversia non riguarda la capacità dell’Argentina di rimborsare i debiti esteri, come avvenuto un decennio fa. Nel 2001 il default dell’Argentina fu di quasi 82 miliardi di dollari di debito sovrano. Fu un brutto momento per il Paese mentre le banche di Wall Street e City of London misero con le spalle al muro il governo, che aveva negoziato i termini di ristrutturazione del debito nel 2005 e nel 2010, con circa il 92% dei possessori del debito che accettava i “tagli” o una significativa riduzione del valore delle obbligazioni. Poi, circa l’8% degli obbligazionisti non accettò i termini della ristrutturazione, i cosiddetti “holdouts” per lo più hedge fund speculativi. Gli hedge fund, guidati da NML Capital della Elliott Capital Management di Paul Singer, rifiutarono i termini del taglio offerti dall’Argentina. Chiesero il rimborso integrale delle obbligazioni dall’Argentina più gli interessi.
Le regole del capitalismo predatore
C’è una brutta piega però. NML Capital di Singer non è nemmeno un hedge fund ordinario. Gestisce ciò che viene chiamato “fondo avvoltoio”, un particolare tipo di fondo speculativo. Come suggerisce il nome, come un avvoltoio distrugge il debito dei “cadaveri” per possibili profitti del 1700% sugli investimenti. E’ l’espressione più cinica della pura logica del libero mercato di Gordon Gekko del film Wall Street di Oliver Stone del 1987. Comprano il debito di Paesi poveri e in recupero finanziario per un penny ogni dollaro per poi citarli in giudizio nei tribunali, spesso recuperando fino a dieci volte il prezzo di acquisto, di solito facendo causa presso le corti “filo-mercato” statunitensi ed europee. I fondi avvoltoio sono molto riservati e risiedono in paradisi fiscali offshore come le Isole Cayman. I profitti di Singer provengono dalle cause nelle corti distrettuali degli Stati Uniti vinte. Così, la questione tra Argentina e Singer sull’accordo volontario con il 92% degli altri possessori di debito, che l’Argentina ha rimborsato con grandi sconti e che i giudici statunitensi hanno congelato in attesa della risoluzione delle richieste di Singer, è se può essere sabotato da un grossolano speculatore in combutta con amici giudici per avere un profitto osceno a scapito della stabilità di un’intera nazione. La libertà dei fondi avvoltoio non regolamentati nel comprare debito sovrano in default nel citare in giudizio per recuperarli, equivarrebbe al paradosso che, dopo la dissoluzione del 1991 dello Stato sovietico, gli hedge fund di Wall Street citassero in giudizio la Federazione russa per recuperare, con gli interessi maturati, il default delle obbligazioni della Russia zarista del 1916 che avessero acquistato in qualche mercatino per pochi centesimi. Il punto non è la follia dei fondi avvoltoio, ma la follia dei tribunale distrettuale federale degli Stati Uniti di New York e persino della Corte Suprema nel consentire tali follie. Lo scorso giugno, la Corte Suprema degli Stati Uniti, una delle più bizzarre nella storia degli Stati Uniti, ha deciso a favore del fonfo avvoltoio NML Capital, decidendo che non avrebbe esaminato il ricorso della Argentina contro la sentenza del giudice Thomas Griesa del tribunale distrettuale federale. Lasciando da parte il fatto che il giudice Griesa ha 84 anni e le sue sentenze suggeriscono possibile senilità, la situazione è più che bizzarra, tanto che anche il governo degli Stati Uniti e il FMI si oppongono alla sentenza. Il giudice Griesa ha emesso sentenze contraddittorie nel caso argentino, ma la Corte Suprema si rifiuta di esaminare il caso. Griesa, utilizzando un argomento giuridico di parità o para passu, impedisce all’Argentina qualsiasi pagamento al 92% dei detentori del debito ristrutturato, se non paga i detentori che l’hanno citata in giudizio. Come ha dichiarato, le sue sentenze hanno lo scopo di costringere l’Argentina a subire ciò che ha ripetutamente chiamato i suoi “obblighi”. Griesa ha deciso che l’Argentina deve pagare appieno le vecchie obbligazioni ed anche i prossimi interessi semestrali dei titolari di nuove obbligazioni. E se non lo fa, qualsiasi banca che aiuta l’Argentina a pagare gli interessi sui nuovi titoli violerebbe l’ordine. Tale sentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello del Secondo Circuito, e a giugno la Corte Suprema ha rifiutato di ascoltare l’appello finale dell’Argentina. Il giudice Griesa cerca di controllare le azioni di un governo sovrano emettendo sentenze vincolanti su ciò che normalmente non è mai di competenza di un tribunale statunitense. E’ una follia, se non fosse che la Corte Suprema degli Stati Uniti, la cui conoscenza dei fondi avvoltoi e delle complesse offerte finanziarie è forse limitata, s’è rifiutata di contestare la decisione di Griesa.
La presidentessa argentina Cristina Fernández de Kirchner ha definito la sentenza “estorsione”, e ha detto che il suo Paese continuerà a pagare i detentori del debito ristrutturato. I pagamenti invece sono stati congelati dal giudice Griesa degli Stati Uniti. Per l’Argentina si tratta di un “comma 22″ nucleare. Se versa 1,33 miliardi di dollari al fondo avvoltoio, come preteso dal giudice, gli altri hedge fund detentori, in parte o tutti, la citeranno in giudizio, richiedendo il rimborso totale. Ciò all’Argentina costerebbe 28 miliardi di dollari, esaurendone le riserve valutarie. Ma bloccando il pagamento al 92%, il giudice Griesa impone il default all’Argentina riluttante. La ferocia del fondo avvoltoio di Singer non conosce limiti. Nell’ottobre 2013, nel tentativo di raccogliere il debito argentino, NML Capital chiese a un giudice ghanese di sequestrare una nave argentina, l’ADA Libertad, al largo delle coste del Ghana. NML Capital vinse la causa e il Ghana sequestrò la nave. Più tardi, la sentenza fu ribaltata dal Tribunale delle Nazioni Unite sulle leggi del mare e la nave ritornò in Argentina. Il 21 giugno 2013, la Corte Suprema del Ghana condannò il sequestro della nave argentina, indicando la natura da pirata di tali fondi avvoltoio, non riconosciuti in molti Paesi come la Germania. Joe Stiglitz, premio Nobel per l’economia, ha preso atto della sentenza sull’Argentina negli Stati Uniti, “Abbiamo gettato molte bombe nel mondo, e gli USA lanciano una bomba sul sistema economico globale. Non sappiamo quanto sarà grande l’esplosione, e non è solo in Argentina“.
F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, ha conseguito la laurea in politica dalla Princeton University ed è un autore di best-seller su petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
 

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The U.K. will press European Union leaders to consider blocking Russian access to the SWIFT banking transaction system under an expansion of sanctions over the conflict in Ukraine, a British government official said.
The Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, known as SWIFT, is one of Russia’s main connections to the international financial system. Prime Minister David Cameron’s government plans to put the topic on the agenda for a meeting of EU leaders in Brussels Aug. 30, according to the official, who asked not to be named because the discussions are private….
Questa è una cosa seria, maledettamente seria.
E le conseguenze sarebbero imprevedibili.
Per ora la Russia ha poche alternative a Swift per i collegamenti finanziari internazionali. E un blocco dell’accesso metterrebbe in seria difficoltà Mosca. Che dovrebbe rispondere con qualcosa di altrettanto grosso e pericoloso.
Come ovvio Swift, ora ha il 100% di probabilità di essere affiancato da altri circuiti non “occidentali”, ma per intanto la minaccia per Putin non è da sottovalutare.
Il punto è capire se l’Europa (ex anglosassoni) si suiciderà.
E’ ora di terminare questa follia. La Russia deve rimanere un solido alleato e partner commerciale affidabile per l’Europa ( piaccia o no agli anglosassoni
 

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Il raggiro del debito
tratto da www.informationguerrilla.org
E' impossibile capire il sistema bancario mondiale se non si tiene conto dei retroscena. Ciò non si insegna a scuola e nessun economista in giacca e cravatta, né alcun corrispondente del telegiornale, vi dirà mai la verità in proposito. Alcuni di loro non sanno quello che sta succedendo perché sono stati programmati dal sistema dell'istruzione a credere in assurdità, mentre altri semplicemente non vogliono che sappiate. I fondamenti della manipolazione che mira alla creazione di un governo, un esercito, una banca e una valuta mondiali si basano su quella truffa clamorosa che chiamiamo sistema bancario. Una volta che la gente capisce come questo funziona, si rende conto facilmente di come pochi possano controllare la vita di tutti gli altri.
Alle banche viene dato il potere di "creare" denaro, il che significa "creare" denaro che non esiste, noto come credito. Questo non gli costa niente, ma dal momento in cui questo credito viene fatto teoricamente esistere, le banche possono cominciare a caricarlo di interessi. E' questo il sistema che controlla la vita di tutti. Ma va anche oltre. Quando prendi un prestito, la banca "crea" il credito pari all'ammontare del prestito richiesto, diciamo 20.000 sterline.
Anche se solo in teoria, questo è comunque denaro "nuovo". Ma tu non rimborserai solo 20.000 sterline, perché sopra quel prestito dovrai pagare gli interessi. L'interesse non è stato "creato" dalla banca, ma deve comunque essere ricavato da qualche parte. Da dove allora?
Dalla ricchezza e dal credito che già circola nel mondo.

In questo modo, fin dalle sue origini, questo folle sistema bancario risucchia la vera ricchezza del pianeta sotto forma di interesse relativo ad ogni prestito concesso a persona, azienda o governo.
Questo ha inoltre consentito alle banche di prestare denaro non esistente in quantità ancora maggiore e di far sprofondare sempre di più nel debito il mondo. La ricchezza accumulata e la capacità di concedere crediti supera ogni immaginazione, ed è assai superiore a quella degli Stati Uniti, il paese più ricco della Terra. In realtà, le banche possiedono gli Stati Uniti, così come possiedono quasi tutti i paesi del mondo. I banchieri hanno usato questa ricchezza e questa montagna di crediti per comprare e controllare le compagnie petrolifere globali, le multinazionali di ogni genere, i media, le industrie di armamenti, le aziende farmaceutiche, i politici, i "consiglieri" politici e praticamente tutto quello che gli serve per controllare il mondo. Le stesse poche persone e famiglie possiedono tutto! Nascondono questa verità dietro le organizzazioni di facciata, un insieme di aziende con i loro direttori burattini, e il loro desiderio di rimanere nell'ombra viene assolutamente rispettato da patetici mezzi di informazione e dal sistema dell'istruzione. Solo i Rockefeller e i Rothschild controllano una rete incredibile di banche, compagnie petrolifere, multinazionali, compagnie aeree e numerose altre organizzazioni. La Chase Manhattan Bank dei Rockefeller/Rothschild ha di per sé abbastanza potere da scatenare, volendo, il panico finanziario globale. Nel 1995 la Chase si è fusa con la Chemical Bank che aveva già assorbito la Manufactures Hanover. Questa concentrazione di potere è incredibile. Ma i veri controllori di questi imperi vengono celati al pubblico grazie a uomini ombra, trust, fondazioni e compagnie. L'abilità dei Rockefeller di nascondere il loro reale potere è fenomenale. Ma con i Rothschild tale abilità sfiora il genio. In particolare è dalla Seconda Guerra Mondiale che essi cercano di promuovere l'immagine di un potere il declino che opera fuori della grande lega. Sciocchezze. Sono loro la grande lega insieme ad altri elementi dell'Elite Globale.

Controllando la creazione del credito, i banchieri possono provocare boom o crolli economici, sia a livello nazionale che internazionale, ogni volta che vogliono realizzare le proprie ambizioni. Una depressione economica non è causata da un crollo nella domanda di beni e servizi. Non è la gente a decidere che alcuni servizi o alcuni prodotti non servono più. La depressione economica si viene a creare quando non ci sono in circolazione abbastanza pezzi di carta e "denaro" elettronico con cui pagare quelle merci e quei servizi. E chi controlla l'ammontare di credito monetario in circolazione? Le banche. Se vogliamo causare una depressione per un secondo fine, come nella Germania e negli Stati Uniti prima della guerra, esse adottano misure per ridurre l'ammontare del denaro in circolazione. Riducono il numero di prestiti concessi e alzano i tassi di interesse.

Ciò è estremamente vantaggioso per le banche più grandi. La gente infatti deve continuare a pagare gli interessi sui prestiti prima dell'architettato collasso economico e se viene meno a questi pagamenti, le banche le sottraggono i suoi beni e aumentano nell'ordine di centinaia di migliaia il numero di fattorie, aziende e case di loro proprietà. Durante una depressione con ogni pagamento di interesse da parte di chi continua a rimborsare i propri prestiti sempre più denaro viene tolto dalla circolazione senza essere rimesso nel ciclo economico, e ciò contribuisce ad aggravare la crisi.

Questo processo di riduzione del denaro in circolazione che causa la depressione economica si può osservare in ogni momento. Gli economisti e i loro tirapiedi, i politici e i giornalisti economici, definiscono tutto questo come parte del "ciclo economico". Fandonie.
La terribile depressione degli anni Trenta, in cui morirono di fame uomini, donne e bambini in un mondo di abbondanza, fu causata dal fatto che le banche ritirarono il denaro dalla circolazione,rifiutando di concedere prestiti. Non è che la gente non volesse mangiare; semplicemente non poteva permettersi di comprare cibo, perché il denaro era stato intenzionalmente ritirato dalla circolazione. Ma chi fu "addentro alle segrete cose" può riassumere meglio di me la situazione che sono andato delineando. Ecco ciò che disse a questo proposito Robert H. Hemphill, un dirigente della Banca della Riserva Federale di Atlanta:

<<E' un pensiero sconcertante. Dipendiamo totalmente dalle banche commerciali. Qualcuno deve prendere in prestito ogni dollaro che è in circolazione, contante o credito. Se le banche creano denaro sintetico in grande quantità noi siamo ricchi, altrimenti moriamo di fame. Siamo assolutamente privi di un sistema finanziario permanente. Quando si arriva ad avere un quadro completo della situazione, la tragica assurdità della nostra situazione disperata sembra quasi incredibile, ma di fatto è così. E' la materia più importante su cui dovrebbe investigare e riflettere le persone intelligenti. E' così che la nostra attuale civiltà potrebbe crollare, a meno che non si arrivi a una maggiore comprensione del fenomeno e non si adottino al più presto le misure necessarie>>.

Non c'erano soldi, si disse alla gente, per costruire le case e sfamare la popolazione. Ma improvvisamente, quando per l'Elite Globale giunse il momento di fare la guerra, ecco che il denaro a disposizione per finanziare Hitler, il Giappone e lo sforzo bellico degli Stati Uniti divenne illimitato. Si sente spesso dire dalla gente che il denaro per fare le guerre non manca mai. Certo che non manca, perché i banchieri che controllano il sistema economico mondiale vogliono quelle guerre. Non vogliono che la gente abbia delle belle case e la pancia piena e riceva un'istruzione appropriata, perché poi diventerebbe assai più difficile da controllare. Non fu la tanto strombazzata politica del "Nuovo Corso" di Franklin Roosevelt a porre fine alla depressione degli anni Trenta, ma furono le banche che rimisero in circolazione il denaro per finanziare la guerra che stavano creando. Ecco la verità riguardo alla vita sulla Terra:

Il freddo, la fame, la mancanza di un'abitazione o l'indigenza non sono in nessun caso inevitabili. Tutte queste cose sono causate dalla mancanza di quei pezzi di carta e numeri elettroni che chiamiamo denaro e dagli interessi che su di esso vengono imposti. Potremmo cambiare questa situazione oggi stesso se solo volessimo.

A controllare il sistema finanziario mondiale e il succedersi di boom e crisi economiche sono solo tredici persone, i membri della Commissione bancaria internazionale di Ginevra, in Svizzera, fondata da David Rockfeller, su incarico dell'Elite, nel 1972. La Commissione è composta da due membri rispettivamente della Riserva Federale statunitense, della Banca d'Inghilterra, delle banche centrali di Germania, Francia e Svizzera, e di un solo membro delle banche centrali di Olanda, Austria e Scandinavia. Ha la sua agenzia di servizi segreti nota come "Four-I" (quattro I), l'International Intelligence Information Institute. Questa elite delle banche è controllata da famiglie come i Rothschild, i Rockefeller, i Bilt e i Goldberg. Legata alla Commissione è la Banca dei Regolamenti Internazionali, anch'essa con sede in Svizzera. Contribuisce a coordinare le
politiche della banche centrali nazionali, come fa negli Stati Uniti la Riserva Federale, il cartello di banche private che decide i tassi
economici e di interesse americani, senza curarsi minimamente dell'opinione di quei burattini dei presidenti e dei politici.

La maggior parte degli americani non si rendono neanche conto che la Riserva Federale è un'organizzazione privata.

Essi credono:
a) che il governo non possa essere così stupido o corrotto da permettere a un cartello di banche private di governare il paese (sbagliato!) o
b) che la parola "federale" significa che essa fa parte del governo (ugualmente sbagliato!).
Nel Regno Unito, ci viene venduta l'illusione che la Banca d'Inghilterra sia nazionalizzata e quindi sotto il controllo del governo. La Banca d'Inghilterra è uno dei punti focali della rete finanziaria dell'Elite, ed ha continuato ad essere controllata dall'Elite dopo che è stata nazionalizzata dal Governo laburista del dopoguerra, diventando una banca privata non ufficiale.
L'intero castello di carte e il controllo della razza umana si basa sull'imposizione di interessi sul denaro. La questione dell'interesse è cruciale. Non c'è niente di male nel denaro se esso viene usato solo come strumento di scambio per beni e servizi. E' quando si cominciano a imporre interessi sul denaro, la maggior parte del quale non esiste nemmeno materialmente, che sorgono enormi pericoli. A quel punto si può ricavare più denaro solo manipolando pezzi di carta e numeri elettronici di quanto se ne possa ricavare producendo beni essenziali e servizi che rispondono alle esigenze della gente. Con l'imposizione di interessi, il denaro insegue quelli che ce l'hanno già e ignora chi non ne ha. Le abissali divisioni sociali e finanziarie del mondo sono provocate dall'imposizione di interesse sul denaro. La produzione viene modificata sulla base dell'avidità e non della domanda, e i ricchi si arricchiscono, mentre i poveri si impoveriscono. Spesso non è il costo di una casa che impedisce alla gente di comprarla, ma il fatto che ne dobbiamo comprare tre o quattro per averne una!

Non c'è alcuna ragione per cui un governo non possa stamparsi i suoi soldi privi di interesse e prestarli, senza gravarli d'interesse alla popolazione affinché si compri una casa, magari con una piccola tassa una-tantum per coprire i costi di amministrazione. L'unica cosa che frena questa soluzione è la mancanza di volontà da parte dei politici appartenenti a tutti i partiti, controllati direttamente dall'Elite o dai suoi manipolatori economici. Pensate a come le tasse potrebbero essere drasticamente ridotte, o addirittura abolite,se i nostri governi - in altre parole, la gente - non dovessero rimborsare cifre stratosferiche sotto forma di interessi su denaro "preso in prestito" dalle banche. Un amico che lavora nel settore finanziario mi ha detto che per ogni sterlina o dollaro esistente in contante, ne esistono (o meglio non esistono!) altri 30 milioni sotto forma di "credito" elettronico. Il pastore Sheldon Emery ha descritto molto bene questo sistema di creazione del debito da parte del governo nel suo libro,
Billions For The Banks, Debts For The People:
<<Il governo federale, avendo speso più di quanto ha incassato dai suoi cittadini in termini di tasse, ha bisogno, mettiamo, di 1 miliardo di dollari. Dal momento che non ha i soldi (il Congresso ha rinunciato alla sua facoltà di "crearlo"), il governo deve andare a chiedere ai "creatori" 1 miliardo di dollari. Ma la Riserva Federale, una compagnia privata, non concede denaro tanto facilmente! I banchieri sono disposti a consegnare 1 miliardo in contanti o sotto forma di credito al governo federale solo se quest'ultimo lo rimborserà con gli interessi! Così il Congresso autorizza il Ministero del Tesoro a stampare 1 miliardo di dollari in buoni del tesoro, che vengono poi consegnati ai banchieri della Riserva Federale. La Riserva Federale paga il costo della stampa del miliardo di dollari (circa 1.000 dollari) e lo consegna al governo, il quale lo usa per pagare le sue obbligazioni. Quali sono i risultati di questa fantastica transazione? Beh, 1 miliardo di dollari va a sanare le fatture del governo, ma il governo ha ora indebitato la gente nei confronti delle banche per una cifra pari agli interessi imposti su 1 miliardo di dollari! Decine di migliaia di simili transazioni sono avvenute dal 1913 [quando la Riserva Federale è stata creata] cosicché negli anno Ottanta, il governo statunitense si è indebitato nei confronti dei banchieri per più di 1 miliardo di miliardi di dollari, su cui la gente paga più di 100 miliardi di dollari all'anno di interesse senza alcuna speranza di riuscire a rimborsare il capitale... [Oggi le cifre sono molto più alte]... Probabilmente i nostri figli e le generazioni future continueranno a pagare per l'eternità! Voi dite, "E' terribile!" Si, lo è, ma vi abbiamo mostrato solo una parte di questa sordida storia. All'interno di questo scellerato sistema, quei buoni del tesoro sono ora diventati "patrimonio" delle banche del Sistema della "riserva" per "creare" ulteriore "credito" da dare in prestito. Gli attuali fabbisogni di "riserve" gli permettono di usare quel miliardo di dollari in buoni del tesoro per "creare" 15 miliardi in nuovo "credito" da prestare agli Stati, ai Comuni, ai privati e alle aziende. Oltre all'originale miliardo di dollari, essi potrebbero avere 16 miliardi di "credito creato" dal pagamento degli interessi sui prestiti, mentre l'unico costo da loro sostenuto equivale ai 1.000 dollari della stampa del miliardo originale! Dal momento che il Congresso statunitense non emette denaro costituzionale dal 1863, se la gente vuole avere i soldi sufficienti a portare avanti attività commerciali, è obbligata a prendere in prestito il "credito creato" dai banchieri del monopolio e a pagare loro interessi da usura!>>

Il termine "denaro costituzionale" allude alla Costituzione degli Stati Uniti, che afferma: "Il Congresso avrà il potere di coniare il denaro e regolarne il valore". Purtroppo, vuoi per caso o di proposito, essa non dice che il Congresso avrà sempre il potere di coniare denaro e regolarne il valore, e che nessun altro potrà fare queste cose. Le conseguenze di ciò sono state abbastanza spaventose per l'America e per il mondo: nel 1910, il debito federale era solo di 1 miliardo, o 12,40 dollari a persone. I debiti statali e locali erano molto ridotti o inesistenti; nel 1920, solo sette anni dopo che la Riserva Federale era stata fondata, il debito del governo statunitense ammontava a 24 miliardi di dollari, 228 dollari per ogni cittadino; nel 1960, il debito nazionale era di 284 miliardi di dollari o 1.575 dollari a testa; nel 1981, il debito salì a un miliardo di miliardi di dollari e da allora è andato aumentando sempre più. Se gli Stati Uniti nella loro interezza venissero ceduti ai banchieri come risarcimento dei debiti, ci vorrebbero ancora due, forse tre America per saldare completamente i debiti! Non fu senza ragione che Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori, disse:
<<Se il popolo americano permetterà mai alle banche private di controllare l'emissione del denaro, dapprima attraverso l'inflazione e poi con la deflazione, le banche e le compagnie che nasceranno intorno... [alle banche] ...priveranno il popolo dei suoi beni finché i loro figli si ritroveranno senza neanche una casa sul continente che i loro padri hanno conquistato>>.

Dopo gli anni Sessanta, il governo del Regno Unito pagava ogni anno 1 miliardo di sterline di interesse sui prestiti. Nel 1993 la cifra era salita a 24,5 miliardi. Il governo aveva preso dei prestiti per pagare gli interessi sui prestiti mentre il capitale non era ancora stato rimborsato.
Confrontate quei 24,5 miliardi di sterline spese per pagare gli interessi con i 33 miliardi spesi quell'anno per la sanità e gli 11 miliardi che sono andati all'istruzione. Non lamentatevi se mancano i libri scolastici o se gli edifici vanno a pezzi. I banchieri devono pur mangiare, no?
La creazione del debito attraverso l'imposizione di interesse rende anche possibile la conquista del mondo da parte di una minoranza. I banchieri possono accumulare o manipolare affari concedendo o rifiutando prestiti.
Un tipico scenario si verifica con lo sviluppo dell'agricoltura e l'allevamento basata su grandi aziende, che utilizzano tecniche industriali, insetticidi, erbicidi, fertilizzati chimici e con le multinazionali che utilizzano OGM.
Ci viene raccontato che tali aziende assicurerebbero profitti più alti, in realtà è vero il contrario: sono le piccole aziende che utilizzano le tecniche della bioagricoltura a generare maggiori profitti.
Nonostante questo, succede che la produzione agricola è quasi tutta effettuate dalle prime aziende, perché le banche elargiscono in abbondanza crediti alle prime, mentre li rifiutano alle seconde. Non bisogna farsi impressionare dalla capacità di creare profitto delle multinazionali: in realtà, una tipica multinazionale, di solito fa profitti intorno al 2-3% del fatturato, ma richiede ogni anno nuovi investimenti per circa il doppio. Quindi le multinazionali possono affermarsi e svilupparsi solo se sono finanziate dalle banche, in caso contrario fallirebbero nel giro di qualche anno.
Un altro scenario di conquista è quello in cui i banchieri dell'Elite, tutti insieme, rifiutano prestiti a una particolare azienda o compagnia multinazionale. Questo riduce il suo valore in borsa.

A questo punto, quando il prezzo delle sue azioni in borsa precipita, i banchieri comprano grossi blocchi di azioni a prezzi stracciati. Poi cambiano improvvisamente idea e concedono il prestito, aumentando così il valore delle azioni dell'azienda. Allora le banche o vendono le azioni realizzando un buon profitto, o rinsaldano il loro controllo sul consiglio d'amministrazione di quell'azienda.
Cosa fanno le banche una volta acquistato il controllo? Si assicurano che l'azienda prenda sempre più prestiti dalle banche finché viene sommersa dal debito al punto tale che le banche possiedono tutto.
E' così che le stesse poche persone hanno finito per possedere tutte le maggiori aziende, i media e così via. Una volta acquisito il controllo dei media, è stato facile, nascondere la verità alla gente e propinarci le menzogne necessarie a fuorviarci e a confondersi.
Niente migliorerebbe le condizioni di vita della gente più velocemente della fine dell'imposizione di interessi sul denaro e della ripresa da parte dei governi della stampa del proprio denaro privo di interesse.
Il Presidente Abraham Lincoln si mosse in questo senso creando le banconote "greenbacks", ma venne ucciso poco dopo, nel 1865, da John Wilkes Booth, un presunto agente della casa Rothschild. Anche il Presidente John F. Kennedy propose la stessa soluzione e alcune delle sue banconote prive di interesse sono ancora in circolazione. Ma fu ucciso dall'Elite a Dallas, in Texas, nel 1963.


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Forumer storico
- Pagina signoraggio
I misteri dei bilanci delle banche
Da: "Banca Padrona", di Angiolo Silvio Ori, SugarCo Edizioni, 1976
Tratto da www.centrostudimonetari.org
Sulla base dei dati forniti dalle banche interessate l'utile complessivo dell'intero sistema bancario sarebbe stato, nel 1975, di circa 200 miliardi di lire, naturalmente utile netto, che rende soltanto parzialmente l'idea del reale profitto del sistema bancario italiano calcolato, invece, dal ministro Donat Cattin in quattromila miliardi.
Per la verità le stesse banche sanno benissimo che il guadagno netto indicato nei loro bilanci annuali (e cioè la differenza tra l'ammontare dei proventi e quello delle spese e delle perdite) è cosa ben diversa dal guadagno reale. Nel passivo dei bilanci figurano, infatti, delle voci che non possono essere considerate "perdite" e neppure "spese": è il caso, per esempio, di quegli accantonamenti effettuati a fronte di presunte, possibili ed eventuali perdite. Queste somme, quasi sempre rilevantissime, possono essere, tutto al più, considerate delle vere e proprie riserve (tassate, tra l'altro, soltanto in parte); al minimo, veri e propri incrementi del patrimonio. E' giusto, quindi, che, per avere un'idea più precisa dei guadagni del sistema bancario, esse vengano sommate ai profitti.
Cominciamo, intanto, col ricordare che anche stando ai bilanci redatti dalle banche gli utili netti sono aumentati in modo notevole per tutti [1]. I più cospicui, sempre tra quelle private, riguardano il Credito bergamasco (da 1.059 milioni a 2.211), la Banca Agricola Milanese (da 928 milioni a 1.954 milioni), la Banca d'America e d'Italia (da 2.238 a 4.275 milioni). Ed ora diamo un'occhiata agli accantonamenti (1975): la Banca Commerciale Italiana, con un utile di 9.230 milioni, ne accantona 65 mila; il Credito Italiano, a sua volta, con un utile di 7.829 milioni, ben 83 mila; per il Banco di roma l'utile netto è di 5.594 milioni e gli accantonamenti 26 mila milioni. Tra le banche private troviamo l'Ambrosiano con 3.449 milioni di utili e 5.168 di accantonamenti e la Banca Cattolica del veneto con 3.364 milioni di utili e 8.502 milioni di accantonamenti; il fenomeno è più ridotto ma sempre rilevante.
E dobbiamo ringraziare la legge fiscale Visentini se oggi siamo in grado di leggere queste cifre e somme una volta occultate nelle pieghe di incomprensibili bilanci. Tra l'altro la legge del condono tributario come abbiamo già rilevato nel nostro precedente volume [2] ha consentito alle banche di definire in modo automatico le pendenze fiscali arretrate concedendo alle stesse di annotare fra le passività una "riserva tassata" pari all'ammontare del maggior imponibile fiscale (rispetto a quello dichiarato) sul quale assolvere il tributo in base al condono. Sono così spariti i "fondi patrimoniali riservati", i "conti sussidiari", le "disponibilità fuori bilancio" sui quali non veniva pagata una sola lira di tasse, e finalmente queste "riserve occulte" sono apparse per quello che erano in realtà: profitti.
Le banche non hanno perduto tempo e così si è visto la Banca Commerciale Italiana con un utile di esercizio (1974) di 7,9 miliardi iscriverne nella "riserva tassata" 110 e il Credito Italiano, a sua volta, contro un utile di 9 miliardi, oltre 62. La Banca Nazionale del Lavoro accantonava 176,6 miliardi che avevano come contropartita la rivalutazione degli immobili, di alcune partecipazioni e l'utilizzo di precedenti accantonamenti per assicurazioni e rischi. Per la Banca Nazionale dell'Agricoltura la "riserva tassata" era di 14,2 miliardi a fronte della quale la banca aumentava il valore degli immobili per 5,5 miliardi e così per il Banco di Santo Spirito nel cui bilancio la riserva tassata di 8,1 miliardi emergeva da una pari rivalutazione degli immobili [3].
Ma tra le pieghe dei bilanci si possono rintracciare anche altre voci che permettono, quanto meno, di mascherare i profitti: sono i cosiddetti "fondi" di garanzia contro i rischi della svalutazione [N.d.R.: creata da loro tramite l'emissione monetaria dal nulla] e dell'oscillazione valori, per la liquidazione del personale e così via. Nel bilancio 1975 della Banca Commerciale Italiana, per esempio, accanto all'utile netto di 9,2 miliardi, si può leggere un'altra cifra da capogiro, che rende più realmente l'idea dei guadagni realizzati, ed è quella rappresentata dall'utile lordo di gestione: 107 miliardi e 300 milioni . Ai 9,2 miliardi netti vanno, infatti, aggiunti: 1,6 miliardi iscritti alla voce "svalutazione di crediti"; 700 milioni per "svalutazione delle partecipazioni"; 29,9 miliardi per "pagamenti ed accantonamenti per imposte e tasse"; 11,4 per "ammortamenti" e 54,2 per "accantonamenti al fondo rischi", fondo che sale a 94,6 miliardi. Ecco come, tutto considerato, l'utile di gestione lordo della Comit arriva ad oltre 107 miliardi.
All'utile netto di 7,8 miliardi dichiarato del Credito Italiano nel bilancio 1975 vanno, a loro volta, sommati, oltre al "fondo riserva sui crediti" per 28,5 miliardi (di cui solo 13 tassati) i 35 miliardi del "fondo oscillazione valori", gli 11,5 miliardi dei "fondi vari" e i 21 miliardi del "fondo imposte" cosicché il profitto lordo del Credito Italiano supera anche esso i 100 miliardi. E dicasi altrettanto per il Banco di Roma che iscrive 32 miliardi al "fondo rischi"; 27 miliardi alle "riserve per conguaglio fondo monetario"; 25 al "fondo svalutazione" e 10 al "fondo di ammortamento". Nel settore privato l'Ibi, accanto ad un utile di 3 miliardi ed una riserva legale di 2, registra una riserva straordinaria di quasi 14 miliardi, un fondo rischi di 9 e l'elenco potrebbe naturalmente continuare [4].
Il controllo di una banca è dunque ancora un'impresa di sicura resa. Oggi, è vero, i capitali bancari, pubblici o privati che siano, hanno perduto la funzione di fondo di garanzia dei depositanti, cui una volta erano destinati, e sono del tutto inadeguati in rapporto alla massa dei fondi che le aziende di credito amministrano. Conseguentemente, anche l'impegno della loro remunerazione ha poca consistenza, potendo al più rappresentare una frazione degli utili realizzati che sono destinati invece, per la quasi totalità, alla costituzione di riserve e al rafforzamento delle compagini patrimoniali. Chi si dedica, tuttavia, a questo tipo di impresa finanziaria, senza escludere la motivazione, in molti casi ancora rilevante, del lucro fine a se stesso, lo fa, soprattutto, in vista dei privilegi che derivano dal controllo di una azienda di credito sia nel campo dei finanziamenti che in quello operativo [5].

Note
1 - Per le banche private come per quelle pubbliche, il 1975 è stato un anno d'oro: i depositi sono cresciuti, mediamente, del 25% ed in linea di massima si può calcolare che gli utili di esercizio siano, a loro volta, aumentati secondo una media generale del 25%, cosicché negli ultimi mesi del 1974 e nel corso del 1975 quasi tutte le banche si sono trovate nella necessità di aumentare cospicuamente il proprio capitale sociale. Il Banco Ambrosiano ha visto salire i depositi del 34% (utile + 0,5), la Banca cattolica del 38%, il Credito italiano del 23,2% (utile + 7,8%); l'Istituto Bancario S.Paolo del 46%: la Banca Commerciale del 17% (utile +9,2%): il Banco di Roma del 7% (utile +5,9%); la Banca Nazionale del Lavoro del 25,5%; la Cassa di Risparmio delle Prov. Lombarde del 15,63%; il Banco di Napoli del 15,48%; il Monte dei Paschi del 26,22%; il Banco di Sicilia del 17%; il Banco di S.Spirito del 23%, la Banca Popolare di Novara del 28,45%; la Popolare di Milano del 38,32%; la Cassa di risparmio di Torino del 25,6%; il Credito Commerciale del 25% (utile +25%); il Banco di Sardegna del 27%; la Banca d'America e d'Italia del 22,5% (utile +50%); la Banca Provinciale Lombarda del 21% (utile +20%); la Banca Popolare Commercio e Industria del 34,31% e la Cassa Centrale di Risparmio delle Province Siciliane del 19,41%; la Banca Nazionale dell'Agricoltura, depositi + 28,6% (utile da 4,4 a 6,5 miliardi, aumento di capitale da 16 a 24 miliardi); l'Istituto Bancario Italiano, depositi +31,4%, utile da 2 a 3 miliardi; la Banca d'America e d'Italia, depositi 1.415 milioni, +22,5% (utile di gestione quasi raddoppiato: da 2.238 a 4.275 milioni); il Credito Romagnolo, depositi 1.225 miliardi, +33% (utile da 2 a 3 miliardi, aumento di capitale da 8 a 12 miliardi); Il Credito Varesino, depositi da 745 miliardi, +28,8% (utile da 1,6 a 2,4 miliardi, aumento di capitale da 8 a 12 miliardi); la Banca S.Paolo , depositi +39,7% (utile da 766 milioni ad oltre un miliardo, aumento di capitale da 1,5 a 4 miliardi); il Banco di San Geminiano, depositi 661 miliardi, +27,31% (utile da 873 milioni a 1.158 milioni, raddoppio del capitale da 1,8 a 3,6 miliardi); il Banco Lariano, depositi 9,4 miliardi, +25,15% (utile da 1,5 a 2,4, aumento di capitale da 5,7 a 11,5 miliardi); la Banca Credito Agrario Bresciano, depositi +30% (utile da 1,3 a 1,6 miliardi, aumento di capitale da 2 a 4 miliardi); la Banca Agricola Milanese, depositi da 366 a 464 miliardi (utile da 928 milioni a 1,934 miliardi); il Credito Bergamasco, depositi e mezzi +35,2% (utile da 1 a 2,4 miliardi, aumento di capitale da 2 a 8 miliardi); la Banca Toscana , depositi +26,4% (utile da 1,6 a 2 miliardi).

2 - Angiolo Silvio Ori, "Banchieri e bancarottieri", sugarCo Edizioni, giugno 1976.

3 - Sulle "riserve tassate" delle banche è stata aperta una inchiesta giudiziaria che riguarda più di mille istituti di credito italiani per una somma di 1600 miliardi. Per la magistratura c'è il sospetto che si tratti di "fondi neri" e si vuol scoprire cioè l'uso che di essi ne è stato fatto e se queste riserve occulte con l'istituzione della "riserva tassata" siano state estinte interamente. A parte l'abuso e la frode fiscale, il magistrato intende accertare se tali fondi non siano stati impiegati per mascherare l'esportazione di capitali o per altre operazioni illecite. Il primo istituto al quale i magistrati intendono rivedere le bucce è il Banco di Roma. Come vedremo a suo tempo, l'indagine riguarda un affare del 1973 e cioè l'acquisto della Banca di Calabria. C'è il sospetto che gli amministratori del Banco di Roma, abbiano registrato tale acquisto per 4 miliardi ma ne abbiano pagati in realtà 8, prelevando la differenza da questi fondi fuori bilancio. Mentre scriviamo, una serie di comunicazioni giudiziarie sono state inviate al direttore generale del ministero del Tesoro, Ferdinando Ventriglia, ex vicepresidente ed amministratore delegato del Banco di Roma; al suo successore Giovanni Guidi e al direttore centrale Carlo Garramone. Altri cinque avvisi di reato sono stati emessi a questo proposito a carico dell'allora presidente del Banco, Vittorino Veronese; del vicepresidente Danilo Ciulli, dell'amministratore delegato Mario barone, del presidente del collegio sindacale Tancredi Bianchi e dell'ex governatore della Banca d'Italia Guido Carli.
4 - La Banca Commerciale nel 1975, ai 94 miliardi indicati alle voci "fondo rischi", ne iscrive 190 al "fondo liquidazione personale"; 44 al "fondo imposte e tasse" e più di 41 al "fondo ammortamento mobili ed immobili". Il Credito Italiano ha accantonato 29,6 miliardi nel "fondo per il conguaglio volontario", poco meno di 47 nel "fondo eventuale svalutazione dei crediti", 57 (di cui solo 13 tassati) al "fondo rischi su crediti", 35 al "fondo oscillazioni valori", 173,6 al "fondo liquidazione personale", 42,4 al "fondo imposte e tasse", 40 al "fondo ammortamento immobili mobili e impianti" e altri 18,5 miliardi a non meglio precisati "fondi valori". Il Banco di Napoli ha accantonato 7,5 miliardi al "fondo mobili e impianti", 13 al "fondo liquidazioni"; 48 miliardi al "fondo su rischi" contro un utile netto, si noti, di appena 3 miliardi. La Banca Nazionale dell'Agricoltura accanto a una "riserva tassata" per riprese fiscali per 9,5 miliardi, iscrive le seguenti altre riserve "per rivalutazione monetaria" 66,3 miliardi, a "riserva legale" 3,2, "riserva straordinaria" 10,8, "riserva tassata" (ex legge 823) 14,2, "fondi di ammortamento" 8,4, "fondo rischi su crediti" 19,2, "fondo liquidazione personale" 60,6 miliardi, "fondo pensionamento aziendale" 19 miliardi.
5 - La banca esercita da sempre un fascino notevole tra i potenti. Il giornalista Paolo Filo della Torre, per conto del suo giornale, nel corso di una inchiesta nel set internazionale bancario sui "banchieri" italiani di domani ha fatto una serie di curiose scoperte ( La Repubblica , 4 aprile 1976). A Londra si è addestrato nel mestiere, prima di tornare in Italia a dirigere la rappresentanza della Morgan Grenfell, Giorgio Cefis, il figlio del potentissimo presidente della Montedison; e così Arturo Aletti, che è stato alla Singer and Friedlander; il nipote ed il cugino di Gianni Agnelli, Rui Brandolini d'Adda e Carlo Nasi, ambedue in due banche molto vicine alla FIAT e cioè la Lazard Brothers e la Warburg S.A. insieme ad un altro nome patrizio Luca Salina Amorini Bolognini. Seguendo le orme paterne alla sede di Londra della Banca Commerciale si è fatto le ossa Giorgio Malagodi, figlio del presidente del Partito Liberale. Sempre a Londra si sono addestrati nel difficile ed affascinante mestiere degli affari bancari Alex Monti alla Brexel-Burnham; Dandolo Theodoli-Braschi, che è passato dalla scuola nella First Boston (Europe) alla Citicorp: Nicolò Dubini, nipote del vicepresidente della Pirelli, che dalla Bankers Trust di Londra è andato a dirigere quella di Milano. Nello Picella, figlio del segretario della Presidenza della Repubblica che lavora con i Rothschild di Londra, mentre Oliviero Prunas lavora per quelli [i Rothschild] di Parigi da Milano.
A Londra, via obbligata al successo, fanno spicco ancora oggi Mario d'Urso, un habitué dei tempi della finanza londinese; Gian franco De Carli, cugino dei Vallarino Gancia. Tra Parigi e Londra operano invece Giampiero Dotti, cognato della diva Audrey Hepburn e Carlo Corsi di Bagnasco che è manager della Overseas Fund della National Westminster Bank.

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